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Sull’accettabilità dei monumenti fascisti
Alcune pratiche di risemantizzazione dei “segni” del regime nel tessuto urbano rischiano di non sortire l’effetto sperato. Il caso di Bolzano. La rubrica di Tomaso Montanari
Si è notato come la reazione all’esagerata propensione alla monumentalità tipica dei totalitarismi del Novecento abbia generato, nell’arte dei nostri giorni, una marcata antimonumentalità. Una scelta in sé ammirevole e assai efficace nelle nuove inserzioni nel tessuto urbano: si pensi alle pietre d’inciampo, che segnano i luoghi a cui non fecero più ritorno gli ebrei deportati nei campi di concentramento. Una scelta che però rischia di non riuscire a invertire segni perentori che dovrebbe invece visibilmente modificare. Il rischio concreto è che i memoriali fascisti o colonialisti rimangano ben visibili e che invece le loro correzioni democratiche appaiano irrilevanti.
È quanto accade, per esempio, al Monumento alla vittoria di Bolzano, uno dei più controversi (fin dalla sua inaugurazione, nel 1928, la famiglia di Cesare Battisti lo disconobbe proprio a causa della smaccata appropriazione compiuta dal regime) e contestati (fu anche bersaglio di attentati dinamitardi).
Opera di Marcello Piacentini e di alcuni scultori importanti (tra loro Libero Andreotti, Pietro Canonica, Adolfo Wildt), questo arco trionfale irto di simboli fascisti in scala colossale, lega in un nodo indissolubile lo spirito irredentista della Grande guerra, la propaganda fascista e l’esibizione di un’arrogante italianità: l’iscrizione monumentale proclama, in latino, che da questo confine della patria noi italiani avremmo insegnato agli altri (anzi, ai barbari nella prima versione dell’epigrafe) la lingua, le leggi e le arti.
Il tentativo del Comune di Bolzano di ribattezzare la piazza della Vittoria, che lo contiene, in piazza della Pace (2001) è stato subito ribaltato da un referendum popolare (2002) che ha visto i cittadini di lingua italiana opporsi vittoriosamente a quelli di lingua tedesca.
Anche la risemantizzazione del monumento è assai discutibile: i cartelli predisposti dal Comune di Bolzano (assai moderati: “Questo monumento fu eretto durante il regime fascista per celebrare la vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale. Essa comportò anche la divisione del Tirolo e la separazione della popolazione di questa terra dalla madrepatria austriaca. La città di Bolzano, libera e democratica, condanna le divisioni e le discriminazioni del passato e ogni forma di nazionalismo, e si impegna con spirito europeo a promuovere la cultura della pace e della fratellanza”) sono stati posti a 50 metri dal monumento a causa di prescrizioni (invero incomprensibili, e gravi) della Soprintendenza.
Mentre l’installazione luminosa che cinge una colonna dell’arco trionfale non solo è assai poco visibile, ma si limita a far girare una didascalia che rinvia all’ottimo allestimento didattico che si trova nel sotterraneo del monumento stesso, e altrove in città. Ben altro intervento sarebbe stato necessario per rendere accettabile la permanenza di questo terribile complesso monumentale: permanenza impensabile nella Germania post-nazista.
Molto più efficace, nella stessa Bolzano, l’intervento sul colossale bassorilievo che celebra la storia del fascismo sulla facciata dell’ex Casa littoria. All’iscrizione originale “Credere, obbedire, combattere” risponde oggi una grande scritta luminosa (proposta dagli artisti Arnold Holzknecht e Michele Bernardi, riusciti vincitori in un concorso di idee) che riporta una frase estrapolata da una conversazione radiofonica di Hannah Arendt a proposito del processo al nazista Adolf Eichmann: “Nessuno ha il diritto di obbedire”.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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