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Un Consiglio alle carceri italiane

Il Comitato dei ministri in seno al Consiglio d’Europa ha promosso con "riserva" i passi fatti in materia di sovraffollamento e qualità della detenzione nelle prigioni italiane a un anno e mezzo dalla "sentenza Torreggiani". Mauro Palma, già presidente di Antigone, e Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale a Ferrara, descrivono ad Altreconomia i risultati raggiunti e le prospettive alla luce della decisione comunitaria del 5 giugno scorso

Il 5 giugno scorso, a un anno e sei mesi dalla sentenza della seconda sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul “caso Torreggiani e altri contro Italia”, il Comitato dei ministri presso il Consiglio d’Europa ha di fatto promosso con rinvio il sistema carcerario del nostro Paese.
 
L’ha fatto con una decisione sinteticamente articolata in cinque punti, giunta al termine di un lasso di tempo (da maggio 2013 a maggio 2014) riconosciuto dalla Corte all’Italia per trovar soluzione ad una condizione di detenzione inumana e degradante, in palese violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”). Quattro dei cinque punti della “promozione”, però, rappresentano una dichiarazione di fiducia, quasi un attestato di stima all’esecutivo, più che una concreta valutazione dei luoghi di pena e detenzione italiana. “I deputati -si legge dal testo della decisione- prendono atto con interesse” del rimedio risarcitorio immaginato per mezzo di un “imminente” -perché ad oggi non ancora licenziato dal Consiglio dei ministri- decreto legge del governo in materia. Ad ogni modo, la “valutazione complessiva” vedrà la luce (solo) nel giugno del prossimo anno.
 
“In primo luogo è necessario inquadrare esattamente che cosa ha affermato il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa -spiega ad Altreconomia il professor Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Ferrara-. Ha apprezzato gli sforzi intrapresi dall’Italia in questi ultimi 12 mesi, specie con riferimento ai rimedi preventivi capaci cioè di incidere sui flussi di entrata e uscita dal carcere. Ha però anche detto che non abbiamo fatto abbastanza, specie sul versante dei rimedi compensativi. Dunque, si è aggiornato al più tardi alla sua riunione di giugno 2015, impegnandosi, nel frattempo, a monitorare le iniziative che comunque l’Italia dovrà intraprendere per adempiere al giudicato europeo”. 
 
Come evitare che questo passo avanti vada perduto? “Penso che se questo è il quadro è il momento di proseguire nell’azione intrapresa e penso in particolare ad alcuni provvedimenti -ragiona Pugiotto-: l’approvazione della modifica dei presupposti della custodia cautelare, l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento, l’approvazione di un meccanismo compensativo che non può che essere pecuniario per chi è uscito di galera (in condizioni inumane e degradanti) e che dovrà essere di diversa natura per chi ancora sta scontando la pena in galera. Ma per mettere in sicurezza le cose fatte e da fare, continuo a pensare che sia più che opportuno una misura di clemenza generale. Non di generalizzato oblio o di pacificazione, ma mirata. Con riferimento a chi sta subendo una detenzione inumana e degradante a seguito di alcune leggi carcerogene: legge sulla recidiva qualificata, sulle tossicodipendenze, normativa in materia di immigrazione. Ed è il momento di approvare le deleghe che il Parlamento ha concesso al Governo con riferimento alla introduzione nel codice penale di pene non detentive che siano irrogabili già dal giudice di cognizione, come la detenzione domiciliare”. 
 
Mauro Palma, presidente della Commissione per l’elaborazione degli interventi in materia penitenziaria presso il ministero della Giustizia istituita nel giugno 2013 e che per conto del ministero stesso -ora guidato da Andrea Orlando- ha curato la pratica in sede comunitaria, dà comunque conto ad Altreconomia della sua “valutazione positiva” del verdetto. 
 
Professor Palma, che cosa ha detto il Consiglio d’Europa?
 
Quella del Comitato dei ministri è a tutti gli effetti una dichiarazione che prende atto di un cambio di indirizzo dell’amministrazione penitenziaria e della politica penitenziaria italiana. Si faccia attenzione: non dice che i problemi sono risolti, ma di fatto riconosce dell’altro tempo per monitorare i passi avanti fatti per superare le criticità già espresse con la sentenza Torreggiani. 
 
Non è una “riserva”, dunque?
 
I rinvii del Comitato dei ministri possono essere di due tipi. Da una parte possono fotografare una sostanziale inazione cui si riconosce un’inutile proroga (“Non avevate fatto niente o un granché però vi diamo altro tempo”) -ma non è questo il caso- altrimenti costituiscono una presa d’atto dei progressi avvenuti e verso i quali si prevede più in avanti una verifica del loro effettivo consolidamento. Su questo punto, ad esempio, il Comitato non è mai stato favorevole a provvedimenti di clemenza quali amnistie e indulti.
 
Quali sono stati i provvedimenti che hanno consentito di raggiungere i “risultati significativi” citati dal Consiglio d’Europa?
 
In primo luogo vi è stato il decreto -poi convertito in legge- dell’allora ministro Paola Severino (governo Monti, ndr) che aveva introdotto a termine la possibilità della pena domiciliare negli ultimi 18 mesi di condanna. L’ex ministro Annamaria Cancellieri (governo Letta, ndr) rese poi stabile quella misura, che a pieno diritto è divenuta una facilitazione di misura alternativa. Dopodiché sono stati rimossi alcuni gravi limiti della cosiddetta legge ex Cirielli, che prevedeva senz’alcuna distinzione autentiche impossibilità ad accedere a misure alternative per i “recidivi”. Anche la cancellazione del reato di immigrazione clandestina ha rappresentato un passaggio importante, cui ha fatto seguito il decreto di fine anno 2013 che ha previsto pene assai più contenute per lo spaccio di lieve entità. Infine, ma questo non ha a che fare con iniziative legislative, ha influito non poco anche la sentenza della Corte Costituzionale che nel febbraio scorso è intervenuta a proposito della legge Fini-Giovanardi (dichiarandone l’incostituzionalità, ndr).
 
Anche in materia di modalità della vita in carcere è stato fatto più di un passo avanti. Grazie alla misura contenuta nella relazione conclusiva della Commissione che ho presieduto relativa al numero di otto ore da trascorrersi al di fuori dalle celle abbiamo costretto le direzioni degli istituti a organizzarsi, mettendo di fatto mano al modello detentivo. Penso poi all’abolizione dei banconi nei colloqui o alla predisposizione di spazi “idonei” per i figli dei detenuti.
 
Tra i punti citati dal Comitato dei ministri c’è l’“imminente” decreto a proposito dei risarcimenti a favore di chi ha patito le condizioni già certificate nella sentenza Torreggiani ed altri. Qual è l’iter che si prospetta?
 
La questione verrà risolta in uno dei prossimi Consigli dei ministri, anche perché la giurisdizione comunitaria ha guardato con favore a che casi come questi, che sono circa 4mila, venissero “risolti” dai giudici nazionali. Peraltro, intervenendo con decreto “interno” si potranno corrispondere risarcimenti dal valore inferiore di almeno il 40% rispetto a quelli potenzialmente comminabili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per questione di spese legali e traduzione.

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