Economia / Attualità
Twitter in Italia non paga le tasse dal 2017 e i ricavi pubblicitari finiscono in Irlanda
I tagli annunciati da Elon Musk non riguardano la Twitter Italia Srl, costituita nel 2014 e domiciliata a Milano. È infatti inattiva dal 2017, anche se non ancora liquidata. Significa che da cinque anni il social network trasferisce gli introiti delle inserzioni direttamente a Dublino. Un modello di business tipico dei colossi della Rete
I tagli annunciati dal nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk, non toccano la succursale italiana: la Twitter Italia Srl, costituita nel maggio 2014 e domiciliata a Milano, è infatti inattiva già dal 2017. Significa che da cinque anni il social network trasferisce i ricavi pubblicitari realizzati in Italia direttamente in Irlanda, Paese a fiscalità, senza versare un euro di tasse.
Lo confermano i documenti depositati alla Camera di commercio di Milano dalla Srl dotata di 10mila euro di capitale sociale e interamente posseduta dalla Twitter international unlimited company, domiciliata appunto a Dublino. La società italiana non è stata però liquidata “essendo ancora in corso delle valutazioni a livello di Gruppo sull’eventuale ripresa dell’attività in Italia”, come si legge nel bilancio 2021 depositato per mere ragioni di forma. I ricavi infatti sono minimi (2.852 euro), il risultato d’esercizio è in perdita per 844 euro, i dipendenti in organico pari a zero.
Se mai dovesse riprendere le attività, la Twitter Italia Srl non si occuperebbe in ogni caso di fatturare le inserzioni vendute dal social nel nostro Paese. Il suo oggetto sociale è infatti quello di “svolgere attività di marketing e di supporto alle vendite di prodotti pubblicitari online”. Una sorta di agenzia al servizio della casa madre irlandese, che incassa il 100% delle pubblicità e da Dublino poi riconosce alla società italiana solo delle commissioni sul venduto, le briciole. Un artificio fiscale classico dei colossi della Rete -presentati come i visionari della Silicon Valley- e che funzionava già prima dell’arrivo di Musk. Come appena visto in Italia non è nemmeno necessario, operando senza il filtro di facciata della succursale da ormai cinque anni.
Nel frattempo il 24 novembre il Financial Times ha dato la notizia della chiusura della sede europea di Twitter a Bruxelles. Si tratterebbe di un pezzo della strategia di Musk che prevede tagli per 7.500 posti di lavoro. “Lo smantellamento dell’ufficio, raccordo politico fondamentale con le istituzioni europee, e il cambio di rotta intrapreso da Musk, a quanto si apprende, preoccupa la Commissione europea”, riportano le agenzie. A metà novembre anche la vicepresidente della Commissione europea Margrethe Vestager ha osservato che il nuovo modello di business di Twitter appare “del tutto imperfetto”.
Il punto è che Twitter, così come migliaia di altre aziende private, opera da anni per influenzare l’elaborazione o l’attuazione delle politiche e della legislazione europea. Tanto da essere iscritta dal 2014, sempre attraverso l’irlandese Twitter international unlimited company, al Registro per la trasparenza dell’Unione europea, impiegando in proposito sei persone (qui l’elenco delle riunioni con la Commissione europea). Nel 2021, come riporta il Registro, Twitter avrebbe speso per attività di lobby tra i 300mila e i 400mila euro.
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