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Volando sempre più in basso: il vicolo cieco del caccia JSF

Due recenti episodi dimostrano ancora una volta il travagliato sviluppo del programma Joint Strike Fighter, che pare non avere pace nel suo percorso di evoluzione tecnica. Fornendo ulteriori prove alla tesi della campagna "Taglia le ali alle armi" che vuole la cancellazione della partecipazione italiana e che ieri ha raggiunto con la propria voce le aule parlamentari della Commissione Difesa della Camera dei Deputati.

Forse il tipo di ottica che i militari applicano allo sviluppo di nuovi armamenti fatica ad entrarmi in testa, visto il mio percorso di disarmista e nonviolento. Ma alcune cose, davvero, mi paiono fuori dalla logica perché solo così si possono registrare alcuni commenti tragicomici agli ennesimi problemi tecnici riscontrati dal programma. Come definire altrimenti la frase pronunciata da Andrew Toth, comandante del 33° stormo Fighter Wing F-35 della base di Eglin, in occasione del battesimo di un nuovo e fiammante caccia del suo gruppo: "la prima sortita é stata un traguardo molto importante per il programma”. Eppure tale primo volo ha costretto un caccia della versione "base" a fare rientro in aeroporto dopo soli 15 dei 90 minuti previsti. Il motivo? Perdita di carburante… E meno male che il pilota addestratore Eric Smith considera che tale giusta decisione sia stata raggiunta per essersi "addestrati molte volte sul simulatore anche per questo". Forse, pur non avendo fatto il servizio militare, sarei riuscito pure io ad operare la stessa scelta, accorgendomi di una perdita di carburante in volo.

Ma la cosa più grave è quando si cerca di nascondere i problemi per "aiutare" in maniera artificiosa un programma che, lo abbiamo ripetuto più volte, non sta raggiungendo i propri obiettivi tecnici. A Febbraio il Joint Requirements Oversight Council (JROC) del Pentagono ha abbassato i requisiti di prestazione per il JSF, aiutando l’aereo a rispettare le tappe di sviluppo che aveva precedentemente nonraggiunto. Come? Secondo InsideDefense che ha rivelato la storia (senza smentite) riducendo il raggio massimo di combattimento della versione F-35A (quella standard) e concedendo alla versione F-35B (quella desiderata dall’Italia per la portaerei Cavour) un 10% in più nella lunghezza di pista necessaria al decollo (che è prevista come "breve" e che diventerà ora di quasi 200 metri).
Il 31 dicembre 2010 un rapporto del Pentagono sulle acquisizioni di armi sottolineava come il raggio di azione della versione F-35A fosse di circa 6 miglia nautiche (circa 10 km) inferiore al parametro richicrisi JSFesto di 590 mn. Al posto di migliorare le prestazioni si è però cercato di cambiare il parametro, ma in maniera sottilmente fuorviante. Perché nei nuovi dati il raggio di combattimento è fissato in 613 miglia nautiche, ma ciò succede poiché il JROC ha accettato per questa versione un profilo di volo meno stringente permettendo quindi un’altitudine di crociera e una velocità quasi ottimali il che rende il consumo di carburante più efficiente. Ma pure la versione "B" dei Marines (e poi solo italiana, come ha recentemente notato con orgoglio il generale De Bertolis alla Camera) ha un raggio di combattimento del 15% inferiore a quanto fissato inizialmente, nonostante questa configurazione del caccia trasporti ora meno armi rispetto a quanto originariamente previsto.
In definitiva operazioni numeriche solo sulla carta che avevano come intenzione quella di evitare al programma, che già sconta ritardi ed esplosione di costi, un ennesimo scandalo.

Tom Christie, ex pilota di test per il Dipartimento della Difesa USA ha dichiarato: "Questo è tipico e succederà ancora: Il Pentagono ha pagato profumatamente un’azienda per fornire una capacità precisa sul caccia. Poi, tutto a un tratto, ti dicono che non riusciranno a farlo. Soluzione? Basta dire che non si ha più bisogno di questa capacità. E la cosa peggiore è che non ci sarà alcuna penalità per nessuno".

Il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica USA Norton Schwarz ha cercato di minimizzare il problema affermando che è molto meno dispendioso abbassare i requisiti di poche miglia (la differenza sarebbe stata come detto di meno di 10 km) che investire molti soldi per raggiungere un punto prefissato. Un discorso che potrebbe apparire sensato ma che nasconde un trucco: qui non si tratta di pochi chilometri in più o in meno. Ma di un modo di gestire i problemi e i fallimenti del più costoso programma militare della storia con giochi di prestigio e una costante incapacità di chiarezza e trasparenza.

I due episodi rafforzano tutti i dubbi che i movimenti contro il caccia F-35, che chiedono l’interruzione della partecipazione italiana al programma, hanno da sempre espresso non solo sulla base di una prospettiva ideale di disarmo ma soprattutto rimarcando i problematici dati di costo e di sviluppo. Ed è per questo che la campagna "Taglia le ali alle armi" ha chiesto il 6 marzo alla Camera dei Deputati (in un’audizione presso la IV Commissione Difesa) che si dia inizio ad un’indagine conoscitiva delle competenti Commissioni parlamentari per stabilire i reali costi (e la consistenza dei problemi tecnici del velivolo) relativi alla partecipazione italiana al progetto Joint Strike Fighter per il caccia d’attacco F-35.

All’audizione ho partecipato anche io, e nel mio primo intervento mi sono permesso di sottolineare che: “Dopo le recenti comunicazioni del Ministero della Difesa che sostengono che il costo di acquisto sarà molto minore rispetto a quanto dicono i dati ufficiali USA crediamo che non sia opportuno che il Parlamento e il Governo procedano ad una scelta sul caccia F-35 basandosi su dati e numeri poco chiari e non dettagliati”. Tutte le analisi effettuate da “Taglia le ali alle armi!” (il documento consegnato alla Commissione è scaricabarile a lato) portano ad un costo del prossimo lotto – quello di cui l’Italia dovrebbe acquistare tre esemplari nel corso del 2012 – di almeno 140 milioni di euro ad aereo. Quantomeno tale cifra é il costo ricavabile dai dati statunitensi recentemente pubblicati.
Per cui non sembra possibile – lo abbiamo sottolineato nell’incontro con i Parlamentari – credere fino a dimostrazione contraria agli 80 milioni di costo recentemente citati in audizione sia dal Ministro Di Paola che dal Segretario Generale della Difesa De Bertolis nemmeno prendendo in considerazione il solo costo di produzione avionica (il cosiddetto “flyaway cost”).
La Campagna ha inoltre illustrato alla Commissione, in una riunione che ha visto una buona partecipazione di deputati e diversi interventi e domande, i veri dati sull’impatto industriale ed occupazionale che il JSF porterà nel nostro paese che risultano essere di molto minori (sia in termini di posti di lavoro che di lavorazioni e tecnologie trasferite) rispetto a quanto prospettato dalla Difesa. Anche per questo occorre prendersi un periodo di ulteriore approfondimento e chiedere l’esplicitazione dei documenti e contratti ufficiali.
Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci! ha poi aggiunto alla discussione il tema delle alternative: “Investendo questi soldi in altri comparti della spesa pubblica si potrebbe trarre un grosso beneficio economico e colmare lacune sociali importanti, utilizzando in altra maniera gli almeno 10 miliardi (circa 1 all’anno con le previsioni attuali) di costo di acquisto dei caccia”. Un costo che sarà poi da moltiplicare per tre se si considera tutta la vita e tutta la gestione degli aerei.
“Noi non siamo venuti qui solo come esponenti del mondo del disarmo e della Pace – ha concluso Marcon – ma anche come rappresentanti dei contribuenti che non vedono di buon occhio questa enorme spesa per un programma aeronautico che ha inoltre dimostrato le proprie debolezze tecnologiche ed economiche. Siamo consci che si debba realizzare una politica di difesa per l’Italia, solo ci domandiamo perché debba essere prevalentemente militare e non possa invece essere costruita sulla tutela della vita dei cittadini italiani”.
Anche per il nostro ruolo internazionale nei conflitti l’investimento sugli F-35 appare spropositato e insensato poiché, ho tenuto a sottolineare concludendo il nostro intervento “Per fare interposizione in aree di conflitto e ricostruzione non servono certo i cacciabombardieri”.
 

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