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Finanza / Opinioni

Sul fallimento della piattaforma di scambio di criptovalute Ftx e sul domino speculativo

© Mariia Shalabaieva - Unsplash

La piattaforma di scambio fondata da Sam Bankman Fried ha dichiarato bancarotta bruciando oltre 32 miliardi di dollari e mettendo in crisi 100mila creditori. Il crac ha causato un terremoto nel settore mettendo nuovamente in discussione la sua reale solidità. L’analisi di Alessandro Volpi

Nel giro di pochissimi giorni una delle principali piattaforme di scambio delle criptovalute, Ftx, è fallita, bruciando oltre 32 miliardi di dollari di valore. Il suo creatore e amministratore, l’istrionico Sam Bankman Fried, aveva rassicurato gli oltre 100mila creditori, tra cui molti fondi assai navigati, che non esisteva alcun problema e che i loro investimenti nella piattaforma erano decisamente sicuri. Nel frattempo, il giovane matematico, laureato a Stanford e in grado di “reclutare” a sostegno di Ftx sportivi del calibro di Tom Brady e Steph Curry, “prestava” ben 18 di quei 32 miliardi di dollari a un suo fondo di investimento, Almeda Research, nella disperata speranza di trascinarlo fuori dalle secche in cui era finito. L’operazione di salvataggio, tuttavia, non è riuscita e la crisi definitiva del fondo personale di Bankman Fried ha devastato anche Ftx, mettendone in ginocchio i creditori e, al contempo, scatenando un’ondata di panico nell’intero mondo delle criptovalute dove non è ancora chiaro quante siano le società interessate dal crac di Ftx; l’estrema opacità di molte delle società operanti nell’universo delle valute digitali, infatti, non consente di definire facilmente la mappa del contagio provocato dal crollo della quarta piattaforma mondiale di criptovalute. Del resto si tratta di paure tutt’altro che infondate dal momento che sono molto recenti i tracolli di due altri grandi operatori digitali come Terra e Celsius, quest’ultimo destinato a coinvolgere nella tempesta quasi due milioni di utenti.

Di fronte a simili fenomeni, da più parti si comincia a parlare di fine dell’era delle criptovalute, che avrebbero esaurito molto rapidamente la loro capacità di essere attrattive. In effetti sembrano sempre più evidenti alcune criticità connesse con tali divise. In primo luogo emerge con forza la profonda distonia fra il valore attribuito alle criptovalute e il loro reale utilizzo come strumenti di pagamento. Secondo stime recenti sarebbero 12mila le monete digitali per una capitalizzazione complessiva di 2.500 miliardi di dollari, ma il volume delle transazioni, dei pagamenti, effettuati con questi strumenti è decisamente molto limitato. In una simile ottica, quindi, le criptovalute non hanno ancora assunto il ruolo di moneta vera e propria, risultando piuttosto delle forme di investimento, il cui grado di rischio dipende però in larga misura proprio dal fatto che non hanno un vasto impiego. In altre parole, chi opera nel settore delle criptovalute raramente lo fa per adoperarle come mezzo di pagamento reale, scegliendole invece come una scommessa sul loro valore, il cui grado di successo dipende tuttavia proprio dalle prospettive di adozione: se i pagamenti in criptovalute resteranno pochi, il loro valore tenderà, inevitabilmente, a diminuire. C’è poi un problema, assai rilevante, in materia di controlli. Le criptovalute non sono emesse da una banca centrale e non hanno corso legale, non devono cioè essere accettate obbligatoriamente in pagamento; quindi la loro circolazione dipende dalla credibilità del soggetto che le emette e dalla fiducia che riscuote sul mercato.

In simili condizioni è evidente che neppure le criptovalute più note, come i bitcoin, in grado da soli di capitalizzare circa mille miliardi, dispongono di reali reti di protezione e il loro valore può subire -come di fatto è avvenuto- impennate e altrettanto rapidi e vertiginosi crolli. Ad accrescere l’incertezza contribuisce anche la mancanza di una efficace regolamentazione sia sul piano internazionale sia sul piano dei singoli ordinamenti nazionali. Proprio le vicende di Ftx offrono la conferma di questa debolezza sul versante della vigilanza. Una piattaforma di scambio di criptovalute, considerata solidissima e giudicata pienamente conforme alle regole della normativa europea Mifid, è saltata per aria all’improvviso, sfuggendo a ogni controllo. La Sec, l’autorità di vigilanza borsistica degli Stati Uniti, è intervenuta solo dopo che la stessa Ftx aveva presentato istanza di fallimento. Alla luce di ciò dovrebbe risultare chiaro che le criptovalute hanno ancora un forte carattere speculativo che le espone a rischi costanti di oscillazioni di prezzo; del resto la loro iniziale fortuna è dipesa dall’idea, rivelatasi per ora avventata, che il numero e il valore delle transazioni digitali crescessero rapidamente, oltre che da un regime fiscale assai favorevole. Ad accrescere le incertezze delle criptovalute contribuisce infine il timore che una parte del loro già limitato impiego serva per transazioni di natura illegale; un pericolo a più riprese sottolineato da varie istituzioni internazionali. Una considerazione a parte, rispetto al tema delle criptovalute, meritano le monete elettroniche emesse dalle banche centrali, come nel caso dell’euro digitale che potrebbe avere, data la sua solidità ben diversa da quella delle criptovalute, una robusta efficacia nel contrato all’evasione e nella semplificazione delle procedure di pagamento. Ma questa è un’altra storia.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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