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La Svezia, la Nato e quegli “irresponsabili appelli” alla deterrenza nucleare in Europa

Stoccolma © Norman Tsui - Unsplash

Il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha prospettato a metà maggio la possibilità di ospitare testate nucleari statunitensi nel caso in cui scoppiasse una guerra. Peccato che nel Paese sia mancata una consultazione popolare, come lamenta la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican). Che richiama poi i Paesi europei a smorzare la tensione e a non alimentare l’escalation verso Mosca

Irresponsabili e preoccupanti. Così la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) -coalizione di 650 organizzazioni non governative da 110 Paesi diversi che si batte per la messa al bando delle armi nucleari, Premio Nobel per la Pace nel 2017- ha bollato le recenti iniziative di politica estera del governo svedese.

Ican ha criticato in particolare alcune dichiarazioni che il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha rilasciato il 13 maggio alla radio pubblica P1 Morgon. In quell’occasione Kristersson ha detto che la Svezia sarebbe disponibile a ospitare testate nucleari statunitensi nel caso in cui scoppiasse una guerra, sottolineando però che il posizionamento di ordigni atomici non sarebbe permesso in tempo di pace. Il capo del governo svedese ha poi aggiunto che “la situazione sarebbe differente in tempo di guerra, poiché nel peggiore scenario possibile, i Paesi democratici della nostra parte del mondo devono essere in grado di difendersi da Paesi che potrebbero minacciarci con armi nucleari”. Folle benzina su un fuoco che già arde secondo Ican, la quale, insieme all’associazione svedese Svenska Läkare Mot Kärnvapen, ha chiesto pubblicamente al governo svedese di offrire garanzie formali e scritte affinché le armi nucleari non vengano dislocate sul territorio nazionale.

Stoccolma è stata molto attiva sul fronte della politica estera e della difesa negli ultimi mesi. A dicembre  ha negoziato infatti un accordo di cooperazione militare (Defence cooperation agreement, Dca) con gli Stati Uniti per rafforzare la collaborazione nel settore della difesa. Questo patto, che entrerà in vigore entro la fine del 2024, regola lo status giuridico e le condizioni di operazione delle truppe statunitensi presenti in Svezia e fornisce ai militari americani l’accesso alle basi dell’esercito svedese. Inoltre, lo scorso 7 marzo il Paese scandinavo è entrato a far parte ufficialmente della Nato, l’alleanza militare che comprende buona parte dei Paesi occidentali, diventandone il 32esimo membro. Ican sottolinea che l’accordo di cooperazione militare, insieme alla proposizione svedese di ingresso nella Nato, sono contraddistinti da un linguaggio vago e non vincolante, che può essere facilmente modificato dal governo (oggi) di Kristersson. Per esempio, nel Dca si trova scritto che non c’è “nessuna ragione” per la Svezia di ospitare armamenti nucleari in tempo di pace, un’espressione che pare in contraddizione proprio con le ultime parole del primo ministro.

Peccato che nel Paese non ci sia stata alcuna discussione pubblica su implicazioni e impatti del dispiegamento di armi nucleari. Inoltre, secondo la Campagna, “la decisione svedese va in controtendenza rispetto alle scelte dei Paesi vicini come Danimarca, Finlandia e Norvegia, che hanno politiche più restrittive sul posizionamento di armi nucleari nel loro territorio e che ne pagherebbero le conseguenze”. L’ingresso della Svezia nella Nato non implicherebbe però alcun obbligo di ospitare armamenti nucleari, poiché tutti gli Stati membri dell’alleanza hanno la possibilità di dichiararsi privi di testate nucleari sia in tempo di pace sia di guerra. Tuttavia, l’Ican fa notare che “ci sono pressioni politiche da parte della Nato sugli altri membri dell’alleanza, soprattutto dagli Stati Uniti, per adottare il principio della deterrenza nucleare”, basato su un riarmo costante per scoraggiare un ipotetico attacco nemico. “La politica aggressiva adottata dagli Stati Uniti può portare a una escalation pericolosa, mettendo tutta l’Europa a rischio di entrare in un conflitto”, denuncia Ican riferendosi a quella strategia del “rischio calcolato” (brinkmanship) contraddistinta da un’interazione aggressiva di uno Stato verso l’altro, con la possibilità di arrivare a uno scontro per ottenere una posizione negoziale vantaggiosa.

Il contesto è noto. L’evento che ha riportato in primo piano il tema degli armamenti nucleari è stato l’invasione russa dell’Ucraina avvenuta il 24 febbraio 2022. Durante la guerra, Mosca ha più volte minacciato di fare ricorso ad armi nucleari tattiche, adottando una retorica aggressiva nei confronti dei Paesi baltici o verso l’Unione europea. Per esempio, nell’aprile 2022 Dmitry Medvedev, ex presidente della Federazione Russa e membro del Consiglio di sicurezza, ha detto che il suo Paese avrebbe potuto utilizzare i suoi armamenti nucleari nel caso in cui la Svezia e la Finlandia fossero entrate nella Nato, minaccia che poi non si è concretizzata. Oltre alle dichiarazioni, le forze armate russe hanno svolto alcune esercitazioni militari per addestrarsi all’uso di armi nucleari non-strategiche, le ultime delle quali si sono tenute al confine con l’Ucraina proprio a partire dal 6 maggio. Gli annunci e le mosse dell’esercito russo hanno suscitato delle reazioni soprattutto nei Paesi confinanti come la Polonia. Ad aprile, il presidente polacco Andrzej Duda ha dichiarato che se la Nato decidesse di rinforzare le proprie difese schierando armamenti nucleari, la Polonia sarebbe pronta ad ospitare questi armamenti nell’ottica di potenziare la sicurezza dei confini esterni della Nato.

La crescente aggressività russa, insieme alle politiche degli Stati Uniti, hanno suscitato un dibattito all’interno dell’Unione europea sulla creazione di un sistema condiviso di deterrenza nucleare. Manfred Weber, capogruppo uscente al Parlamento europeo del Partito popolare europeo (Ppe), ha proposto di creare un sistema europeo di deterrenza nucleare. Weber sostiene infatti che l’Unione europea non potrà essere sicura di ricevere costantemente il sostegno americano, poiché in alcune occasioni l’ex presidente Donald Trump, attuale candidato per i Repubblicani alle elezioni del 2024, ha esplicitato la propria indisponibilità a supportare l’Europa a difendersi nel caso in cui fosse attaccata. Anche politici appartenenti all’altro schieramento, come la vicepresidente del Parlamento europeo Katarina Barley o il presidente francese Emmanuel Macron, hanno sostenuto che l’Europa dovrebbe discutere se dotarsi di un proprio sistema di deterrenza nucleare. Nella visione di Macron, la Francia giocherebbe un ruolo da protagonista, grazie alle sue 290 testate nucleari su cui mantiene un controllo indipendente. Attualmente, il sistema di difesa europeo si basa invece sulla presenza della Nato, che ha posizionato alcune armi nucleari americane in sei basi militari in Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

Gli Stati europei, secondo Ican, al posto di considerare il riarmo nucleare dovrebbero invece “smorzare la situazione in modo responsabile, seguendo l’esempio di Paesi dell’Unione come l’Austria, l’Irlanda e Malta, nonché della metà degli Stati del mondo, condannando inequivocabilmente la minaccia e l’uso delle armi nucleari. E dovrebbero inoltre aderire al Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari, che vieta esplicitamente la condivisione del nucleare”.

Fischiano le orecchie all’Italia, dato che il nostro Paese ospita, secondo stime al ribasso, almeno 35 armi nucleari di proprietà degli Stati Uniti, il numero più alto tra i Paesi europei membri della Nato.

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