Altre Economie / Varie
Tav, un treno carico di costi
Da 7 miliardi di euro preventivati l’effettivo esborso a carico dell’Italia potrebbe arrivare a 15. Sono già stati spesi oltre 700 milioni
Entro il 26 febbraio 2015, Lyon-Turin Ferroviaire (LTF) è tenuta a presentare alla Commissione europea la richiesta di finanziamento per la tratta transfrontaliera della linea ad Alta velocità tra Torino e Lione. Entro quella data, un soggetto terzo, un ente certificatore, dovrà esprimere il proprio parere sui costi preventivati dalla società, che ha sede in Francia ma è partecipata da Rete Ferroviaria Italiana (RFI) e Réseau Ferré de France (RFF). Al 21 gennaio, la data in cui Ae va in stampa, questo soggetto terzo non è ancora stato individuato. L’unica gara bandita si è chiusa senza risultati.
I costi stimati della TAV Torino-Lione, cioè, non sono ancora asseverati, non sono “certificati”. Quando accadrà, l’Italia potrebbe essere costretta ad ammettere una spesa pubblica di gran lunga superiore di quella preventivata finora: 15 miliardi di euro invece di sette.
Senza aspettare fine febbraio, intanto, c’è chi ha provato a ricostruire il budget dell’opera. Un esercizio cui si sono dedicati, in particolare, ingegneri, studiosi, professori e scienziati vicini al movimento No Tav che fanno parte di PresidioEuropa (www.presidioeuropa.net). Secondo i loro calcoli, lo sviluppo dell’intera tratta di Alta velocità ferroviaria tra Torino e Lione, che coprirà una distanza di circa 270 chilometri, ha un costo complessivo di 26 miliardi e 615 milioni di euro. Il dato è confermato anche dalla Corte dei Conti francese, nel suo rapporto del 2014 sulla finanza pubblica, ed è stato ottenuto sommando l’investimento preventivato per la realizzazione delle tre tratte in cui è formalmente suddivisa la Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione (NLTL). La prima, interamente in territorio francese, va da Lione (precisamente da Saint-Didier-de-la-Tour) a Montmélian, e dovrebbe costare 11,378 miliardi di euro. La seconda, di competenza internazionale perché parte comune italo-francese, va da Montmélian a Chiusa San Michele (To): la “relazione di sintesi sulla valutazione dei costi di investimento”, inserita nel Progetto Definitivo del relativo tratto, redatto da LTF e non ancora approvato, alla data di gennaio 2012 indicava un costo di 8,844 miliardi di euro (da cui sono esclusi, secondo PresidioEuropa, oneri sui lavori di esecuzione, interessi sui presiti, adeguamenti di progetti e i costi legati agli imprevisti dovuti alle indeterminazioni geologiche).
C’è, infine, la tratta tutta italiana, che da Chiusa finisce al nodo di Torino, il cui costo stimato -nel Progetto preliminare redatto nel 2010 da Rete ferroviaria italiana, società del Gruppo Ferrovie dello Stato- è di 4,393 miliardi di euro. La stessa Rfi indicava una percentuale di errore del 30 per cento.
A questo investimento, andrebbe sommato il costo della tratta tra Bussoleno (To) e Chiusa di San Michele, che è stata stralciata dal progetto relativo alla “parte comune” e allocata solo nella tratta italiana. Dovrebbe comportare un aumento di spesa di almeno 2 miliardi di euro, a carico del governo italiano.
L’8 agosto 2014, intanto, RFI ha corretto il costo della tratta internazionale nel nuovo contratto di programma con il ministero delle Infrastrutture, portandolo da 8,8 miliardi a 12 (+36%).
A quanto indicato nel progetto preliminare, è stato applicato, anno dopo anno, un tasso tendenziale di rivalutazione del 3,5%, confermato anche da Mario Virano, il Commissario dell’opera che presiede l’Osservatorio sulla Torino-Lione nella sua Analisi costi-benefici. Virano in seguito ha aggiunto che “il valore indicato dalle Ferrovie è sovrastimato, perché il costo del denaro è oggi molto più basso: nell’ultimo biennio siamo su valori dello 0,7%”. La spiegazione ha convinto RFI, anche se alle domande di Altreconomia la società ha risposto che il tasso di rivalutazione verrà confermato solo all’atto della richiesta di finanziamento Ue, prevista come già ricordato a fine febbraio 2015.
Applicando al budget di 12 miliardi di euro il modello di ripartizione delle spese secondo le percentuali stabilite dall’Accordo sull’alta velocità, e che prevede che il 57,9% dell’opera sia a carico dell’Italia e il 42,1% alla Francia, si ottiene, nel peggiore dei casi una spesa di 6.935 milioni di euro per l’Italia e 5.042 milioni per la Francia. “Peggiore dei casi” significa che il finanziamento europeo sia pari a zero: infatti il contributo europeo massimo è “fino al 40% del budget”, e ciò significa che potrebbe anche essere inferiore, fino a zero. Se il contributo fosse quello massimo, auspicato dai vertici istituzionali, l’Italia sarebbe chiamata a spendere quasi 4,2 miliardi di euro, contro i 3,025 della Francia.
Inoltre, RFI assicura che il finanziamento pubblico è reso disponibile grazie alla Legge di Stabilità 2013 la quale avrebbe stanziato 2,94 miliardi. “In realtà -sostiene Paolo Prieri, portavoce di PresidioEuropa -i fondi allocati ammontano complessivamente a 2,56 miliardi di euro, spalmati fino al 2029. E dato che l’Europa erogherà il proprio contributo esclusivamente su spese effettuate entro il 2020 (questo è il periodo di riferimento del bando in corso, ndr), il nostro Paese avrà a disposizione solo 1,37 miliardi di euro”. Ciò significa che se anche il contributo Ue dovesse essere del 40 per cento, esso non potrà superare i 910 milioni di euro.
I dubbi sull’entità dell’eventuale contributo europeo, in particolare per la realizzazione del Tunnel di base -quello di 57 chilometri tra Saint-Jean e Susa (To)-, derivano anche da una lettura attenta del budget della Commissione. Tra il 2014 e il 2020, infatti, l’Ue ha a disposizione 5,5 miliardi di euro da utilizzare per tutti i progetti delle Reti TEN-T, sistema di trasporto strategici trans-europei, mentre Francia e Italia vorrebbero richiedere un cofinanziamento che va tra 4 e 5,2 miliardi.
Cioè una cifra tra il 73% e il 95% dei fondi europei disponibili per le decine di progetti individuati. È ipotizzabile che l’Unione europea non riuscirà a garantire il cofinanziamento richiesto per quest’opera, come avrebbe spiegato anche il presidente della Commissione trasporti del Parlamento europeo, Michael Cramer, il 14 ottobre scorso durante un incontro con il PresidioEuropa: “Il 40% di 26 miliardi di euro sono molti soldi, che non abbiamo. Se anche li avessimo, non andrebbero mai ad un solo Paese: l’Unione europea è formata da 28 Paesi membri”. Un report redatto dall’ex vicepresidente della Commissione europea Henning Christophersen, e presentato a dicembre 2014 al Consiglio Europeo, spiega inoltre che per 5 dei grandi progetti europei, inclusa l’Alta velocità tra Torino e Lione, verranno assorbiti complessivamente non più di 5 miliardi.
Una certezza è, invece, il valore delle spese già rendicontate da LTF all’Unione europea, che sarebbero pari -secondo i dati forniti ad Ae da RFI- a 708 milioni di euro, tra studi e lavori. Bruxelles ha erogato per il momento finanziamenti pari a 420 milioni di euro, cui dovrebbero aggiungersi entro il 2016 altri 100 milioni di euro per studi e indagini geognostiche, più 58 milioni di euro per gli espropri. Un investimento che al momento ha prodotto davvero poco: quando sono passati oltre 25 anni dall’avvio del progetto di Alta velocità tra Torino e Lione, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ha approvato soltanto il progetto preliminare della parte italiana delle sezione internazionale dell’opera, cioè dal confine italo-francese a Bussoleno (To), ma senza emettere la relativa delibera, l’atto cioè che garantirebbe la copertura finanziaria dello Stato per la sua parte. Non sono stati approvati, invece, il progetto preliminare della tratta italiana tra Bussoleno e Torino. Secondo LTF, sarebbe “tecnicamente e finanziariamente” chiuso il progetto definitivo dal confine a Bussoleno. Senza la definizione del “costo a vita intera dell’opera”, e nemmeno la certezza del contributo europeo né la disponibilità finanziaria nazionale, però, il Cipe non potrà approvarlo. La Torino-Lione resta così un costosissimo progetto, sulla carta. —
Le accuse infondate
Il 23 dicembre 2014, i quattro attivisti No Tav della Val di Susa che hanno trascorso oltre un anno in carcere in attesa di processo, con l’accusa di terrorismo, sono tornati a casa: una settimana prima, il Tribunale di Torino aveva dovuto riconoscere che l’incendio di un compressore -avvenuto nella notte fra il 13 e il 14 maggio del 2013- non poteva essere qualificato come un atto terroristico. Per loro, era stata richiesta una condanna a 9 anni e mezzo di carcere.
A fine dicembre, l’accusa di terrorismo è caduta anche per altri tre attivisti milanesi, coinvolti nella stessa manifestazione.
“Fu un atto di guerra contro lo Stato”, avevano affermato nell’ultima arringa i due pm che hanno condotto le indagini, Antonio Rinaudo e Andrea Padalino.
A carico dei 4 No Tav, però, è rimasta una condanna a 3 anni e mezzo per porto d’armi da guerra (le molotov), danneggiamento, incendio e violenza a pubblico ufficiale. (lm)