Finanza / Opinioni
Vincitori e vinti della guerra finanziaria mondiale in atto
La Federal reserve mantiene elevati i tassi per favorire il dollaro e il debito pubblico degli Stati Uniti contro Cina e Sud globale. Mentre i grandi fondi Usa come BlackRock approfittano della loro ingente liquidità per acquistare aziende strategiche. Trionfa la ricchezza di pochissimi. L’analisi di Alessandro Volpi
Gli alti tassi di interesse praticati dalla Federal reserve (Fed) sono un atto geopolitico che poco c’entra con un’inflazione ferma a uno scarso 3,5%. In questa fase gli Stati Uniti hanno bisogno di un dollaro forte e rassicurante e di un debito che garantisca alti rendimenti per mantenere la dollarizzazione e per attrarre risorse finanziarie da tutto il mondo. Tassi alti, quindi, sono necessari per battere qualsiasi ipotesi di concorrenza sul piano geopolitico: il dollaro e il debito Usa devono continuare a essere il centro del sistema quando Cina e Sud globale provano a emanciparsi da un dollaro da cui ancora dipendono troppo per i loro attivi di bilancio. Non è un caso che le agenzie di rating “aggrediscano” la Cina che sforna, invece, dati destinati a “sorprendere” gli osservatori.
Nel frattempo, i grandi fondi hanno una liquidità talmente estesa, tutta in dollari, da non risentire degli alti tassi Fed e da poter così continuare la loro campagna acquisti, certamente favorita dalla scelta della Banca centrale europea (Bce) di non abbassare ancora i tassi, il che impedisce il credito produttivo nella “vecchia” Europa. In sostanza le carte vogliono continuare a darle Fed e le Big three. In una guerra finanziaria mondiale dove si capisce bene chi sta vincendo.
BlackRock, una delle più grandi “società d’investimento” del Pianeta, ha visto crescere di 1.400 miliardi di dollari i risparmi che gestisce, arrivando a sfiorare gli 11mila miliardi di dollari, quasi tre volte il Prodotto interno lordo (Pil) tedesco. Con una simile disponibilità, Larry Fink, il suo amministratore delegato, può fare shopping ovunque in giro per il mondo, dove si avviano processi di privatizzazione o dove si presentano occasioni di facile acquisto. È molto probabile che ciò significherà un maggior peso anche nel nostro Paese a cominciare da banche e multiutility che hanno, in questo momento, prezzi più bassi delle banche americane, del resto, in larga misura già possedute da BlackRock, attiva più che mai nella nostra penisola.
Questo fondo ha infatti comunicato alla Commisione nazionale per le società e la Borsa (Consob) che la sua partecipazione in Terna ha oltrepassato la soglia del 5%, superando così la banca statunitense Lazard nella posizione di secondo azionista: un’infrastruttura decisiva che gestisce le reti per la trasmissione dell’energia elettrica è posseduta per oltre il 10% da due soggetti finanziari di matrice speculativa e, dato molto significativo, la presenza di BlackRock avviene attraverso ben 14 società veicolo, che rendono la sua partecipazione assai opaca, secondo il classico modus operandi dei fondi. Intanto la francese Amundi, anche con il risparmio degli italiani, compra il 26% di Vicotry Capital, una società di risparmio gestito statunitense.
L’Italia non c’è più e il capitalismo tende a essere puro potere finanziario che mette a repentaglio la stessa natura democratica dei sistemi politici. Secondo gli ultimi dati forniti dalla Federal reserve, l’1% della popolazione possiede quasi il 50% della ricchezza finanziaria, pari a circa 20mila miliardi di dollari. Se si allarga il campo visivo, il 10% possiede quasi 40mila miliardi di dollari, mentre il restante 90% si ferma a cinquemila.
Alla luce di ciò sono evidenti tre cose. La prima: nella società più finanziarizzata del Pianeta, dove il welfare è sostituito dalle polizze private, la ricchezza è concentratissima. La seconda: nell’1% più ricco, e in particolare nello 0,1% che possiede il 23% di tutta la ricchezza finanziaria, ci sono i “proprietari” dei grandi fondi, i veri beneficiari del “capitalismo democratico” e del “libero mercato”. La terza: la politica negli Stati Uniti non ha alcuna capacità redistributiva. Il modello americano è il trionfo della ricchezza per pochissimi. Decisamente un bel modello.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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