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Ambiente / Approfondimento

In Basilicata lo sfruttamento petrolifero continua a minacciare gli abitanti e l’ambiente

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Dalla Valle del Sauro alla Val d’Agri si rinnovano le concessioni per la coltivazione di idrocarburi, in contrasto con gli obiettivi di decarbonizzazione e nonostante le ricadute sui territori e la popolazione. Lo stato dell’arte, gli interessi di Eni, Total, Shell, Mitsui e i processi penali in corso. “È come se i politici ci avessero venduto ai giganti del fossile”, denunciano i comitati

“Ci chiamano il Texas d’Europa, sotto i nostri piedi ci sono i più grandi giacimenti di petrolio su terraferma dell’Europa occidentale. L’oro nero, prima visto come una benedizione per queste terre povere, ha colonizzato e schiavizzato la nostra Regione, inquinando ogni matrice ambientale”. A parlare è Giorgio Santoriello, attivista di Cova Contro, associazione che da anni monitora e denuncia le devastazioni ambientali causate dalle estrazioni del petrolio in Basilicata.

Le recenti elezioni che hanno confermato il presidente uscente Vito Bardi per altri cinque anni sono state precedute da un importante regalo alle multinazionali del fossile. Il 5 aprile scorso, infatti, la Giunta della Basilicata ha dato il via libera (con la delibera 293) al rinnovo quinquennale della concessione per la coltivazione di idrocarburi “Gorgoglione”, il progetto Tempa Rossa. La delibera recepisce l’intesa Stato-Regione a favore dell’istanza presentata da Total Energies Ep Italia Spa. 

Si tratta di una proroga di altri cinque anni ma stando ai quantitativi di petrolio greggio e gas stoccati nel sottosuolo “è prevedibile una coltivazione del giacimento, nei limiti di produzione autorizzati, in un arco temporale che si estende fino al 2068”, come si legge nel documento approvato dalla Regione. Nei prossimi cinque anni la multinazionale francese Total, in joint venture con l’ango-olandese Shell e la giapponese Mitsui, trivelleranno altri due pozzi, il Gorgoglione 3 e 4.

“Questa decisione è stata presa nonostante il termine fissato dall’Europa per l’abbandono del fossile sia al 2050. Si prospetta un disastro per l’ambiente della Basilicata già compromesso da decenni di estrazioni petrolifere”, spiega Camilla Nigro, attivista di Libera e dell’Osservatorio popolare Val d’Agri.

Il giacimento in questione si trova nella Valle del Sauro tra i Comuni di Corleto Perticara (PZ) e Gorgoglione (MT). Scoperto nel 1989 dall’Enterprise oil e dalla compagnia petrolifera belga Fina, le stime ne indicano riserve per 480 milioni di barili. Dopo la fusione con Fina, la Total ha ottenuto la concessione del giacimento, realizzando sei pozzi estrattivi e il Centro oli Tempa Rossa, costato 1,5 miliardi di euro e operativo dal 14 dicembre 2020. Total è il socio di maggioranza con il 50% mentre Shell e Mitsui detengono il 25% a testa.

“Il giacimento si trova nel cuore di una Regione ad alto valore turistico per la bellezza dei suoi paesaggi; si estende su un territorio geologico segnato da una sismicità non trascurabile e una rete idrogeologica complessa. A queste particolarità si aggiunge un patrimonio archeologico di primo piano”. Non è scritto su un sito ambientalista ma sulla stessa pagina web di Tempa Rossa.

Peccato che questa bellezza venga profondamente compromessa dall’estrazione e lavorazione del petrolio. Ogni giorno fuoriescono infatti da Tempa Rossa 50mila barili di petrolio, 230mila metri cubi di gas fossile, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo, per poi essere convogliati verso gli oleodotti della zona.

Dopo appena sei mesi dal suo avvio, nel marzo 2021, la Regione ha imposto il blocco al Centro oli Tempa Rossa per inadempimenti rispetto alle normative ambientali, superamenti di emissioni, in particolare per le polveri, anidride solforosa (SO2) e ossido di azoto (NOx).

Altre diffide da parte della Regione sono arrivate anche nel 2022, contro le quali la Total ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar). Nel frattempo è stato però raddoppiato l’oleodotto che porta il greggio di Tempa Rossa alla raffineria Eni di Taranto e sono state adeguate le strutture logistiche della raffineria, nonostante l’opposizione della Regione Puglia. 

“Nel 2022 abbiamo denunciato una vasca di reflui petroliferi a Tempa Rossa i cui liquami sversavano sulla strada sottostante nell’indifferenza general -riprende Giorgio Santoriello-. Abbiamo denunciato anche affioramenti di acque rossastre con alti tenori di metalli, tipiche purtroppo di tutte le zone inquinate dal petrolio”.

Le royalties sono state circa 150 milioni di euro all’anno fino al 2023 e aumenteranno fino a 100-120 milioni di euro all’anno tra il 2024 e il 2048 per poi calare a 65-75 milioni di euro annui dal 2049 per tutto il rimanente periodo di vita del campo, fino al 2068. Soldi che ovviamente fanno gola. 

Anche in Val d’Agri, nel 2021, la concessione è stata rinnovata per altri dieci anni in cambio di royalties. “È come se i politici ci avessero venduto ai giganti del fossile, sotto processo per disastro ambientale”, dice amaramente Camilla. In Val D’Agri sorge infatti il giacimento sfruttato da Eni e Shell con il gigantesco Centro oli Val d’Agri (Cova) che estrae 80mila barili e altrettanto metano da 24 pozzi. Il lago Pertusillo, che alimenta gli acquedotti pugliesi, ha visto la qualità delle sue acque peggiorare negli anni, circondato com’è da un reticolo di tubature di petrolio.

Intanto il processo Petrolgate 2 e 3 è ancora in corso -l’8 maggio si è tenuta un’altra udienza- e vede il Cova sotto processo per le 400 tonnellate di greggio disperse nell’ambiente nel 2017, fuoriuscite da fori presenti nelle mega cisterne prive del doppio serbatoio. Nel procedimento si dovrà fare luce anche sullo “strano” suicidio di Gianluca Griffa, giovane ingegnere piemontese di Eni morto in circostanze mai chiarite nel 2013. Il giovane aveva scoperto le irregolarità dell’impianto, ne aveva scritto sul suo memoriale e dopo averle raccontate ai suoi superiori era stato messo in ferie forzate. Poi il suicidio. Ecco perché davanti al tribunale di Potenza campeggiano striscioni che chiedono “verità per Gianluca Griffa”. “La sorella dell’ingegnere è stata accettata come testimone ma il memoriale di Griffa, su richiesta degli avvocati di Eni, non è stato ammesso dal presidente del Tribunale”, continua Camilla Nigro, che è parte civile al processo. 

Accanto al processo Petrolgate è iniziata anche la prima udienza al Tar per il ricorso fatto dall’associazione Cova Contro contro il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale concessa dalla Regione a Tecnoparco, discarica di materiali reflui petroliferi. “Da anni lo scarico di Tecnoparco altera il colore del fiume Basento emanando un olezzo simile all’acetone -è la dura accusa degli attivisti di Cova Contro-. Le mucche continuano a pascolare e ad abbeverarsi a ridosso dello scarico, insieme a cavalli, pecore, capre e animali selvatici. Abbiamo segnalato tutto alla Procura di Matera. Nel fiume stanno finendo sostanze di svariata origine, alcune a oggi anche difficili da determinare”. 

Nonostante gli inquietanti precedenti, un ambiente in sofferenza e una Valutazione di impatto sanitario che ha già accertato un aumento di ricoveri e di morti nelle aree a ridosso del Cova, nel Texas d’Europa si continua a estrarre petrolio. Con il benestare della Regione e dello Stato. 

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