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Tecniche di riscossione
L’ultimo bollettino dell’Antitrust ha evidenziato come l’autorità abbia sanzionato per l’ennesima volta un operatore del settore recupero crediti, per pratiche commerciali scorrette. L’approfondimento di Altreconomia presenta un comparto che fattura oltre un miliardo di euro. Il "caso Italfondiario": la società è specializzata nella gestione dei crediti "non performanti" delle banche, ed è presieduta da Giovanni Castellaneta, ex consigliere di amministrazione di Finmeccanica e attuale presidente del cda della società pubblica SACE
L’ultima società di recupero crediti sanzionata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per “pratica commerciale scorretta” si chiama Telkom Spa. Come altre 1.400 imprese in Italia, il suo lavoro consiste nel prendere in carico un credito altrui -maturato magari con bollette arretrate- impegnandosi a recuperarlo. Per “convincere” i debitori -come emerge dalla ricostruzione fatta nel provvedimento datato 8 gennaio 2015 (PS9248), che ha motivato una multa di 320mila euro- la Telkom inoltrava loro una serie di citazioni presso sedi di Giudici di pace (diverse da quelle territorialmente competenti), indicando addirittura la data della prima udienza, che però era del tutto fittizia. Una tecnica praticata per almeno 18 mesi (tutto il 2012 e metà 2013) che, secondo l’Agcm, avrebbe determinato un “indebito” e “significativo condizionamento” delle scelte e dei comportamenti dei malcapitati, del tutto contrario alle regole dettate dal Codice del consumo (decreto legislativo 206/2005). Il credito ambito in maniera aggressiva da Telkom Spa -che ha annunciato ricorso contro la decisione dell’Antitrust-, era in capo a un altro soggetto, quello che l’aveva incaricata di recuperarlo. Si tratta di Sky Italia Srl, l’emittente televisiva, che, pur nella veste di mandante, ha fatto sapere ad Ae di “non avere una posizione aziendale sull’accaduto”. Nemmeno l’Unione nazionale imprese a tutela del credito (UNIREC) aderente a Confindustria, ha chiarito se e quali provvedimenti intenda prendere nei confronti della Telkom, che, facendo parte dell’elenco dei suoi 201 associati, ne ha sottoscritto anche il Codice deontologico.
Le associate di UNIREC rappresentano però l’80% del fatturato registrato dal comparto del recupero crediti italiano nel 2013, pari a poco più di 1 miliardo di euro. Solo queste ultime, Telkom compresa, si sono viste “affidare” nel 2013 qualcosa come 48,6 miliardi di euro di crediti, garantendo una “performance” di recupero del 19,6% (9,5 miliardi di euro). Nel 63% dei casi, le pratiche vengono gestite al telefono (phone collection), nella restante parte attraverso attività domiciliari condotte presso i presunti debitori dagli “agenti per la tutela del credito” (home collection). Complice la crisi, il settore è in espansione e vede affermarsi le sofferenze riferite al campo bancario e finanziario così come a quello delle utility e telecomunicazioni (si veda il grafico accanto). Eppure, nonostante la crescita delle pratiche gestiste (+13% tra il 2012 e il 2013) i provvedimenti conclusi dall’Antitrust per pratiche scorrette nell’ultimo triennio (16) o i reclami pervenuti al Garante dei dati personali nel 2013 (147) sono esigui. Per UNIREC questa è la prova dell’avvenuta maturazione delle imprese, non più vessatorie o aggressive. Secondo le associazioni dei consumatori, invece -come spiega Ovidio Marzaioli, vice-segretario del Movimento Consumatori-, il dato contenuto è “il riflesso di una scelta sofferta e difficile, com’è quella di un ‘debitore’ di protestare pubblicamente, esponendosi”. “Talvolta è anche difficile dimostrare che un comportamento vessatorio o aggressivo sia realmente avvenuto -racconta Davide Agostoni, avvocato di Lecco che si occupa tra le altre cose della tutela dei consumatori-. Tra gli esempi recenti posso citare quello di una signora avvicinata sotto casa da un recuperatore spacciatosi per funzionario dell’Asl, o quello dei pressanti sms ricevuti nel cuore della notte ma inavvertitamente eliminati”. Ma la responsabilità non è soltanto in capo alle società che recuperano il credito. A volte alcune di queste sono “costrette” dalle loro stesse mandanti, le quali attraverso clausole o soglie di performance pongono condizioni difficilmente raggiungibili. Chi ha denunciato questa distorsione della filiera è stata Konsumer Italia (“associazione federativa per la tutela dei consumatori e dell’ambiente”) che lo scorso anno ha inviato una missiva all’Antitrust per “chiedere preventivamente informazioni in merito alla procedura di recupero dei crediti sui consumatori, da parte della/e azienda/e vincitrici di gara […] indetta da Eni”. Le risposte dell’Autorità non sono (ancora) arrivate, ma la procedura di gara si è conclusa con l’individuazione di un vincitore. Il punto è che dalla documentazione d’appalto -e in particolare dallo “Schema di remunerazione” che Altreconomia ha potuto consultare- Eni Spa (divisione “gas&power”) ha posizionato al 30% del “valore recuperato” la soglia minima sotto la quale il recuperatore non viene remunerato. Chi sta sotto prende zero. Una pretesa eufemisticamente esigente, tenuto conto peraltro della performance media delle associate ad UNIREC, che come già ricordato è inferiore al 20%. Scorrendo l’“annesso economico” della gara Eni, poi, si può risalire al tabellario del “rimborso delle attività investigative”, “corrisposto solamente per quelle pratiche il cui recupero non sia andato a buon fine”. Si va dalla “ricerca degli eredi (22 euro)” alla “individuazione delle fonti di reddito (13,75 euro)” fino ai più modesti “stato di famiglia ” o “visura tribunale fallimentare”, entrambi a 5 euro. Chi conosce la materia fa notare però che l’attività di investigazione richiede una specifica licenza ai sensi del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS, articolo 134), che è ben diversa da quella prevista per il recupero crediti. Eni Spa ha preferito non rispondere alle nostre domande, così come le principali mandanti operanti nei comparti “sensibili” ai crediti problematici.
Fanno eccezione E.ON Energia e Telecom Italia, che hanno però inoltrato informazioni più generali sui principi alla base dell’individuazione di una mandataria recuperatrice. Telecom, nella persona di Giovanni Cravero, responsabile credit governance, ha spiegato ad Ae di selezionare “i propri fornitori a valle di un processo di qualificazione strutturato e trasparente volto a verificare la solidità economico-patrimoniale dell’impresa, l’esistenza dei requisiti societari, legali, tecnici e organizzativi e la qualità dei servizi e dei prodotti offerti, oltre la piena adesione al codice etico adottato da Telecom Italia”. Ancora oggi, però, la società figura (come H3G, Vodafone Omnitel, Fastweb e Wind) nella pagina “clienti” del sito internet della GE.RI. Gestione Rischi S.r.l., condannata nel luglio del 2014 dall’Antitrust -su segnalazione anche della Guardia di Finanza- a 205mila euro di multa per una pratica commerciale scorretta condotta dal 2010 fino ai primi mesi dello scorso anno. Nel provvedimento di condanna (PS6549), l’Agcm ha addirittura definito “minacciosi” alcuni solleciti inviati ai consumatori, che recitavano così: “Al fine di ritentare la composizione bonaria del Vostro debito, desideriamo informarvi che abbiamo predisposto la visita di un nostro funzionario che si recherà all’indirizzo su indicato o eventualmente presso il vostro posto di lavoro”.
C’è chi si confronta direttamente con il consumatore e chi, invece, gestisce e recupera i crediti “non performanti” (NPL) delle banche, quelle “sofferenze” che a fine 2014 hanno superato quota 180 miliardi di euro. L’incontrastato protagonista del mercato italiano è Italfondiario Spa, presieduto da Giovanni Castellaneta, ex consigliere di amministrazione di Finmeccanica e attuale presidente del cda della società pubblica SACE, che al 30 giugno 2014 ha gestito oltre 350mila pratiche per un valore di 36 miliardi di euro.
Il bilancio 2013 non è depositato in Camera di Commercio, ma è sufficiente mettere in ordine i comunicati stampa degli ultimi 12 mesi per avere un’idea di un giro d’affari in continua crescita. Ad agosto Italfondiario annunciava un accordo con BNL Gruppo BNP Paribas per la gestione di un portafogli di “sofferenze” di 800 milioni di euro; a dicembre era la volta del matrimonio con Iccrea Holding (che riunisce le società che offrono prodotti e servizi alle Banche di credito cooperativo), sancito dall’acquisto del 45% di BCC gestione crediti; l’11 febbraio 2015, invece, è stato annunciato l’accordo tra il fondo speculativo americano Fortress Investment Group LLC e Unicredit per la cessione dell’intera partecipazione di quest’ultima in UniCredit Credit Management Bank Spa (Uccmb), incluso un portafoglio di sofferenze pari a circa 2,4 miliardi di euro.
Fortress è il primo azionista di Italfondiario, di cui detiene l’88,75% delle azioni (in mano a due società di diritto lussemburghese). Il secondo azionista, invece, è Intesa Sanpaolo Spa.
Sebbene Unicredit abbia presentato l’accordo con Fortress come un utile “contribuito” in grado di “rendere il mercato italiano del servicing per il recupero dei crediti più indipendente”, Marco Muratore della Federazione autonoma bancari italiani (Fabi), non è entusiasta: “Se prima era una banca italiana ad occuparsi della gestione e del successivo recupero dei crediti, facendo per questo attenzione alla propria reputazione quale soggetto attento al territorio, adesso la partita è in mano ad un fondo speculativo che ha acquisito i titoli per andare ad agire contro aziende e famiglie del nostro Paese. Ecco perché siamo convinti che una questione del genere rappresenti un interesse pubblico e collettivo”.
Contrariamente ai principali istituti di credito del Paese, Banca popolare Etica ha un proprio ufficio per gestire le pratiche più complicate. “Ogni posizione è gestita individualmente, non ci sono automatismi -spiega ad Ae Nazareno Gabrielli, vice direttore della banca che nel 2014 ha registrato un tasso di sofferenze contenuto entro il 2,5%, a fronte del 9,5% del restante sistema bancario-. Abbiamo una policy sul credito problematico deliberata nel 2014 che cerca di armonizzare le attenzioni al cliente e lo spirito della banca. Perché la volontà è quella di trovare il modo migliore per tutelare un credito che va inteso come ‘proprietà’ della banca”. A proposito delle citate cessioni delle sofferenze di altri gruppi, Gabrielli riflette sulle “priorità”: “In quei casi le priorità non sono certo le attività e le persone che sono dietro quei numeri (le sofferenze, ndr), ma sono solo quei numeri. Ecco, secondo noi la prima parte vale ancora molto”. —
Squilla un telefono
Tra il 2008 e il 2013, gli addetti delle imprese associate all’Unione nazionale imprese a tutela del credito (UNIREC) sono passati da 12.570 unità a 17.735. Ognuno di questi ha gestito in media 272 pratiche e garantito un ricavo di 31mila euro nell’ultimo anno. Ben il 53% dell’organico (pari a 9.427 unità) è stato occupato nell’attività di “phone collection” (recupero telefonico), il 33% (5.814) nell’attività di “home collection”(con visite domiciliari) e il 14% (2.495) nell’attività gestionale e amministrativa. Nel febbraio 2015 presso il ministero dello Sviluppo economico è stata presentata una ricerca della School of Management del Politecnico di Milano proprio sul mercato dei “contact center” italiani. Dieci aziende –Abramo, Almaviva Contact, Call & Call, Comdata, ECare, Sky-Sins, Telecontact, Teleperformance, Transcom e Visiant– sulle 2.000 totali si assicurano il 56% del fatturato complessivo, pari a 1,9 miliardi di euro. Trentatre imprese raggiungono addirittura l’80% del mercato. Sono 46mila gli impiegati nel settore nel 2013, in lieve crescita (1%) rispetto all’anno precedente. I dieci soggetti egemoni hanno 29.582 dipendenti, per il 70% donne. Secondo la coordinatrice della ricerca Marta Valsecchi, “i consumatori dimostrano di gradire strumenti alternativi di contatto (Social Media, Mobile App, Chat, ecc.) che consentono anche di ridurre i tempi per effettuare una segnalazione o ottenere una risposta ad una propria esigenza”.