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Transizione ecologica. È nata una bolla
Con il diffondersi dell’allarme per la devastazione del Pianeta, l’argomento di autolegittimazione del capitalismo è diventato la tutela dell’ambiente. La lista dei ministri resa nota da Draghi non lascia spazio alla speranza. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini
È nato un “ministero per la Transizione ecologica”, una sorta di “ministero dell’Ecologia”. È un’occasione o una presa in giro? Quando si dice che si è creata una “bolla”, si allude alla crescita improvvisa di un determinato valore che prima si gonfia, poi perde credibilità e scoppia. Le bolle speculative sono ricorrenti nell’economia finanziarizzata della globalizzazione. Con il diffondersi dell’allarme per la devastazione del Pianeta e per il surriscaldamento climatico, il principale argomento di autolegittimazione del capitalismo globale è diventato la tutela dell’ambiente. Non stupisce dunque che il governo Draghi si presenti con l’annuncio del nuovo ministero. Purtroppo siamo in presenza di una sorta di bolla ecologica, cioè di una campagna di legittimazione che fa credere in uno straordinario impegno per la transizione italiana all’economia green, occultando il fatto che mancano le tre condizioni fondamentali per renderla effettiva: scelta e cultura adeguate, soggetti credibili, congruenza tra l’agenda governativa e le azioni di vera transizione.
La prima condizione assente è relativa alla visione e alla scelta che dovrebbero ispirare l’azione del governo. Nel suo genere Mario Draghi ha una riconosciuta professionalità, ma il genere resta quello dei funzionari del capitalismo globale e dello strapotere dei mercati. I margini di iniziativa di quest’uomo, anche ammesso che sia realmente il presidente del Consiglio il soggetto che può imprimere una svolta, sono ristretti anzitutto per la sua mentalità. La Grecia ricorda bene quale sia la logica che lo muove. La sua imperturbabile dichiarazione sulla morte del modello sociale europeo, mai riconsiderata in seguito, è del 2012. Non credo che nel frattempo Draghi abbia avuto una conversione alla democrazia sociale, all’ecologismo o al francescanesimo.
Un equivoco permanente, sotteso alla trovata del nuovo ministero, sta nel ridurre l’ecologia alla tutela degli equilibri della natura, senza abbracciare nel contempo gli equilibri sociali e i diritti delle persone. Siamo lontani dall’ecologia integrale richiesta da papa Francesco. Se non c’è trasformazione del vigente modello di economia senza un processo di transizione, d’altro canto non può esserci transizione senza la scelta di trasformare l’economia. Questa scelta di fondo non c’è, anzi c’è l’illusione mortale che si possa andare avanti con il capitalismo opportunamente revisionato. Le autorità pubbliche, la quasi totalità delle forze politiche, il sistema delle imprese, le banche, le università e i percorsi di formazione restano immersi nella logica del capitalismo. Draghi è l’interprete più prestigioso di questa ostinazione a continuare sulla via senza sbocco di un modello di economia sbagliato e nocivo.
La seconda condizione inesistente riguarda l’insieme degli attori politici che dovrebbero promuovere la transizione. In questi decenni una galassia di soggetti sociali e culturali si è mossa dal basso affrontando seriamente la questione. Persino alcune imprese hanno riconfigurato in chiave ecologica e solidale la loro attività.
Se c’è un ambito stagnante e inetto, questo è proprio quello della politica istituzionale. Da Fratelli d’Italia al Pd passando per il Movimento cinque stelle, la mentalità delle forze politiche del nostro Parlamento (il caso di Leu resta troppo esiguo e incerto per incarnare una prospettiva alternativa) è rimasta quella di esercitare il potere sempre in omaggio al capitalismo globale. Con l’aggravante dei narcisismi, delle grettezze, della povertà culturale e del vizio di autoreferenzialità che ben conosciamo. Il fatto che arrivi Grillo a Roma e conquisti l’assenso di Draghi per la nascita del “ministero per la transizione ecologica” è una tipica scena della commedia all’italiana nelle sue versioni più scadenti. La lista dei ministri resa nota il 12 febbraio da Draghi non lascia spazio alla speranza. Il fatto poi che il nuovo ministero sia affidato a un esperto di innovazione tecnologica, come Roberto Cingolani, e non di ecologia, indica non solo quanto sia grossolana la prospettiva del Movimento cinque stelle, ma anche quanto siamo in presenza di una mera manovra propagandistica.
La terza condizione mancante riguarda la congruenza tra l’agenda governativa che si sta delineando e le azioni di transizione che sono urgenti. Naturalmente al primo posto c’è la risposta all’epidemia, ma vedremo se sarà una risposta adatta a rilanciare la sanità pubblica territoriale e a eliminare le iniquità attuali. La rigenerazione dell’economia e della dignità del lavoro viene citata secondo la solita ottica delle logiche finanziarie. L’europeismo e l’atlantismo figurano in totale continuità con la politica dell’Unione europea e con la traballante egemonia degli Stati Uniti. La scuola viene evocata, ma ovviamente per ridefinirla secondo gli imperativi del mercato. Sul problema dei migranti nulla lascia presagire una svolta. È evidente che c’è totale incongruenza, e spesso contraddizione, tra questa agenda e un programma di transizione che in ogni caso va ben al di là delle competenze di un ministero. La sola idea di delegare l’attuazione della transizione ecologica (che deve coinvolgere tutto il governo, le istituzioni delle Repubblica e la cittadinanza) a un apposito ministero è frutto di superficialità e ignoranza. Esperienze simili in Francia e in Germania, peraltro in un quadro politico più serio, non hanno dato risultati.
Una transizione ecologica dovrebbe superare l’abitudine di concepire l’economia come il motore della società e l’ecologica come il freno che la mantiene in carreggiata, assumendo invece l’ecologia come struttura dell’economia. La cura indissolubile per le persone, per la natura e per le istituzioni diventerebbe il compito e la logica del sistema economico, producendo posti di lavoro e promuovendo una democratizzazione dell’intero sistema delle relazioni sociali e naturali.
Un governo impegnato nella ristrutturazione ecologica dell’economia e della politica dovrebbe stabilire un patto chiaro con le imprese per la riconversione, da Taranto alla Val Susa e ovunque. Darebbe vita a un programma per restituire dignità al lavoro e per combattere disoccupazione e precarizzazione. Perseguirebbe la giustizia fiscale, applicando criteri progressivi e una tassa sui grandi patrimoni, agevolando nel contempo il credito mediante banche pubbliche. Inaugurerebbe un progetto di risanamento dell’agricoltura, togliendola dalle grinfie delle multinazionali. Un governo così troverebbe il modo di varare un programma di riqualificazione urbanistica, abitativa e idrogeologica, fermando il consumo di suolo e promuovendo la mobilità dolce.
Welfare, tutela dei diritti, servizi alla persona e valorizzazione dei beni comuni dovrebbero essere al centro dell’azione di un governo di vera transizione trasformativa. Sull’accoglienza, la questione dei migranti e lo ius soli esso avrebbe il dovere di inaugurare una politica nuova, radicalmente democratica, e di lottare perché questa politica sia assunta dall’Unione europea. Quando poi si parla di scuola e università, un governo lungimirante dovrebbe elevare la loro qualità educativa ed etica, nonché valorizzare il nesso tra didattica e ricerca, smettendo di sacrificare i giovani alle pretese del mercato e di istupidirli con l’ideologia aziendalista. La politica intesa come sistema dei partiti deve tacere, mettersi in ascolto delle nuove generazioni e, finalmente, vederle, cioè riconoscerle, stimarle e garantire le condizioni per l’esercizio della loro creatività.
Riuscite a immaginarvi Draghi, Cingolani e personaggi come Brunetta, Giorgetti, Gelmini o Bonetti (solo per citare alcuni dei nuovi ministri) impegnarsi su un itinerario di vera transizione ecologica? Detto questo, occorrerà seguire con attenzione costruttiva ogni atto del nuovo governo, facendo in modo che i movimenti democratici, i soggetti sociali più lucidi e le forze culturali dotate di carica trasformativa esprimano critiche, conflitti e proposte alternative utilizzando eventuali margini di apertura politica che, più per un gioco delle circostanze che per convinzione del governo stesso, potrebbero aprirsi. Far scoppiare la “bolla ecologica” potrà servire a far maturare, un giorno, prima possibile, la scelta dell’ecologia come coscienza collettiva e come prassi.
Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Filosofia della salvezza. Percorsi di liberazione dal sistema di autodistruzione” (EUM, 2019)
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