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Il “Vocabolario delle aree interne”, cento parole per combattere la retorica urbanocentrica

© Gabriella Clare Marino - Unsplash

Da “A” di Abbandono alla “W” di Welfare, il libro appena pubblicato da Radici edizioni racconta le criticità che affrontano gli abitanti delle aree più marginalizzate del Paese ma anche le loro bellezze. Un racconto “politico” per decostruire le narrative che si sono create negli ultimi anni attorno ai borghi e per difendere il diritto ad abitarli

Il 16 maggio è arrivato in libreria il frutto di un progetto ambizioso, il “Vocabolario delle aree interne” pubblicato da Radici edizioni. Le parole sono cento e i testi sono stati elaborati da oltre 60 persone, coordinate e capitanate da Nicholas Tomeo, ricercatore dell’Università degli Studi del Molise. A undici anni dall’avvio di una Strategia nazionale per le aree interne (Snai), che ha saputo accendere i riflettori sulle criticità nell’accesso ai servizi essenziali che affrontano gli abitanti e i territori marginalizzati, ma anche sulle ricchezze (sociali, naturali, culturali) di cui sono portatrici le comunità che vivono le Alpi e gli Appennini, il vocabolario ha l’ambizione di “descrivere azioni e de-costruire le narrazioni retoriche che si sono venute accumulando negli ultimi anni attorno alle tematiche dei paesi, del piccolo è bello, di una concezione dei luoghi ancora sostanzialmente urbanocentrica”.

Lo scrive nella prefazione il professor Rossano Pazzagli, che insegna Storia moderna e Storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise e dirige la Scuola di Paesaggio “Emilio Sereni” presso l’Istituto Alcide Cervi, aggiungendo anche che “periferia non si nasce, ma si diventa; che non è colpa del destino, né della natura”.

In questo senso il Vocabolario, con le sue cento voci dalla “A” di Abbandono alla “W” di Welfare, è un testo politico, perché può aiutare a orientare criticamente il pensiero intorno alle politiche rivolte alle aree interne, che negli ultimi anni, a partire dalla scelta del governo di de-potenziare il percorso di partecipazione e coordinamento territoriale che era insito e collegato alla Snai, ha visto affermarsi altri modelli di erogazione dei finanziamenti pubblici, che non invitano più i Comuni a lavorare insieme e costruiscono l’immaginario del borgo incantato da vendere ai turisti e non del paese da vivere.

“Il Vocabolario è una bussola per navigare tra i monti e i paesi d’Italia con l’obiettivo di cambiare modello, un invito a giocare un’altra partita: non quella della crescita, ma piuttosto quella dell’equilibrio, della cooperazione al posto della competizione, nella consapevolezza che i problemi delle aree interne, primo fra tutti quello delle disuguaglianze, non possono essere risolti applicandovi lo stesso modello che le ha marginalizzate”, scrive ancora Pazzagli.

Spiega Tomeo che questo lavoro arriva ad accompagnare i processi di neopopolamento delle aree interne, per contribuire a “riconquistare un significato positivo dell’abitare i paesi”, rivendicando “diritti di paesanza, ovvero il diritto al paese, a vivere e abitare il paese, cosa che può essere garantita e riconosciuta solo attraverso l’estensione dell’accesso ai servizi essenziali costituzionalmente garantiti”. Ripartire dalle parole è fondamentale per analizzare la complessità e problematizzare dinamiche territoriali che sono tutt’altro che semplici e lineari “ma ampie, spinose e, spesso, difficili da comprendere”, scrive Tomeo. L’obiettivo? Tralasciare “facili retoriche e abbandonando semplicistiche soluzioni generalizzanti”.

I Comuni delle aree interne, infatti, sono oltre quattromila e ognuno ha le proprie peculiarità, le proprie condizioni (la situazione nei territori del Cratere del sisma in Centro Italia è senz’altro diversa da tutti gli altri, vedi alla voce “Terremoto”) che rendono necessari interventi unici e specifici. Nel definire quali, anche in relazione alla risorse territoriali (leggere “Acqua”, “Agricoltura”, “Bosco”, “Biodiversità”, “Servizi ecosistemici”), le voci del Vocabolario risultano utili perché la loro scrittura è affidata a persone che uniscono la progettualità fattuale nei territori alla ricerca scientifica, capaci di collegare l’azione politica e sociale alla conoscenza della dottrina e che sui territori sperimentano un abitare attivo, trasformativo, emancipatorio, fondato sulla piena consapevolezza e conoscenza dei contesti, situando le pratiche coltivandole dal basso. Sono dottorande e dottorandi, ricercatrici e ricercatori, giornalisti e giornaliste, scrittrici e scrittori, sindache, attivisti e attiviste.

In questo senso il libro, che è pubblicato da una coraggiosa piccola casa editrice abruzzese, Radici (vedi Ae 259), assume un punto di vista periferico, osservando l’Italia “dai monti del Molise e dalle colline del Piemonte o delle Marche, come da un qualsiasi altro paese o contrada della Penisola, dalla Sicilia al Trentino, scorgendo equivoci, paradossi, dialoghi spezzati, ma anche ricchezze e bellezze celate dall’abbandono”. Uno sguardo laterale (è possibile immaginarlo lungo lo stesso sentiero tracciato vent’anni fa da Franco Cassano con “Il pensiero meridiano”, Laterza, 2005) grazie al quale anche parole a cui associamo un significato scontato (“Energia”, “Lavoro”, “Sostenibilità”) possono assumere connotati “trasformativi attraverso una prima rappresentazione dei motivi delle condizioni attuali, per poi confutare una narrazione dell’inevitabilità che si poggi sulla proposta di un’alternativa strutturata, ragionata, concreta”, come spiega Tomeo.

Un esempio? Il concetto di “Tradizioni”, che molti usano per ancorare e incollare i paesi e i territori delle aree interne al passato. In realtà, spiega il Vocabolario, “la dicotomia tradizione/modernità è superata; la tradizione diventa qualcosa da riscoprire, da rivendicare, ma anche da adattare creativamente al presente, in prospettiva futura”. Scrive Sabina Gala: “Evidente è la ricchezza delle aree interne in termini di saperi e pratiche legate alla tradizione; essa, quindi, può essere un’ulteriore lente attraverso cui smontare la retorica della marginalità, cambiare immaginario ampliando gli orizzonti e le possibilità usando (anche) il passato come risorsa per il futuro, in un’ottica di condivisione e valorizzazione delle differenze”.

Luca Martinelli, collaboratore di Altreconomia, ha curato tre delle voci del “Vocabolario delle aree interne”: cibo, comunicazione e reti

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