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Cultura e scienza / Opinioni

Uffizi-Ferragni: l’arte diventa un prodotto da consumare

L’“imprenditrice digitale” Chiara Ferragni durante il servizio fotografico svolto per la rivista Vogue agli Uffizi

Un museo deve fornire strumenti per stimolare il pensiero critico. Con la scelta di una influencer come testimonial ha sbagliato tutto. La rubrica di Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 229 — Settembre 2020

Non ho mai ricevuto tante lettere private su un caso pubblico come durante il dibattito sul servizio fotografico di Chiara Ferragni agli Uffizi, nel luglio di quest’anno. I fatti sono noti: l’influencer ha scelto di usare il museo come location per un servizio fotografico che uscirà su Vogue. La direzione degli Uffizi non ha voluto comunicare l’ammontare del fee pagato dalla produzione ma in compenso ha pubblicato un terrificante post che commenta così la fotografia della Ferragni di fronte alla Venere di Botticelli: “I canoni estetici cambiano nel corso dei secoli. L’ideale femminile della donna con i capelli biondi e la pelle diafana è un tipico ideale in voga nel Rinascimento. Magistralmente espresso alla fine del Quattrocento da Sandro Botticelli nella Nascita di Venere attraverso il volto probabilmente identificato con quello della bellissima Simonetta Vespucci, sua contemporanea. Una nobildonna di origine genovese, amata da Giuliano de’ Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico e idolatrata da Sandro Botticelli, tanto da diventarne sua Musa ispiratrice. Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni, nata a Cremona, incarna un mito per milioni di followers, una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social”.

Di fronte all’infuriare delle polemiche, l’ineffabile direttore degli Uffizi l’ha buttata sulla fanta-statistica affermando che la presenza della Ferragni avrebbe avuto un benefico effetto istantaneo provocando nelle ore successive un aumento dei visitatori del 24% (e in particolare del 27% per i giovani). Tutto ciò naturalmente senza un serio studio statistico e senza interviste ai visitatori: l’oste dice che il vino è buono, come contraddirlo. E pazienza se nello stesso week end la ripresa del turismo post-Covid-19 faceva segnare un incremento del 38% al Colosseo e del 41% ai Musei Vaticani: di certo avranno avuto in visita Gianluca Vacchi e Mario Balotelli. Ma il punto sollevato dalle lettere, soprattutto da quelle dei miei studenti, non era quello della quantità ma della qualità. Anche ammesso che molti adolescenti vadano a farsi un selfie davanti alla Venere del Botticelli, nella stessa posa della Ferragni, questo sarebbe un successo culturale? In un Paese che non investe nulla in una vera formazione all’arte, dalla scuola alla didattica museale, la questione è centrale. E forse la risposta va cercata proprio nello sciagurato post degli Uffizi.

Nonostante l’innegabile intelligenza della Ferragni, nessuno agli Uffizi ha pensato di trattarla come un soggetto pensante. No: era solo un bell’oggetto da fotografare davanti a un altro oggetto, il capolavoro di Botticelli. Nessuno ha pensato di fotografarla mentre guarda Botticelli: solo mentre gli dà le spalle, in posa. Tutt’altra cosa sarebbe stata se il museo avesse pubblicato la testimonianza di un colloquio visivo e interiore, magari chiedendo alla Ferragni di spiegare in poche (ma personali) righe perché ama Botticelli e cosa dice al suo spirito. Insomma, provare a rendere la Ferragni testimonial di Botticelli invece che usare Botticelli come testimonial della Ferragni. Perché essere testimonial di un’opera d’arte significa aiutarla a entrare in sintonia con le interiorità del nostro tempo, non indurre a consumarne l’immagine come consumiamo qualunque altro prodotto. Sono in effetti due lavori diversi: spingere a consumare inducendo bisogni inesistenti (come i prodotti di marca) e fornire gli strumenti culturali per resistere a questa spinta attraverso il pensiero critico. La Ferragni fa il suo mestiere: sono gli Uffizi che hanno smarrito la bussola.

Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra

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