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Diritti / Opinioni

La vittima ha sempre ragione. Ma non ha voce

Pier Paolo Pasolini

I familiari dei morti delle “stragi di Stato” o chi ha patito la tortura condividono la stessa solitudine. Trasformati in simboli muti del potere. La rubrica “Distratti dalla libertà” di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 194 — Giugno 2017

In un prezioso libretto uscito qualche anno fa -“Critica della vittima” (Nottetempo, 2014)- Daniele Giglioli  passa al vaglio “l’ideologia vittimaria” del nostro tempo. Inizia così: “La vittima è l’eroe del nostro tempo. Essere vittime dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. Immunizza da ogni critica, garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole critica”. Si potrebbe pensare, date queste premesse, a una società solcata dal rispetto e dall’ammirazione per le maggiori vittime del potere dei giorni nostri, ad esempio i raccoglitori-schiavi vessati dai caporali e dagli interessi dell’agrobusiness nel Sud Italia; i migranti costretti a pagare gli scafisti e a rischiare la vita nel Mediterraneo a causa di leggi che pretendono di proibire lo spostamento delle persone; i cittadini sottoposti a tortura dalle forze di sicurezza e così via. Niente del genere in realtà sta avvenendo. Lo stesso Giglioli spiega l’arcano: “L’ideologia vittimaria oggi è il primo travestimento delle ragioni dei forti”. Farsi passare per vittime funziona, specie nell’era della politica-marketing. Il tycoon-premier Silvio Berlusconi che implora “lasciatemi lavorare” e il rottamatore Matteo Renzi che da Palazzo Chigi urla a reti unificate in suo appoggio di avere “tutti contro”, sono le maschere grottesche di una filosofia politica che ha capito e usato la funzione sociale della vittima.

195: i voti favorevoli al disegno di legge sulla tortura approvato da Palazzo Madama il 19 maggio 2017. Una “legge truffa” (ora alla Camera) secondo un appello lanciato tra gli altri da Enrico Zucca (pm al processo Diaz), Ilaria Cucchi e Lorenzo Guadagnucci. Anche Altreconomia l’ha sottoscritto

Lo snodo decisivo è dunque la relazione con il potere. Primo Levi, ne “I sommersi e i salvati”, aveva definito “zona grigia” proprio quel clima di torbida collaborazione fra vittime e carnefici che si instaurava ad Auschwitz, segnale di una tendenza propria dell’animo umano. L’odierna ideologia vittimaria, ad un livello inferiore, sembra ispirarsi al tema della “zona grigia”, ammettendo nel salotto buono del potere politico e mediatico solo certe categorie di vittime. Pierpaolo Pasolini, nel 1975, scrisse un intervento che non poté leggere, perché ucciso al Lido di Ostia due giorni prima, al congresso del Partito radicale ed elencò le vittime che piacciono al potere: “a) Le persone più adorabili sono quelle che non sanno di avere diritti. b) Sono adorabili anche le persone che, pur sapendo di avere dei diritti, ci rinunciano. c) Sono abbastanza simpatiche anche quelle persone che lottano per i diritti degli altri (soprattutto per quelli che non sanno di averli)”. Sono invece sgradite quelle vittime che agiscono indipendentemente dal potere, o contro di esso, e anche quelle che per come muoiono  gridano all’ingiustizia (all’epoca lo stesso Pasolini). Negli ultimi tempi, rispetto al 1975, c’è stato un ulteriore salto di qualità, e anche chi lotta per i diritti degli altri è diventato antipatico: basti pensare alla campagna contro le Ong che soccorrono i migranti. Ma le vittime più scomode di tutte sono quelle che dicono verità che non si vogliono sentire e perciò vengono accuratamente relegate in zone protette: magari le si lasciano sfogare ma purché siano innocue. È l’esperienza vissuta per lungo tempo dai familiari delle vittime delle “stragi di Stato”, e oggi, per citare un caso, dalla famiglia di Giulio Regeni, vezzeggiata e accudita dai media e dal potere ma senza voce in capitolo rispetto alle scelte della diplomazia. È l’esperienza vissuta da chi ha subito tortura e assiste a un dibattito parlamentare che produce una non-legge sulla tortura, senza essere né ascoltato né considerato.

Le vittime sono dunque gli “antieroi” anziché gli eroi del nostro tempo.

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