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Finanza / Opinioni

Trump, Taiwan e quella formidabile contropartita per difendere il dollaro

© Pau Casals - Unsplash

L’ex presidente ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero rinunciare a difendere Taiwan da un’invasione cinese. Dietro a questa opzione, mediaticamente coperta dal ritiro di Joe Biden, vi sarebbe un tacito accordo con Pechino per mantenere il dollaro come valuta dominante, indebolendo “Big tech” e grandi fondi e favorendo così gli “alleati” dell’ex presidente, Elon Musk in testa. L’analisi di Alessandro Volpi

Il discorso di Donald Trump e le dichiarazioni del suo vice James Vance in merito a Taiwan hanno una portata enorme. In pratica, Trump, il più feroce avversario della Cina nella sua precedente presidenza, sostiene, quasi distrattamente, che gli Stati Uniti potrebbero rinunciare alla difesa di Taiwan e dunque aprirebbero a una “conquista” cinese. Si tratta di una posizione dal peso gigantesco. Che cosa sta dietro a una simile dichiarazione? Due elementi possono aiutare a capirne di più.

Il primo. Trump vuole riportare parti rilevanti della produzione americana negli Stati Uniti: in sostanza una reindustrializzazione. Per far questo servono finanziamenti dal resto del mondo che siano indirizzati all’acquisto di debito Usa e dunque occorre che la dollarizzazione non venga messa in alcun modo in discussione. La Cina è il perno della dollarizzazione perché circa un terzo degli scambi globali coinvolgono beni e servizi cinesi e quindi la decisione della Cina di sganciarsi dal dollaro sarebbe la fine della dollarizzazione e della conseguente possibilità per gli Stati Uniti di non dipendere solo da Wall Street.

Consentire alla Cina di prendersi subito Taiwan vuol dire offrire all’ex impero celeste una contropartita formidabile al mantenimento della dollarizzazione. Taiwan cinese vuol dire che i principali, e vitali, fornitori delle big tech americane saranno cinesi: Nvidia, Apple, Microsoft e Alphabet dipenderanno da fornitori cinesi. 

Ma c’è un secondo elemento rilevante. Se le big tech dipenderanno dalla Cina perché la presidenza degli Stati Uniti ha deciso di favorire l’acquisizione cinese di Taiwan, è chiaro che il potere politico americano riassumerà un ruolo nel mondo della superfinanza e allora i gruppi vicini a Trump, da Elon Musk ai tanti amici di James Vance, saranno in grado di condizionare le “Big Three”, oggi, invece, onnipotenti. In altre parole la gigantesca bolla finanziaria gestita da BlackRock, Vanguard e State Street rischierebbe di sgonfiarsi subito se la Cina decidesse di bloccare le forniture ai colossi di cui i tre fondi sono azionisti. Quindi, Trump e la finanza a lui vicina avranno i mezzi per condizionare Larry Fink, Jamie Dimon e soci costringendoli a non escluderli mai dalle dinamiche della bolla stessa. Musk, ” amico” di Trump, non potrà vedere le azioni Tesla deprezzarsi perché BlackRock le vende. In questo senso, attraverso il rapporto con la Cina e le elezioni presidenziali Usa, si compie una vera e propria guerra all’interno del capitalismo finanziario a stelle e strisce.

Una cosa è certa, la Cina ha già vinto la sua battaglia e le sorti dell’Occidente dipendono ormai dalla disponibilità del Partito Comunista cinese di accettare la sopravvivenza del capitalismo, magari ipotizzando anche di rendere una parte dei propri grandi attivi remunerativi dalle stesse “Big Three”. Nel breve termine il plenum cinese potrebbe accettare una simile mediazione per prendere il tempo giusto alla sostituzione definitiva dell’impero americano, che, del resto, ha già avviato liberandosi del debito degli Stati Uniti e facendo le prove generali per la costruzione di una soluzione monetaria diversa dal dollaro. Naturalmente, in tutto questo, l’Europa di Ursula von der Leyen e Christine Lagarde si preoccupa solo di costruire la “Fortezza” contro i migranti e un Green deal affidato ai fondi americani. 

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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