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Tony Drago: a due anni e mezzo dalla morte, la verità è lontana
Nella notte tra il 5 e il 6 luglio 2014, il giovane militare siracusano è morto in circostanze misteriose dentro la caserma “Sabatini” di Roma. Secondo la sua famiglia, però, non si sarebbe trattato di un suicidio. Il 15 marzo l’udienza decisiva del processo che dovrebbe ricostruire l’accaduto
Tony Drago aveva 25 anni, una laurea in Scienze dell’Investigazione e un sogno. Voleva combattere la mafia seguendo l’esempio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i suoi idoli. Voleva entrare in un corpo di polizia e, per farlo, avrebbe dovuto svolgere un periodo di addestramento nell’esercito e poi tentare il concorso. E Drago l’ha fatto, entrando nell’esercito a giugno del 2013 e rimanendoci un anno, fino alla notte fra il 5 e il 6 luglio del 2014, quando è morto in circostanze misteriose, dentro la caserma “Sabatini” di Roma, sede del prestigioso reparto dei Lancieri di Montebello.
Il suo corpo viene trovato all’alba nel cortile della palazzina alloggi. Il medico del 118, alle 6.57 del mattino, parla di decesso “per precipitazione”. Suicidio. Così i responsabili della caserma, poche ore dopo, spiegheranno il gesto in una mail, parlando immediatamente di atto “riconducibile a un disagio di natura privata sentimentale”. Lo scenario sarebbe chiaro: un ragazzo in crisi con la fidanzata, un presunto stato depressivo legato all’esito negativo del concorso tentato per entrare in Polizia, un momento di sconforto. Una sedia sotto il davanzale di una finestra, al terzo piano (circa 10 metri di altezza), in un bagno in disuso, e il lancio nel vuoto. Con una caduta che termina 4,8 metri più in là rispetto alla finestra. Per i vertici della “Sabatini” tutto può concludersi così, nonostante le verifiche sugli ultimi giorni di vita di Drago (che la sera prima era andato in discoteca), sul tenore abbastanza sereno dei messaggi scambiati con la fidanzata, sull’intenzione del militare di riprovare il concorso (si era subito rimesso a studiare) non confermerebbero questa volontà suicida.
Anche la polizia giudiziaria competente, che è parte anch’essa dell’esercito (Granatieri di Sardegna), ha dato credito alla versione del suicidio, così come l’esame autoptico compiuto presso l’ospedale “Gemelli” di Roma, nel quale però mancherebbe l’indicazione della presunta ora della morte.
Subito dopo la tragedia la famiglia, scioccata e incredula, viene più volte invitata a non vedere il corpo del ragazzo, che sarebbe in condizioni pessime. Durante il riconoscimento, che viene fatto da una zia di Tony, da un amico e dal secondo marito della madre, Alfredo, tuttavia il viso del militare non riporta alcuno sfregio. Nascono così i primi dubbi, avvalorati poi dalle foto dell’autopsia e della Scientifica, messe a disposizione della famiglia e dei loro legali a distanza rispettivamente di sei e otto mesi. Gli elementi che risaltano sono la posizione del corpo e soprattutto alcune brutte ferite: più di un foro sulla parte superiore del cranio e alcune lacerazioni profonde che hanno scarnificato una porzione della schiena di Drago. Una nuova perizia è stata compiuta dall’ingegner Grazia La Cava, esperta di cinematica, su mandato della famiglia Drago e del loro legale, l’avvocato Dario Riccioli.
Tony era un ragazzo imponente, alto e dalla corporatura massiccia. Il suo corpo, come risulta dalla perizia del medico legale incaricato dalla famiglia, presenta inoltre una “multilesività diffusa” incompatibile con la sola precipitazione. A ciò si aggiunga la testimonianza di un suo amico, che ha rivelato la confidenza ricevuta da Drago circa un pestaggio violento subìto un mese e mezzo prima della morte e che intendeva denunciare, avendo riconosciuto le voci di due degli aggressori. Questi e altri elementi hanno portato, lo scorso aprile, il Gip di Roma, Angela Gerardi, a respingere la richiesta di archiviazione e a disporre un supplemento di indagini, con la riesumazione della salma (avvenuta poi a novembre) e nuove analisi da parte dei periti incaricati dalla Procura.
Nella relazione peritale depositata il 27 gennaio si legge che “con le informazioni a disposizione non è possibile tuttavia esprimere una valutazione univoca sulle modalità di decesso di Antonino Drago”. La prossima udienza, fissata per il 15 marzo, a questo punto, potrebbe rivelarsi decisiva. Il legale e i tecnici della famiglia Drago hanno giudicato la relazione peritale carente di “un approccio obiettivo sulla possibile dinamica che ha portato alla morte del militare siracusano, che non sia quella della precipitazione e in sintonia con i dati oggettivi che sono stati riportati nella parte cinematica”. Per l’avvocato Riccioli, infatti, Tony Drago sarebbe stato ucciso e “prima di morire ha subito una violenza feroce”. A pensarlo è anche mamma Rosaria che chiede a chi sa di parlare, “perché chi ha fatto questo deve pagare”. Tony, ripete la madre, era preoccupato per qualcosa che accadeva in caserma, al punto da ripetere che “il clima si era fatto pesante”.
Intanto si attende di conoscere anche l’esito delle indagini su otto militari che svolgevano funzioni di garanzia la notte della morte di Tony, e che il pubblico ministero Alberto Galanti, nel giugno scorso, dopo la denuncia della famiglia Drago, ha indagato per concorso in istigazione al suicidio oppure concorso colposo nell’omicidio doloso commesso da altri.
A due anni e mezzo da quella notte, rimangono insomma tanti dubbi sulla fine di quel tenace ragazzo siracusano morto in una caserma romana, in estate, così come avvenuto, per un tragico gioco del destino, proprio 15 anni prima, a un altro giovane siracusano, Emanuele Scieri, ucciso dentro una caserma. Oggi sul suo caso una Commissione parlamentare di inchiesta sta cercando di fare luce.
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