Diritti / Attualità
“Vite abbandonate”, la situazione dei migranti in arrivo dalle rotte balcaniche a Trieste
Al confine orientale l’assenza istituzionale lascia per strada migliaia di persone, soccorse solo dalle associazioni umanitarie. L’emergenza invasione è “artificiale”: il numero degli arrivi, infatti, è assolutamente gestibile. Una rete solidale di realtà che operano in città ha curato un rapporto per far luce su inefficienze e omissioni
Migliaia di persone migranti lasciate a loro stesse, lungaggini anche di 70 giorni per accedere al servizio di prima accoglienza, carenza di strutture dove passare la notte, anche nei mesi più freddi. È una situazione di grave difficoltà, in netto peggioramento, quella fotografata dal rapporto “Vite abbandonate”, risultato di un’analisi dettagliata svolta nel corso del 2022 a Trieste -punto di ingresso nel nostro Paese delle rotte balcaniche- da parte di una rete solidale di associazioni che in città operano nel campo dell’accoglienza, della tutela sanitaria e dell’assistenza umanitaria alle persone migranti. Tra i membri del network, la Comunità di San Martino al Campo, il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), la Diaconia valdese (Csd), Donk humanitarian medicine, International rescue committee Italia e Linea d’Ombra.
A provocare il degrado del sistema di tutela e dei servizi di bassa soglia non è stato un aumento spropositato degli arrivi. Confrontando infatti l’ultimo trimestre del 2021 (683 arrivi totali registrati) e l’ultimo trimestre del 2022 (5.940 arrivi totali registrati), la crescita è evidente ma non è di entità tale da compromettere una gestione efficace dei flussi. “Ci sono dei momenti nel corso dell’anno in cui i numeri sono effettivamente rilevanti, da luglio a novembre ci sono stati dai 1.300 agli oltre 2mila ingressi al mese -spiega Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics e membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)- ma se dividiamo la cifra annuale, 13.127, per 365 giorni, vediamo una media di 35 arrivi al giorno; c’è un clima di allarmismo che vuole imputare la situazione di difficoltà non alla carenza di servizi, ma all’entità dei flussi. Questo per legittimare attività che non dovrebbero essere svolte, come le riammissioni informali, e la creazione di strutture di grandi dimensioni dove rinchiudere le persone”. Da notare, in più, che solo il 32% di coloro che giungono a Trieste dichiara di voler presentare domanda di asilo in Italia; solo un terzo delle persone migranti, quindi, inciderà in maniera continuativa sul sistema pubblico. Eppure l’intero rapporto evidenzia grandi problemi gestionali e umanitari.
A partire da giugno 2022, nonostante l’aumento delle domande di asilo, il sistema di prima accoglienza (basato su due strutture, l’Ostello di Campo sacro e Casa Malala nella località di Fernetti) si è saturato rapidamente, a causa del rallentamento delle procedure di trasferimento e del ricollocamento dei richiedenti asilo in altre Regioni italiane. Così, le persone -1.535 tra luglio e dicembre 2022- sono rimaste abbandonate in strada, all’addiaccio dai 30 ai 70 giorni prima di poter accedere all’accoglienza prevista per legge. L’Ics, in questo periodo, ha inviato 14 segnalazioni formali via posta certificata alla prefettura di Trieste, per renderla edotta di quanto stava avvenendo. Ma non ha ricevuto risposta.
Da notare che si tratta, in larga parte, di persone che avrebbero diritto a pieno titolo della protezione internazionale. Il 54% dei migranti vengono dall’Afghanistan, Paese in cui si stima che 28 milioni di abitanti abbiano bisogno di aiuti umanitari e che il 97% dei cittadini sia a rischio povertà. Il 25% delle persone viene poi dal Pakistan, il 6% dal Bangladesh, il 4,3 % dall’India, il 3,9% dal Kurdistan turco, il 2,3% dal Nepal e il 4,5% da altri Paesi. La percentuale di afghani si alza ulteriormente quando si parla di minori stranieri non accompagnati: tra i 1.406 minorenni incontrati e assistiti nel 2022, l’85% era di questa nazionalità.
Alla presenza di persone in strada, le istituzioni hanno dapprima reagito con un approccio securitario, mandando pattuglie di polizia per fare allontanare coloro che si accampavano in Piazza Libertà (nei pressi della stazione) e comminando multe per bivacco fino a 100 euro per coloro che erano rimasti fuori dal sistema di accoglienza ed erano quindi costretti a vivere all’addiaccio. Da agosto, invece, è stata permessa la riapertura, sostanzialmente a spese delle associazioni della rete curatrice del dossier, del Centro diurno in via Udine della Comunità di San Martino al Campo che, da maggio 2020, non operava più come servizio a bassa soglia verso chiunque avesse bisogno, ma solo verso un numero limitato di persone senza fissa dimora residenti.
Ulteriori letti sono stati messi a disposizione dal Comune di Trieste dal primo gennaio 2023, portando la capacità totale dei dormitori cittadini a 55 posti, a cui si devono aggiungere altri 25 posti in un’altra struttura per famiglie e situazioni più vulnerabili. L’intervento è stato estremamente utile ma parziale. Nel solo dormitorio gestito dalla Comunità di San Martino al Campo, nell’ultimo quadrimestre del 2022, su un totale di 733 posti letto complessivi, 604 (82%) sono stati assegnati a persone richiedenti asilo in attesa di entrare nel sistema di accoglienza.
Coloro che arrivano dalle rotte balcaniche non necessitano solo di un letto ma anche di altri tipi di assistenza. Tra agosto e settembre 2022, per esempio, 1.088 persone hanno ricevuto visite mediche approfondite nell’ambulatorio di Donk humanitarian medicine, allestito nel Centro diurno in via Udine. Le patologie riscontrate sono state infestazioni cutanee (quasi sempre scabbia), lesioni cutanee da traumi subiti durante il viaggio, malattie infettive e respiratorie. Le associazioni della rete sono inoltre intervenute per fornire cibo, vestiti e informazioni legali alle persone migranti in Piazza Libertà. L’associazione Linea d’ombra distribuisce una media di 50 pasti al giorno, con un picco di 174 in una sera di agosto. “Le nostre proposte sono semplici -conclude Schiavone-, ovvero ripristinare un sistema di accoglienza che realmente funzioni, che a Trieste vuol dire un buon sistema di trasferimenti verso il territorio nazionale, e strutturare i servizi di bassa soglia tenendo conto che la città, per la sua natura e la sua collocazione geografica, deve essere considerata come un’area metropolitana”.
© riproduzione riservata