Altre Economie / Approfondimento
Dalle oasi di Tor Bella Monaca uno sguardo diverso sul quartiere
Tra i palazzoni di edilizia popolare e le piazze dello spaccio, nella periferia romana fioriscono numerose esperienze culturali e sociali. Dimostrando che un altro modo di vivere un’area considerata difficile è possibile. Ed è già realtà
Aprire una libreria, in tempi di crisi dell’editoria, può apparire un’iniziativa ardita. Farlo a Tor Bella Monaca vuol dire essere dei pionieri. Perché qui, tra i palazzoni di edilizia popolare anni Ottanta -le famigerate Torri, corrispettivo romano delle Vele di Scampia a Napoli- segnalati con una lettera dell’alfabeto (M o R) seguita da un numero, non se n’era mai vista una. 28mila abitanti e zero libri in circolazione. Finché Antonella Laterza ha deciso di sfidare la sorte con l’amica Elisa, giornalista Rai, purtroppo deceduta prima di veder realizzata la sua idea. La libreria “Le Torri” ha aperto il 12 maggio scorso e in pochi mesi è diventata un “presidio di legalità”, spiega la titolare.
I 160 metri quadri, completamente ristrutturati, di quella che era un’ex merceria orientale, sono un’oasi culturale nel deserto della periferia. La risposta del quartiere? A dispetto dei pregiudizi, assolutamente “positiva”. Le presentazioni di libri sono sempre affollate, così come i laboratori per bambini. In libreria si può acquistare un kit scolastico e lasciarlo “in sospeso”, per chi non riesce a comprarlo per i propri figli. Il mercoledì, giorno di mercato nella piazza di fronte, “Le Torri” è un via vai di persone con le buste della spesa, alla ricerca di evasione attraverso la lettura. Spesso capita che i testi siano venduti a credito, perché chi acquista in quel momento non ha disponibilità economica. “Il nostro punto di forza è che qui non ci sono altre librerie”, spiega Alessandra, che non è del quartiere, ma se n’è perdutamente innamorata da quando venne, vent’anni fa, ad aprirci una lavanderia.
A pochi metri dalla libreria, si trova il Centro antiviolenza intitolato a Marie Anne Erize, modella argentina desaparecida durante la dittatura. In seguito a una mozione votata il 16 marzo scorso dalla maggioranza pentastellata, il Centro ha ricevuto una notifica di sgombero dal Municipio. All’interno ci sono una biblioteca con 10mila volumi e una sartoria solidale, che impiega ex detenute, donne vittime di violenza e migranti. Qui, chi non ha la possibilità di comprare un abito da sposa può attingere, attraverso un prestito solidale, a un vasto campionario di vestiti artigianali donati al centro e riadattati su misura dalle sarte. Ce n’è per ogni gusto, dagli anni Cinquanta a oggi. La fondatrice Stefania Catallo definisce questo luogo “una piccola oasi di moda e bellezza”, che più di una volta ha sfondato l’isolamento di Tor Bella Monaca. Questo sarebbe uno di quei momenti, se non fosse arrivata l’ingiunzione di sfratto a rovinare i preparativi per l’attesa sfilata al Maxxi, il salotto buono dell’arte contemporanea in città.
L’impressione, girando lungo i viali a scorrimento veloce, semideserti, tra i palazzoni di edilizia economica e popolare e nei parchi trasformati in piazze di spaccio, è di un quartiere urbanisticamente desertificato, ma punteggiato di tante piccole oasi come queste, fatte di cultura, attività sociali ed economia solidale. Come il “Banco alimentare” nel Villaggio Breda, un quartiere nel quartiere, fatto di palazzine da tre piani e architettura razionalista, costruito alla fine degli anni Trenta per gli operai della vicina fabbrica di armi. A gestirlo è un’associazione di donne e la domenica, quando lo spaccio si trasferisce in piazza, c’è la fila per prendere il cibo donato da supermercati e privati cittadini.
O come la Comunità di Sant’Egidio, che ogni domenica, in un edificio confiscato alle mafie ristrutturato e assegnatogli dal Comune, organizza un pranzo di solidarietà per gli anziani del quartiere. Con l’obiettivo di “combattere la solitudine -come dice Giulia Baini, una volontaria- e togliere i bambini dalla strada”. Tor Bella Monaca, infatti, ha ancora un alto tasso di dispersione scolastica: i ragazzini crescono in strada e, per evitare che finiscano nel circuito droga-malavita, Sant’Egidio ha messo in piedi una “scuola della pace” e dei corsi di recupero più tradizionali.
Al bibliocaffè “Cubo libro” si può invece andare per leggere e bere o mangiare qualcosa, rigorosamente biologico, naturale, equosolidale. L’edificio abbandonato, di proprietà del Comune, è stato occupato dai militanti del centro sociale intitolato a Ernesto Che Guevara e trasformato in una biblioteca ed emeroteca autogestita, dove “le persone possano fermarsi per socializzare, prendere libri in prestito, sfogliare riviste, giocare, riposare, ristorarsi in maniera sana e ricevere informazioni sulle risorse del territorio”. Il “Cubo libro” è così diventato un punto di riferimento per la domanda di cultura e socialità nel quartiere.
Anche il direttore di un’istituzione pubblica come il Teatro Tor Bella Monaca, Filippo D’Alessio, usa parole analoghe. “Il Teatro è un importante presidio culturale”, dice. Progettato ai tempi del sindaco Francesco Rutelli e fortemente voluto dall’assessore alla Cultura, Gianni Borgna -sulla scia dell’intuizione di Renato Nicolini di solidificare l’effimero della manifestazione “Estate Romana” e renderlo permanente in periferia-, dopo essere passato per la direzione di Michele Placido, oggi il Teatro ha cambiato radicalmente pelle. È stato affidato all’associazione culturale “Seven cults” e a quelle teatrali “Casa dei racconti” e “Teatro Potlach”, che lo hanno rilanciato in tempi di grama per i teatri romani. In tre stagioni ha registrato 150mila presenze nelle due sale: una più grande da 300 posti e la piccola da 100. Numeri di riguardo, considerando che ci troviamo in una periferia considerata “difficile”. Il motivo del successo? “Abbiamo bilanci solidi e riusciamo a fare una politica dei prezzi calmierati per chi non potrebbe permettersi di venire a teatro”, spiega D’Alessio, che elenca convenzioni e collaborazioni con numerose istituzioni capitoline, dall’Accademia di Santa Cecilia all’Eliseo, fino al Teatro dell’Opera e al Festival del Cinema. Se ci fosse una sala in più, la struttura potrebbe rimanere aperta 24 ore su 24, “come in altri paesi europei”, dice.
150mila le presenze registrate in tre stagioni dal Teatro Tor Bella Monaca, oggi gestito dalle associazioni “Seven cults”, “Casa dei racconti” e “Teatro Potlach”
Nel foyer ci sono Alessio Carta e Federica Graziani. Lui è un grafico, lei una giornalista. Insieme si sono inventati il periodico locale “La fiera dell’est”, che racconta Tor Bella Monaca senza lesinare in denunce. Hanno costituito una cooperativa e sono partiti con un mensile, che poi hanno trasformato in quindicinale, arrivando a diffondere 15mila copie totalmente gratuite. Ma da novembre scorso hanno abbandonato l’idea di stampare, restando on line. Si finanziano con piccole inserzioni pubblicitarie, qualche donazione e numerose iniziative solidali. Per tutto il mese di luglio, per esempio, una parte dei proventi del Teatro sono stati devoluti a loro e a inizio agosto è stata organizzata una serata musicale per finanziare il giornale. Si professano di sinistra, anzi “di estrema sinistra”, e vogliono essere “una sentinella del territorio”.
È la stessa intenzione dei ragazzi che hanno fondato l’associazione “Bella Vera”. Si sono presi la vecchia sezione del Pci, arrivata fino al Pd e abbandonata dopo la disfatta elettorale del 4 marzo. Trenta metri quadri in un garage che affaccia su via dell’Archeologia, la più grande piazza di spaccio romana, e forse d’Italia. L’hanno ristrutturata, abbellita con un dipinto di Antonio Gramsci in versione Che Guevara italiano e l’hanno aperta ai cittadini. Nella Converti è una delle protagoniste della riconversione. Ha 26 anni, studia giurisprudenza ed è stata attiva nei collettivi universitari. Elenca le attività che si svolgono all’interno, dai corsi musicali per bambini e adulti -in collaborazione con l’associazione “L’isola dell’arte”- al laboratorio fotografico. “Il nostro logo -spiega- è un paio di occhiali, per far capire che, indossando le lenti giuste, il quartiere può apparire migliore di come è di solito raccontato nelle cronache”.
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