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Vaccino italiano contro l’AIDS, tra annunci e realtà
All’inizio di giugno, l’Istituto superiore di sanità ha celebrato i risultati di un presunto “vaccino terapeutico” contro il virus sviluppato in Sudafrica dal gruppo di ricerca che fa capo a Barbara Ensoli, direttrice del Centro nazionale AIDS e fondatrice di una società sconfessata dall’ISS dopo l’intestazione di alcuni brevetti. Ma il traguardo sudafricano è modesto, come spiegano tre esperti, e i conflitti di interessi tra società private non paiono ancora risolti
Lo scorso 8 giugno la pluridecennale vicenda del presunto “vaccino italiano” contro l’AIDS si è arricchita di un nuovo capitolo. A scriverlo è stato l’Istituto superiore di sanità (ISS) in un comunicato stampa dai toni trionfanti, ripreso da buona parte della stampa italiana -e non solo-: “L’ISS in Sudafrica, il vaccino Tat migliora l’effetto dei farmaci anti-HIV”.
Il protagonista della nota, come spiegato dall’ISS, sarebbe un “vaccino terapeutico” sviluppato dal Centro Nazionale AIDS diretto da Barbara Ensoli in grado di indurre “una risposta immunitaria capace di migliorare l’efficacia dei farmaci anti-HIV, evidenziata da un aumento significativo di cellule T CD4”. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista “peer-review, open access “Retrovirology”” non sono dunque quelli relativi ad un “vaccino” propriamente preventivo, come invece presentato superficialmente da chi ha ripreso l’ISS, ma di un “vaccino terapeutico” testato in uno studio di fase II in Sudafrica su 200 pazienti (metà vaccinati e metà controllo) nell’ambito di un programma di cooperazione bilaterale tra i due Paesi dal valore di oltre 22 milioni di euro, fondi erogati dal ministero degli Esteri (il budget dichiarato del trial è stato di circa 850-900.000 euro).
Eppure è dal 1998 che la ricercatrice e il suo gruppo di ricerca ha annunciato al mondo il “vaccino italiano” contro l’AIDS. Che ancora non si è visto, ma che ha comunque richiesto un impegno pubblico di oltre 28 milioni di euro, secondo stime conservative. L’attesa ha conosciuto un sussulto nella primavera 2014 dopo la nostra inchiesta giornalistica “Aids, dov’è il vaccino”, dalla quale emerse che l’Istituto aveva riconosciuto una “opzione esclusiva della durata di 18 mesi per l’utilizzo dei brevetti” del cosiddetto “vaccino” a favore di una società -la Vaxxit Srl- fondata da Ensoli e amministrata da Giovan Battista Cozzone, esperto di brevetti che dal maggio del 2009 ha prestato una consulenza quadriennale per conto (e perciò nell’interesse) dell’ISS in materia di “trasferimento tecnologico”. Dopo l’iniziale nulla osta, la concessione fu revocata all’inizio del novembre 2014 dall’allora commissario straordinario dell’ISS poi nominato presidente, il prof. Gualtiero Ricciardi, per “note di criticità emerse” e “significative riserve in ordine al riconoscimento della società Vaxxit Srl quale spin-off”.
L’ultima nota dell’Istituto apre in ogni caso diversi scenari. Da una parte c’è quello relativo al giudizio di merito dei risultati sintetizzati dall’Istituto. Tre autorevoli interlocutori -l’immunologo Fernando Aiuti, il prof. Guido Poli, noto ricercatore sulla patogenesi dell’infezione da HIV, e il medico nonché coautore del libro “AIDS, lo scandalo del vaccino italiano” (Feltrinelli 2012), Vittorio Agnoletto- confermano ad Ae perplessità già manifestate all’epoca dei precedenti trial italiani.
Sia sul clamore -“Non c’è alcun traguardo raggiunto da un punto di vista clinico o terapeutico”, spiega Aiuti, “Sia chiaro che stiamo parlando di un contesto completamente diverso dallo sforzo internazionale particolarmente frustrato ancora oggi nonostante svariati milioni investiti per cercare un vaccino preventivo”, aggiunge Poli-, sia sulla rivista che ha dato conto dei risultati -“Retrovirology è una rivista con un fattore di impatto piuttosto modesto (4.185), per cui sorprende un comunicato stampa così pomposo. Inoltre, questa rivista non rientra tra quelle dove si pubblicano abitualmente studi clinici su vaccini sperimentali; inoltre nella scelta dei pazienti arruolati in questo trial sono state fatte scelte di esclusione di gruppi di malati (ad esempio quelli con positività di anticorpi anti TAT) che poi non potranno né dovranno essere effettuate sia in una fase III e nemmeno se il vaccino fosse un domani commercializzato”, commenta ancora il prof. Aiuti-, sia sul paradosso che un simile “trionfo” non abbia trovato ospitalità presso meeting scientifici specializzati italiani e internazionali -ad esempio l’ottava Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR 2016), come segnala il prof. Poli-.
Fernando Aiuti suggerisce prudenza anche rispetto ai prossimi passi che aspettano il presunto “vaccino”: dopo la fase II, quella in discussione in questi giorni, dovrà compiersi la fase III affinché il farmaco (e non il vaccino preventivo originalmente inteso) possa essere proposto in associazione alla terapia. “Tutto ciò -spiega Aiuti- implica un numero maggiore di pazienti, arruolati in doppio cieco, che dovranno essere almeno 3-4mila per ogni braccio del trial (uno con vaccino e uno con placebo). Prima di veder pubblicata una fase III, inoltre, occorrono almeno tre anni, dopo un trial cosiddetto multicentrico. E non dimentichiamoci che si dovrà individuare un’azienda il cui operato, come minimo, verrà a costare decine di milioni di dollari. Auguri”.
Ma l’ultimo sviluppo è, come al solito, societario. Contrariamente a quanto affermato a fine 2014 a chiare lettere dall’allora commissario dell’ISS, poi divenuto presidente, Ricciardi, la società Vaxxit, fondata da Ensoli e Cozzone, non è assolutamente uscita di scena, anzi. L’hanno confermato i diretti interessati al Financial Times, che il 9 giugno scorso gli ha addebitato virgolettati espliciti. Cozzone ha dichiarato che la Vaxxit sarebbe impegnata nel reperimento di 15 milioni di euro con l’obiettivo di coprire una parte dei costi per gli “studi clinici finali”. Peraltro Vaxxit continua a indicare nei propri documenti societari due “diritti di privativa industriale” su altrettanti brevetti in parte riconducibili alla ricerca pubblica dell’Istituto.
Probabilmente, però, l’uscita di Cozzone ed Ensoli sulla stampa internazionale è stata prematura. L’ufficio stampa dell’ISS, dopo qualche giorno di attesa, ha fatto sapere ad Altreconomia che “non esistono spin-off dell’ISS relativamente allo sviluppo del vaccino e tantomeno esiste una collaborazione formale con Vaxxit” -smentendo i due fondatori della srl-, aggiungendo che “nonostante i dati positivi prodotti dagli studi della dottoressa Ensoli, non sono stati stanziati ulteriori fondi poiché i costi delle fasi successive di sviluppo sono incompatibili con le risorse pubbliche disponibili”.
Su una domanda, però, l’Istituto non ha dato una risposta chiara. Ed è quella relativa alla società Diatheva Srl, biotech italiana che starebbe producendo il vaccino Tat sviluppato dall’ISS in Sudafrica, nell’ambito del programma di cooperazione tra l’Italia e il Paese africano. Su rinvio del ministero degli Esteri, abbiamo chiesto all’Istituto, l’ente attuatore del progetto, chi e come abbia selezionato questo veicolo come “sviluppatore” del “vaccino”. Tra i suoi soci, oltre al maggioritario Sol Spa (che si presenta come “leader in Italia nel settore della produzione e commercializzazione dei gas tecnici, industriali, puri e speciali e medicinali” ha il 51% del capitale), spunta con l’8,63% delle quote la 3I Consulting del consulente Cozzone, già socio di Ensoli e contemporaneamente amministratore della Vaxxit -particolarmente interessata a reperire finanziamenti-.
Il groviglio giunge fino alla Vaxxit, che nel 2015 non ha sostanzialmente operato (i ricavi del bilancio sono azzerati). All’inizio di quest’anno i suoi soci sono nuovamente cambiati. La 3I Consulting di Giovanni Cozzone ha rilevato quasi tutte le quote, raggiungendo il 95,05% del capitale sottoscritto. E Barbara Ensoli (insieme ad altri, tra cui il dottor Paolo Monini, capoprogetto in Sudafrica nell’ambito del programma di cooperazione) è formalmente uscita di scena. È ragionevole pensare che la rinuncia alle quote di Vaxxit, e a un potenziale conflitto d’interessi, sia stata perfezionata anche alla luce dell’imminente selezione pubblica dei responsabili delle 22 strutture tecnico-scientifiche dell’ISS. Tra i posti da assegnare attraverso delle commissioni di concorso, infatti, c’è anche quello di direttore del Centro nazionale ricerca HIV/AIDS, attualmente in capo a Barbara Ensoli.
In Vaxxit sono quindi rimasti Mauro Magnani dell’Università di Urbino, socio della Diatheva Srl, la Ferghana Securities Inc., domiciliata a Wilmington, nello Stato Usa a fiscalità agevolata del Delaware, John Douglas Wilson (Nuova Zelanda), Cedric Bisson, già “venture partner” del più grande fondo di fondi canadese, Teralys Capital, e due nuovi volti, Dominique Ernotti e Teresa Cavalletti.
“All’orizzonte non c’è alcun vaccino -ribadisce Agnoletto- e l’unico modo per evitare d’infettarsi è la prevenzione. Chiedo formalmente al presidente dell’ISS di rendere pubblico l’ammontare dei finanziamenti attribuiti fino ad ora a questo progetto; si tratta di soldi pubblici e chi ne dispone ha il dovere di valutare il rapporto costi/efficacia, soprattutto quando la ricerca scientifica pubblica sta subendo durissimi tagli. Peraltro, la reticenza nel rispondere alle domande poste da Altreconomia fa temere la presenza di non indifferenti conflitti di interesse con persone che giocano ruoli diversi nella stessa ‘commedia’, tra dipendenti e collaboratori pubblici e contemporaneamente imprenditori con interessi privati”.
Aver contezza delle strategie di Vaxxit, in ogni caso, è impossibile, dato che il suo amministratore unico, Giovan Battista Cozzone, non è disponibile ad alcun chiarimento. La saga del “vaccino italiano” non ha mai fine.
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