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Esteri / Attualità

Una campagna dal basso per continuare a stare al fianco delle donne afghane

Cisda e Large movement lanciano l’iniziativa #StandUpWithAfghanWomen per chiedere ai governi europei e alle Nazioni Unite di non riconoscere il governo dei Talebani, che garantirebbe loro legittimità istituzionale e renderebbe ancora più dura la repressione nei confronti dei dissidenti e dell’opposizione interna

Manifestazione di afghani a Londra nell'agosto 2021 - © Ehimetalor Akhere - Unsplsah

Non riconoscere il governo dei Talebani da parte dei Paesi europei e delle Nazioni Unite, garantire l’autodeterminazione del popolo afghano, affinché possa decidere del proprio destino senza ingerenze straniere, sostenere il ruolo politico delle forze afghane democratiche e progressiste e mettere al bando i personaggi politici legati ai partiti fondamentalisti. Ultimo, ma non meno importante, monitorare le violazioni dei diritti umani fondamentali da parte dell’attuale governo di Kabul. Sono le richieste contenute nella petizione “Stand up with afghan women“, campagna promossa dal Cisda (Coordinamento italiano sostegno donne afghane) e Large movements (realtà che si occupa di informazione, progettazione e advocacy sul fenomeno migratorio) nell’ambito della Rete euro-afghana di coalizione per la democrazia e la laicità, network di organizzazioni già impegnate a vario titolo nella loro azione quotidiana, per la difesa dei diritti umani (Altreconomia è media partner dell’iniziativa).

“La vita e la sicurezza delle donne sono a rischio fin da quando sono bambine -spiegano le promotrici e i promotori della Campagna- e il loro diritto di scelta nella sfera personale, educativa e lavorativa è ormai completamente negato. Tutta la popolazione è costretta a vivere in condizioni inaccettabili”. Da quando il nuovo governo talebano si è insediato ufficialmente al potere con la presa di Kabul, nell’agosto 2021, sono stati documentati molteplici episodi di abusi dei diritti umani, la soppressione dei diritti di donne e ragazze, l’intimidazione di giornalisti e di coloro che hanno levato la propria voce per denunciare questa situazione. Nel Paese, tuttavia, è attiva una resistenza tenace e clandestina, da oltre quarant’anni contro tutti i fondamentalismi e le ingerenze straniere. Una resistenza condotta dalle donne e che va sostenuta “perché è una luce contro l’oscurantismo e la violenza di genere, nonché contro le connessioni transnazionali che le alimentano”, sottolineano i promotori.

Per questo motivo il Cisda e Large movements chiedono al governo italiano, a quelli dei Paesi europei, alle massime istituzioni dell’Unione e alle Nazioni Unite di intervenire. Il primo passo richiesto è quello di non riconoscere ufficialmente il governo talebano: se così fosse, infatti, questo garantirebbe un’importante legittimazione alle autorità oggi al potere a Kabul e permetterebbe loro di imprimere un’ulteriore stretta alla repressione delle manifestazioni di dissenso e dell’opposizione interna. “Con un riconoscimento di diritto o di fatto del regime talebano, un’intera generazione di donne e uomini che rappresentano l’unico futuro di pace per il proprio Paese, sarebbe destinata a scomparire”, evidenzia ancora la petizione.

La seconda richiesta riguarda una serie di interventi per favorire l’autodeterminazione del popolo afghano, affinché possa decidere del proprio destino senza ingerenze straniere. Per ottenere questo risultato è necessaria però un’azione incisiva a sostegno alle realtà democratiche e anti-fondamentaliste che da decenni operano in condizioni difficilissime in Afghanistan. Per raggiungere questo obiettivo, i promotori della petizione avanzano due richieste: sottoporre a sanzioni economiche gli Stati che hanno sostenuto e continuano a sostenere le milizie talebane; inserire nella lista nera del terrorismo dell’Unione europea gli esponenti del governo di Kabul già presenti in quella delle Nazioni Unite (17 su 33) applicando nei loro confronti il divieto di ingresso nell’Ue e il divieto di messa a disposizione dei fondi europei.

La petizione chiede poi che le forze politiche progressiste afghane, a partire da Rawa (l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan) e Hambastagi (l’unico partito laico, democratico, inter-etnico e indipendente esistente nel Paese) siano riconosciute nel ruolo di interlocutore politico dall’Unione europea e dai governi nazionali in Europa: “Chiediamo inoltre che i loro rappresentanti ricevano tutto il sostegno e la protezione necessari dalla comunità internazionale sia all’interno del Paese, sia all’estero”.

Il quarto punto della petizione mette al centro il rispetto dei diritti umani con la richiesta alle istituzioni europee e alle agenzie delle Nazioni Unite di nominare un Relatore speciale sui diritti umani in Afghanistan e di istituire un Organismo di investigazione internazionale indipendente, con poteri di documentazione e di raccolta di prove in loco, per accertare le responsabilità del governo e delle milizie fondamentaliste in materia di violazione dei diritti umani, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.

“La campagna #StandUpWithAfghanWomen, che lanciamo a un anno di regime talebano, si snoderà in diverse azioni di informazione, sensibilizzazione e advocacy rivolte alla società civile e ai decisori politici -concludono i promotori dell’iniziativa-. Le azioni verranno co-programmate e co-progettate assieme a tutte le realtà che aderiranno”.

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