Ambiente / Intervista
Annamaria Gremmo e Marco Soggetto. A difesa delle Cime Bianche
L’ultimo vallone selvaggio della Valle d’Aosta è minacciato da un progetto funiviario. Un collettivo si batte per la sua conservazione attraverso la potenza delle fotografie
L’ultimo vallone selvaggio dell’intera Valle d’Aosta è quello delle Cime Bianche, in alta Val d’Ayas. Nel 2020, però, quest’area è a rischio: la minaccia è un progetto di collegamento funiviario tra il paese di Frachey (Ayas) e gli impianti a monte di Cervinia. “È un progetto vecchio, se ne parla già dagli anni Settanta. Nel 2015 ha subito una accelerata, con la realizzazione di un primo studio di fattibilità. Secondo quel documento, l’investimento sarebbe stato pari a 51 milioni di euro”, sintetizza Marco Soggetto, che dal 2004 con il sito varasc.it si occupa di divulgazione ambientale, naturalistica, culturale e alpinistica della Val d’Ayas. “L’idea è di unire comprensori sciistici del Monte Rosa e del Cervino per creare il terzo più grande al mondo e ‘andare in infradito da Alagna (sul versante piemontese del Monte Rosa, ndr) a Zermatt (sul versante svizzero del Cervino, ndr)’, come spiegava la pubblicità del progetto. Perché il vallone delle Cime Bianche non è sciabile, ma valanghivo: l’impianto lo attraverserebbe e basta, e l’alta Val d’Ayas sarebbe solo un parcheggio”, continua Soggetto. Con la fotografa Annamaria Gremmo ha pubblicato un libro, “L’Ultimo Vallone Selvaggio. In difesa delle Cime Bianche”, uscito a novembre 2019. I due, che intervistiamo insieme, sono impegnati da alcuni anni con il fotografo Francesco Sisti in un progetto di conservazione in difesa delle Cime Bianche. A febbraio 2020 questo piccolo e affiatato gruppo fotografico ha lanciato una petizione su change.org (in cinque giorni, al momento di andare in stampa, ha raccolto circa 4mila firme) a seguito dell’approvazione a fine gennaio del nuovo Documento di economia e finanza regionale (DEFR) della Regione Valle d’Aosta che ribadisce la volontà di realizzare il collegamento funiviario.
Qual è la maggiore ricchezza delle Cime Bianche e perché ve ne siete innamorati?
AG / MS È l’unico ambito rimasto intatto e completamente selvaggio, tranne alcuni alpeggi. Le altre valli intorno, tutte sotto il Monte Rosa, hanno subito una grande trasformazione a causa dello sci di discesa e dell’accoglienza turistica, mentre il Vallone è libero. Un ultimo baluardo intatto. Questo dà una sensazione di immensità: a parte il sentiero principale, che conduce ai grandi laghi e al Colle superiore, ci sono una serie di conche, di piccole vallette, zone totalmente isolate all’interno del Vallone che raggiunge solo chi conosce bene l’area. Un esempio è il lago di Tzére, un altro gioiello. Le parole d’ordine sono una bellezza sconfinata, l’immensità, la wilderness e la biodiversità perché oltretutto si entra in un “santuario” botanico -uno dei biotopi meritevoli di conservazione a livello nazionale, come ricorda la Società botanica italiana- e geologico.
Quale sarebbe l’impatto dell’opera?
AG / MS Il Vallone verrebbe devastato. Un massiccio disboscamento trasformerebbe tutta la zona a monte di Frachey, una frazione sopra Champoluc, comprendente l’imbocco del basso Vallone di Nana e la zona sottostante l’imbocco del Vallone delle Cime Bianche lato Fiery. L’impianto avrà poi bisogno di fondamenta, e questo non può andare d’accordo con la tutela delle praterie e delle numerose aree umide che caratterizzano il Vallone. Lo studio di fattibilità del 2015 prevedeva anche una stazione di “arroccamento” da costruire nei pianori dell’Alpe Vardaz. Tutto questo potrebbe andare a modificare il regime delle acque superficiali. I sostenitori del progetto sembrano, poi, dimenticare che il Vallone è in larga parte un’area tutelata: la Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Ambienti Glaciali del Gruppo del Monte Rosa” parte della rete Natura 2000, il principale strumento della politica dell’Unione europea per la conservazione della biodiversità. Purtroppo i Colli Superiore ed Inferiore ne sono fuori e oggi rappresentano un monito: tutti possono osservare gli sbancamenti importanti già realizzati per costruire impianti di risalita.
“Le parole d’ordine sono una bellezza sconfinata, l’immensità, la wilderness e la biodiversità perché oltretutto si entra in un “santuario” botanico”
Voi non siete originari della Valle d’Aosta. Come accoglie la popolazione locale il progetto?
AG / MS Chi vive nella parte alta della valle, da Champoluc (a 1.600 metri sul livello del mare, ndr) in su, è assolutamente a favore. Con dovute, ma rare, eccezioni. Ad esempio a San Jaques, il borgo che subirebbe l’impatto maggiore in caso di realizzazione dell’opera, non sono favorevoli. Giù nella Bassa Valle invece risultano più scettici perché pensano che investire oltre 50 milioni di euro in questa grande opera significhi buttare soldi di fronte alla riduzione delle risorse pubbliche per i servizi essenziali e ai cambiamenti climatici per i quali le precipitazioni nevose sono sempre più scarse.
Qual è l’alternativa che immaginate per il Vallone?
AG / MS Ci riconosciamo nel concetto “Conservation is the key”. Crediamo nella conservazione: siamo convinti che sia necessario preservare il Vallone delle Cime Bianche così com’è in quanto “bene rifugio”. In un territorio molto antropizzato come quello dell’alta Val d’Ayas, è importante che ci sia almeno un angolo intatto in cui accogliere chi, anche arrivando dalla città, ama questo tipo di natura alpina incontaminata. Frequentando da appassionati della montagna anche altre zone delle Alpi supponiamo che ci siano impianti di risalita che non reggeranno il confronto con i cambiamenti climatici in atto. Non possiamo sapere per quanto tempo l’uomo andrà avanti a sciare. Un cittadino, in valli come questa, può dare un contributo derivante da una mentalità ed una visione più aperte a nuove forme di turismo consapevole e rispettoso dell’ambiente.
“La distruzione è irrevocabile, ed è un monito: oggi ci immergiamo in un contesto di struggente bellezza, ma rischiamo di perdere questo tesoro inestimabile”
Il Vallone delle Cime Bianche può rappresentare un avamposto di futuro per un turismo sostenibile in montagna?
AG / MS Gli impianti di risalita sono riservati a una cerchia ristretta di persone, abbienti, perché l’eventuale spesa per praticare uno sci su pista tra il Monte Rosa ed il Cervino sarebbe elevata. È molto più fruibile, e alla portata di tutti, un avvicinamento consapevole alla montagna attraverso attività come il trekking, in estate, le ciaspolate -per chi conosce la zona-, o lo sci-alpinismo, che non questo tipo di offerta elitaria. L’élite, vera, è quella di famiglie che ad oggi possono permettersi di pagare l’impianto. A Zermatt, che frequentiamo come trekkers e alpinisti da anni in tutte le stagioni, i costi funiviari sono molto impegnativi. Eppure nel Documento economico e finanziario della Valle d’Aosta originario era stato inserito come obiettivo la realizzazione del collegamento, senza alcuna possibilità di discussione. Sappiamo però che dovrà essere redatto un nuovo e sicuramente costoso Studio di fattibilità, come deciso a fine gennaio 2020. Questa analisi dovrà essere chiusa entro la fine del 2021 e dovrà tener conto anche dalle istanze proposte dai portatori di interesse. Questo, purtroppo, non mette il Vallone al sicuro.
State rafforzando la vostra azione, che definite di “visual adovocacy”. Che tipo di attivismo è?
AG / MS Usiamo le immagini per perorare e sostenere una causa, questo è il significato di visual advocacy. Nel campo della conservazione la fotografia sta diventando sempre più uno strumento molto potente. In tutto il mondo i più grandi progetti di conservazione ambientale e tutela di specie a rischio si appoggiano senza dubbio su conoscenze di varia natura (scientifica, ecologica, biologica, etologica), ma si avvalgono per quanto riguarda il coinvolgimento e il supporto del pubblico anche dell’aiuto dei fotografi. Il motivo è semplice: le immagini toccano corde profonde. L’immagine è qualcosa che arriva a tutti. Al di là della preparazione specifica di ognuno, riusciamo ad andare a toccare e smuovere la coscienza attraverso delle immagini.
Nel caso del Vallone lo abbiamo fatto usando due punti di vista. Da una parte c’è la denuncia con le immagini in bianco e nero degli impianti realizzati ai Colli Superiore ed Inferiore che mostrano la gravità di una situazione che non può essere cambiata. La distruzione è irrevocabile ed è un monito: oggi ci immergiamo in un contesto di struggente bellezza ma rischiamo di perdere questo tesoro inestimabile. Questa è la seconda parte del nostro lavoro che documenta la ricchezza naturalistica, geologica, paesaggistica del Vallone. Le immagini servono a stimolare una riflessione. Troppo spesso diamo per scontato quello che consideriamo “patrimonio naturale”. Ma senza tutela, la situazione potrebbe cambiare per sempre. Le persone vedendo le fotografie prendono coscienza di una certa realtà. È il primo importante livello di una causa di conservazione: raise and spred awareness, fai crescere e diffondi la consapevolezza. È uno “scossone” incredibile.
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