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Economia / Opinioni

Verso quale “sviluppo” ci conduce il nuovo Codice degli appalti

Con le nuove norme volute dal governo, che entreranno in vigore da luglio, il 98% degli appalti verrà assegnato senza le garanzie previste nelle gare. I richiami di Avviso Pubblico, Legambiente, Libera e Cgil -su conflitto d’interessi, dibattito pubblico, appalti integrati- sono caduti nel vuoto. Un problema democratico

Viviamo in un Paese dove tra i termini “velocità” e “legalità/trasparenza” non viene posta la vocale “e” (sinonimo di congiunzione) ma la “o” (a indicare un’alternativa). Fare presto, dunque, o fare bene? Leggendo il nuovo Codice degli appalti (Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36) pare che il primo principio prevalga sul secondo e che, più che fare bene rispettando le regole alla luce del sole, per il nostro legislatore sia importante fare presto. Ci sono tanti soldi in ballo tra Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e progetti per gli impianti e le infrastrutture inseriti nel piano dei progetti olimpici in vista di Milano-Cortina 2026.

Le regole, secondo chi ha redatto il testo del nuovo Codice, sono percepite come ostacoli allo sviluppo, piuttosto che strumenti che stabiliscono e garantiscono diritti e doveri. Le regole, si dice, sono troppe: è vero, ma non si può accettare che una ragionevole e diffusa richiesta di semplificazione normativa si trasformi, di fatto, in un’estesa deregolamentazione. Che rischia concretamente di alterare il principio della libera concorrenza e di aprire varchi importanti per mafiosi e corrotti, da sempre interessati a inserirsi e a operare nel settore degli appalti.

Nelle settimane precedenti all’approvazione del nuovo testo, Avviso Pubblico, Legambiente, Libera e Cgil hanno inviato alla presidente del Consiglio, al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti e ai presidenti delle Commissioni parlamentari competenti, una lettera con allegata un’articolata tavola sinottica in cui, chiedendo di essere auditi, evidenziavano i punti critici della riforma e proponevano di riflettere su possibili alternative in grado di coniugare semplificazione, legalità, concorrenza, sicurezza sul lavoro e velocità. Nessuna risposta è mai arrivata.

“Con le nuove norme che entreranno in vigore dal mese di luglio, il 98% degli appalti verrà assegnato senza quelle garanzie previste nelle gare che sono state introdotte nel nostro ordinamento sulla base di un’esperienza pluriennale e concreta di prevenzione e contrasto all’illegalità”, hanno scritto le tre associazioni e il sindacato, ricordando che questa allerta era stata condivisa, tra gli altri, dal Forum disuguaglianze e diversità, da Openpolis, dal Centro Pio La Torre e da altre realtà del Terzo settore.

Nello specifico, tra le diverse criticità del nuovo Codice appalti evidenziate nella lettera, vale la pena evidenziarne alcune. La prima riguarda il conflitto di interessi: il testo recentemente approvato, infatti, prevede l’inversione dell’onere della prova, quando invece sarebbe stato necessario intervenire in una logica di semplificazione, rispettosa della vigente normativa europea, in grado di tutelare le stazioni appaltanti nell’individuare i reali contraenti ed eventuali rapporti con soggetti terzi. Inoltre ha azzerato l’effettiva utilità del dibattito pubblico (regolato finora dal Dpcm 76/2018) cancellando la Commissione nazionale, uno strumento concepito per sottoporre a un esame partecipato le ragioni e le caratteristiche dei cantieri da avviare, riducendo i contenziosi che spesso li accompagnano

Il terzo aspetto critico riguarda le stazioni appaltanti: moltiplicare il numero di questi organismi, oltre ad aver innalzato a livello critico le soglie per l’affidamento diretto degli appalti, significa incidere negativamente sulla spesa pubblica, sulla qualità delle prestazioni e dei controlli e, quindi, agevolare potenzialmente azioni di pressione da parte della criminalità organizzata ed economica. Sarebbe stato più opportuno, invece, intervenire per favorire comparazione e ricerche di mercato, rotazioni e strumenti che evitassero di ridurre imparzialità e trasparenza nella gestione di risorse pubbliche.

Ulteriori aspetti da stigmatizzare sono poi la reintroduzione degli appalti integrati (prevedendo nuovamente che progettazione ed esecuzione dei lavori possano essere svolti dal medesimo soggetto, aumentando così i rischi di incremento dei costi, trasformando le stazioni appaltanti in semplici pagatori e favorendo le possibili infiltrazioni criminali) e quella dei subappalti a cascata: dare nuovamente questa possibilità significa ridurre la capacità di controllo sulle opere, favorire l’espansione di logiche illegali e di sfruttamento, che possono concretamente incidere negativamente sulla qualità delle opere, sul loro costo e sulla sicurezza nei luoghi lavoro.

Siamo proprio sicuri che deregolamentare per velocizzare possa essere considerato un pilastro che sta alla base dello sviluppo di un Paese democratico? Amaramente, constatiamo che si tratta di una domanda retorica.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, www.avvisopubblico.it

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