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Una bomba ecologica alla deriva nel Mediterraneo nel silenzio generale. Riguarda anche Eni

© Paul Hanaoka - Unsplash

Da settimane la nave cisterna Fso Sloug è sfuggita ai tentativi di rimorchio e ora si trova alla deriva nel golfo di Sirte, minacciando la costa orientale della Libia. In passato in mano alla Mellitah Oil&Gas, joint venture tra Eni e la libica Noc, c’è il rischio che venga affondata. Con gravi conseguenze sull’ambiente

Una bomba ecologica si muove incontrollata nel Mediterraneo nel silenzio generale. Un fatto che tocca gli interessi di Eni. È quanto denuncia Sergio Scandura, giornalista e corrispondente di Radio Radicale che sta raccontando da settimane gli sviluppi legati alla nave cisterna Fso Sloug un colosso di 348,93 metri sfuggito ai tentativi di rimorchio e che ora si trova alla deriva nel golfo di Sirte, minacciando la costa orientale della Libia. Il suo affondamento sembra ormai molto probabile con gravi conseguenze sull’ambiente.

“Stavamo seguendo la posizione del rimorchiatore Asso Ventinove battente bandiera italiana e di proprietà di Augusta off-shore, provider di Eni -racconta Scandura ad Altreconomia– quando a metà novembre lo abbiamo notato fermo tra Malta e Libia. Inizialmente pensavamo si trattasse di un’operazione di ‘soccorso’ ma in seguito abbiamo appreso che era impegnato nel traino della Fso Sloug”. Varata come Agip Sardegna nel 1973 ha prestato servizio come petroliera fino al 1988, quando è stata venduta alla Mellitah Oil&Gas (Mog) joint venture tra Eni e la libica Noc -con sede fiscale agevolata ad Amsterdam- e convertita in floating storage, cioè in magazzino galleggiante. Dopodiché è stata attraccata alla piattaforma off-shore Buri situata al largo della Libia e sfruttata da Mog. Nel 2017 la vecchia petroliera è stata sostituita nelle funzioni di serbatoio galleggiante da un’altra, nuova e ancora più grande. Alla Fso Sloug non restava altro destino se non quello di essere smantellata con un’operazione lunga e costosa. 

Alla fine del 2021, però, è successo qualcosa: il 5 novembre l’ambasciata tunisina in Libia ha segnalato la morte di quattro operai e il ferimento di un quinto a causa di un cedimento strutturale sulla piattaforma Bouri proprio durante le operazioni di dismissione della Fso Sloug. “La nave è stata venduta ‘così com’è e dove si trova’ a un compratore libico di cui non si conosce l’identità”, aggiunge Scandura. Forse durante il traino verso un cantiere turco a causa dei forti venti e delle correnti l’imbarcazione avrebbe perso l’ormeggio al quale assicurata ed è andata alla deriva verso il golfo di Sirte. 

Si tratta di una bomba ecologica in quanto, nonostante non sia più in servizio, contiene ancora residui pericolosi per l’ambiente. “È una nave di dimensioni ragguardevoli lunga come tre campi da calcio -ricorda Scandura- se dovesse spiaggiarsi lungo le coste libiche potrebbe danneggiare gravemente le infrastrutture presenti, molte delle quali legate paradossalmente alla lavorazione e al trasporto del petrolio. Se non riescono a governare questa ‘bomba’ ecologica e trainarla fino alla destinazione di un cantiere portuale per lo smantellamento, come è già accaduto in casi del genere, l’affondamento è la scorciatoia più praticata”. La decisione avrebbe comunque gravi conseguenze sull’ambiente vista la presenza di sostanze tossiche sia nello scafo della petroliera sia nel suo carico e la possibilità che l’affondamento del relitto possa danneggiare cavi e tubature sottomarine. 

Eni -che nel primo semestre 2021 ha prodotto nel Paese 167mila barili equivalenti di petrolio (boe) al giorno, il 10% della produzione di idrocarburi complessiva dell’azienda- ha negato il suo coinvolgimento nella questione. “La Fso Sloug non è un asset di Eni. È un’unità galleggiante che operava presso il giacimento libico offshore di Bouri, gestito dalla Mellitah Oil & Gas (società partecipata da NOC e da Eni) -ha scritto un rappresentante dell’azienda-. È stata ceduta a ottobre di quest’anno a una società terza che prevedeva di ricollocarla presso altra destinazione”. La multinazionale degli idrocarburi ha poi aggiunto che “il giorno 7 dicembre a causa di condizione di mare non favorevoli, Asso Ventinove, un rimorchiatore appartenente ad una società contrattista che opera per conto di MOG presso il giacimento di Bouri, si è adoperata, in coordinamento con la Port Authority libica, per tenere in posizione l’FSO evitando una sua possibile deriva”. Deriva che si è verificata.

Secondo Ezio Amato, responsabile Ispra per le emergenze ambientali in mare, per il traino di un natante così massiccio potrebbero essere necessari rimorchiatori d’altura molto potenti, oltreché condizioni meteorologiche favorevoli. “Non sappiamo in che modo sia stato pianificato il rimorchio -riflette Amato rispetto al caso specifico- e nemmeno dove fosse diretto il relitto”. Al di là della dinamica, resta una grave minaccia per il Mediterraneo, la sua biodiversità e le economie che vi hanno teatro.

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