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Altre Economie

Una tazzina e il mondo

I ragazzi del Collettivo Malatesta di Lecco importano caffè dal Sud del mondo per tostarlo “come una volta” e rivenderlo ai gruppi d’acquisto

Tratto da Altreconomia 131 — Ottobre 2011

La prima sessione di tostatura dura mezz’ora. La macchina per la torrefazione artigianale del caffè, una Trabattoni di trent’anni, ci mette un po’ a raggiungere i 150 gradi. Jacopo e Matteo l’hanno caricata a mano con 30 chili di caffè “verde”: chicchi biologici arrivati in sacchi di juta dal Messico, da una filiera equo-solidale. Jacopo e Matteo fanno parte del “collettivo Malatesta”, cinque ragazzi ed una ragazza, tra i 20 e i 24 anni, che da gennaio 2010 “producono” caffè nella sede del gruppo d’acquisto solidale di Lecco, “la comunità della sporta” (quellidellasporta.it), e lo vendono ai soci del Gas, che sono circa 300. “Partendo da una tazza di caffè vogliamo parlare al mondo”, spiegano, mostrando la tabella del prezzo trasparente dei loro macinati, “Miscela” e “Arabica”: tra il 56 e il 57% del prezzo finale va ai produttori. Non è una questione di prezzo, ma di cultura: il caffè è la seconda merce più scambiata al mondo, e fuori dai canali del commercio equo impoverisce le comunità produttrici. Al caffè, conversando d’anarchia e di libertà è il titolo di uno scritto di Errico Malatesta, cui il collettivo deve il nome e il marchio.
“Al supermercato il Lavazza qualità Oro costa 4,21 euro per 250 grammi, circa un euro in più della miscela ‘caffè Malatesta’. Pubblicassero un pezzo trasparente, dovrebbero spiegare quanto ci costa la pubblicità tv con Paolo Bonolis”.
Il “collettivo Malatesta” dedica alla torrefazione il lunedì pomeriggio. “Abbiamo iniziato con qualche decina di chili al mese -racconta Jacopo-. Oggi maciniamo quasi 2 quintali di caffè. Ciò significa che lavoriamo circa 3 quintali di ‘verde’, perché il 20% del peso si perde con la tostatura”.
È l’acqua che lascia il chicco, “mentre con una torrefazione di tipo industriale la perdita di peso è minore. Inoltre -racconta Matteo, un ventenne in procinto d’iscriversi alla facoltà di Agraria- la nostra macchina funziona a tamburo rotante, i chicchi si mescolano. Le macchina industriali, invece, sono a ‘letto fluido’, il caffè è cotto in aria, e spesso solo all’esterno”. Le macchine industriali lavorano uno, due quintali per volta, e la torrefazione dura cinque, sei minuti. Come accade per l’essiccazione della pasta, però, il tempo non è una variabile indipendente: “Più è lenta la torrefazione, più il chicco ha modo di esprimere sapori, di liberare gli oli essenziali” spiega ancora Matteo. Dopo la prima fase sperimentale, i sei ragazzi di Lecco (Cristiano, Edoardo, Elisa, Jacopo, Matteo e Niccolò) hanno deciso di fare un passo in avanti: “Fin dall’inizio ci eravamo prefissati un obiettivo -racconta Jacopo-: quest’esperienza, per un paio di noi, dovrà diventare un’opportunità di lavoro. Finora abbiamo fatto tutto a titolo volontario, riconoscendoci solo un rimborso delle spese vive quando andiamo in giro a presentare il progetto”. Tutto il guadagno finisce nel salvadanaio del collettivo, con l’obiettivo di costituire una cooperativa: “Abbiamo fatto un primo, piccolo investimento: una macchina per il sottovuoto, da 1.200 euro. Per il momento, il caffè lo distribuiamo così: i pacchetti con la valvola costano di più”.
Con l’aiuto di un amico, il collettivo Malatesta ha redatto un business plan: per dar vita alla cooperativa servono 15mila euro, per affittare un laboratorio e far fronte alle spese notarili. “Riteniamo che ci sia la possibilità di successo. Il nostro obiettivo è quello di chiudere la filiera equo-solidale, dal chicco alla macinazione, che oggi anche le centrali d’importazione affidano a trasformatori tradizionali. C’è spazio per un’iniziativa di questo tipo”. Uno spazio che si misura (anche) con le relazioni che il collettivo Malatesta ha stretto nell’ultimo anno e mezzo. All’inizio della fase sperimentale, ad esempio, acquistava caffè bio certificato Flo dall’importatore Sandalj, di Trieste. Oggi, invece, lavorano (soprattutto) il caffè del Guatemala importato da Mondo Solidale, la cooperativa marchigiana di commercio equo, e quello importato da Messico e Honduras dalla cooperativa tedesca Café Libertad. “Volevamo un rapporto diretto con il produttore, anche per togliere un intermediario dalla filiera”. Passaggi intermedi che avrebbero gravato sul prezzo finale del caffè. “Ma il nostro obiettivo non è solo quello di vendere del caffè. Cerchiamo, ad esempio, di spingere sul lato ecologico, spiegando che quello venduto in grani richiede meno imballaggi. Il caffè macinato al momento, inoltre, è più buono”. I prossimi passi: un sito internet e la costituzione della cooperativa. Poi, tra un esame e la preparazione della tesi, i sei del collettivo Malatesta potranno occuparsi di sviluppare nuove relazioni. Per allargare una rete che oggi comprende una quindicina di Gas tra Lecco e Brianza, una gelateria di Seregno, alcune botteghe di commercio equo e la Coordinadora, che distribuisce in Italia caffè zapatista (vedi box). Info: www.caffemalatesta.org, caffemalatesta@autistici.org

Tutto bio, o quasi
“Abbiamo iniziato facendo assaggiare il caffè Malatesta ai ‘gasisti’ di Lecco, che ogni due settimane vengono in sede nel giorno delle consegne, al sabato mattina” racconta Jacopo. Anche le famiglie dei sei ragazzi sono socie del Gas. Edoardo è figlio di Alessandro Magni, presidente dell’associazione “la comunità della sporta”. La spinta solidale continua: sono una cinquantina, su 300, i soci del Gas che acquistano il caffè del collettivo. La miscela costa 12,8 euro al chilo; l’arabica 100%, 14,80 euro. Il caffè Malatesta è tutto certificato biologico, tranne quello di El Bosque, importato da Mondo Solidale (www.mondosolidale.it, la cooperativa è socia di Ae) dalla cooperativa guatemalteca “La nuova esperanza”: “Non c’è  il certificato -spiegano quelli di Malatesta-, ma una filiera diretta, che ci dà fiducia”.
Per dar vita alla cooperativa, ad esempio, il collettivo ha promosso una “campagna straordinaria di sottoscrizione”, per raccogliere donazioni, prestiti e il prefinanziamento dell’acquisto caffè. Mutualità è la parola d’ordine, su questo ramo del lago di Como. Dall’estate, ad esempio, il collettivo Malatesta lavora tutto il caffè zapatista “Durito”, prodotto dalla cooperativa Yachil Xojobal Chu’lchan (“Nuove luce nel cielo”) e commercializzato in Italia dalla Coordinadora (www.coordinadora.it), rete di sostegno alla comunità zapatiste del Chiapas. “Prima il caffè veniva torrefatto in Germania, e in Italia arrivava già impacchettato”.

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