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Economia

Sul Brasile i denti da latte di Parmalat & Co. – Ae 43

Numero 43, ottobre 2003La liberalizzazione ha portato -con le società europee- prezzi più bassi e migliore qualità. Ma i piccoli produttori non stanno dietro alle esigenze della grande distribuzione. E restano esclusi Questa storia, bianca come il latte, non ha…

Tratto da Altreconomia 43 — Ottobre 2003

Numero 43, ottobre 2003

La liberalizzazione ha portato -con le società europee- prezzi più bassi e migliore qualità. Ma i piccoli produttori non stanno dietro alle esigenze della grande distribuzione.
E restano esclusi

Q
uesta storia, bianca come il latte, non ha né buoni né cattivi. Non accusa la solita multinazionale di comportamenti scorretti, contrari ai diritti umani o ai lavoratori. Ma una morale, questa storia, ce l'ha: racconta di come le regole (anzi: le non-regole) della globalizzazione solo in apparenza portano vantaggi per tutti.

La storia si svolge dall'altra parte del mondo in Brasile, ma ha una protagonista italiana: Parmalat, multinazionale del latte, trenta i Paesi dove opera. A dire il vero Parmalat è in buona compagnia (Danone e Nestlé) quando fa il suo ingresso definitivo nel mercato del latte brasiliano.

Il merito è dei governi che, a partire dagli anni '90, hanno liberalizzato il settore, attirando gli interessi delle grandi società transnazionali.

Il finale vale la pena di dirlo subito. In dieci anni l'ingresso e il consolidamento delle imprese multinazionali in Brasile hanno rinnovato il mercato del latte: sono aumentate quantità e qualità, e sono diminuiti i prezzi al consumo. Da un lato.

Dall'altro Parmalat & Co. hanno contribuito a spazzar via l'industria nazionale, fondata su di un sistema di produzione e raccolta che poneva al centro la piccola azienda a conduzione familiare, escludendo decine di migliaia di produttori e forzando l'abbandono delle campagne. Le vie della massimizzazione del profitto sono anche queste.

Un primo allarme sulle perversioni della liberalizzazione era già arrivato, due anni e mezzo fa, dalla cittadina di Ipirà, nello Stato di Bahia, nel Nord-Est brasiliano. Lo firmava un missionario italiano, don Piero Medici: “Come prete reggiano, mi sono sentito profondamente colpito e umiliato dall'atteggiamento insensibile e provocatorio della Parmalat, che sta raccogliendo latte nella zona per le sue fabbriche fuori della Bahia. Il prezzo del latte, che era pagato anche 28 centesimi (200 lire), è stato drasticamente portato a 12 centesimi, senza discutere e senza preavviso dalla Parmalat… o accettare o niente”. L'episodio aveva provocato le proteste della società civile italiana, e un parziale dietrofront dell'azienda, anche se, un paio di mesi più tardi, contro le politiche di Parmalat era stata organizzata una manifestazione da parte del Movimento dei Sem Terra.

Ma la situazione in tutto il Paese sembra non aver invertito la rotta.

Uno studio sull'impatto di Parmalat nel mercato lattiero brasiliano lo ha preparato Azione Aiuto, organizzazione internazionale di cooperazione allo sviluppo, con sede anche in Brasile. Si intitola “Mercato scremato” e si può scaricare dal sito www.azioneaiuto.it/uff36.htm.!!pagebreak!!

In poche decine di pagine il rapporto ricostruisce la realtà del mercato del latte brasiliano, le riforme che l'hanno aperto agli stranieri e le conseguenze del loro arrivo.

La produzione di latte in Brasile ha superato i 22 miliardi di litri (è il sesto Paese al mondo per latte vaccino). Questo non basta a soddisfare la domanda interna, per cui si è costretti a importare.

In un Paese dove ci sono oltre 4,6 milioni di proprietà terriere produttive, il 70% del territorio è in mano ai grandi latifondi, e solo il restante 30% alle aziende familiari (la stragrande maggioranza sul totale delle aziende). L'80% dei centri di produzione di latte è a conduzione familiare. A loro si deve oltre la metà del latte brasiliano. Tre quarti dei lavoratori agricoli sono impiegati nelle aziende familiari.

La liberalizzazione del settore voluta nei primi anni '90 apre a Parmalat e alle altre multinazionali un mercato dalle deboli “barriere d'ingresso”, poiché le piccole aziende non sono in grado di fronteggiare le capacità economiche e finanziarie dei colossi stranieri. Il latte brasiliano è un affare appetibile, tanto che nel giro di dieci anni tra le prime cinque società del comparto, quattro sono multinazionali. Che iniziano a dettare regole e prassi.

La prima: sfruttare i vantaggi delle importazioni dai Paesi vicini (come l'Argentina o l'Uruguay, appartenenti all'accordo Mercosur), dati dai cambi favorevoli e dall'assenza di dazi. Tra il 1989 e il 2001 l'import di latte passa da 19 milioni di dollari a 47.

La seconda: ottimizzare la distribuzione, riducendo i costi. Ma una grande distribuzione ha bisogno di grandi produttori, che siano in grado di soddisfare le richieste quantitative e qualitative del compratore. Parmalat (come le altre multinazionali) chiede ai propri fornitori alta produttività, forniture costanti, standard qualitativi più elevati. Ma non tutti possono permettersi di comprare nuovi capi di bestiame, macchinari per la mungitura, o celle frigorifere per conservare il latte.

Il modello di mercato dove il latte è prodotto e consumato localmente cede il passo a un modello nazionale, che ha le sue esigenze di conservazione e trasporto. Se i piccoli produttori non ce la fanno, largo ancor più alle importazioni.

Terza regola: migliorare l'offerta. Parmalat in questo sbaraglia tutti, lanciando il latte a lunga conservazione che si adatta perfettamente alle esigenze dei consumatori brasiliani. E a quelle della multinazionale, che può ancor più spingere sulla distribuzione e l'import.

Il risultato: aumentano i consumi, diminuisce il prezzo per i clienti, aumentano i profitti. Un successo aziendale. Chi ne paga i costi? Nel 1989 a un produttore dello Stato del Minas Gerais (maggior produttore del Brasile) restava il 58% del prezzo finale, oggi quella percentuale è passata al 46%. Contemporaneamente, come si diceva, i prezzi al consumo sono scesi di oltre un terzo. Questo ha fatto sì che tra il 1996 e il 2002 quattro delle maggiori imprese del settore abbiano ridotto il numero di fornitori di circa 70 mila unità, ottenendo allo stesso tempo un aumento del 15% della produttività. Parmalat ha escluso dal mercato, non comprandone più il latte, 23 mila produttori, seconda solo a Nestlé, che ne ha esclusi ben 32 mila.

“Ragione? La solita: superproduzione -scriveva due anni fa don Piero dalla sua missione-. E così ancora una volta i contadini si vedono privare di un guadagno per lo meno onesto e dignitoso, per rifare girare un'economia che era in collasso”. !!pagebreak!!

Oltreoceano dal 1973
Per la terza volta su Altreconomia. Di Parmalat, multinazionale di casa nostra, abbiamo parlato già nel numero 25 (febbraio 2002) e nel numero 39 (dello scorso maggio). 30 i Paesi dove la società è presente, dall'Argentina alla Polonia, nel 2002 il fatturato del gruppo è stato di 7,5 miliardi di euro. Nei primi mesi di quest'anno siamo a quota 3 miliardi e 400 milioni. L'utile operativo netto è stato di 613 milioni di euro, per metà concentrato nelle Americhe. Il 75% delle vendite è effettuato fuori dall'Italia.

In Brasile Parmalat arriva nel 1973, con l'obiettivo di produrre, in società con un'impresa locale, yogurt e dessert. Ma solo dal 1989 l'azienda inizia una campagna aggressiva verso il mercato brasiliano, attraverso l'acquisizione di imprese locali. Già nel 1993 quella brasiliana è la seconda filiale del gruppo nel mondo. Tra il 1989 e il 2001 Parmalat ha acquisito 27 società, riducendo poi gli impianti a dieci e portando i centri distributivi a sette.

Parmalat spa appartiene a Parmalat Finanziaria, società controllata al 51% (il resto è quotato in Borsa) dalla famiglia Tanzi, che ha fondato l'azienda nel 1961. Calisto Tanzi ne è presidente. Il gruppo vanta 36 mila dipendenti nel mondo, e 146 stabilimenti. Il latte rappresenta ancora il 57% circa delle vendite, ma Parmalat si occupa anche di alimenti freschi, prodotti da forno, succhi di frutta e prodotti vegetali.

In 40 Paesi l'alleanza contro la povertà
Azione Aiuto -autore del rapporto su Parmalat- si definisce “un'organizzazione internazionale indipendente, impegnata nella lotta alla povertà con progetti di sviluppo a lungo termine in circa 40 Paesi ed attività di sensibilizzazione del pubblico e delle istituzioni in Europa”.

In Italia è nata nel 1989 ed è giuridicamente sia onlus che ong. fa parte di Action Aid Alliance, network di ong attive in Asia, America Latina, Africa (www.azioneaiuto.it).

A chiusura del rapporto di cui parliamo in queste pagine, Azione Aiuto ha rivolto una serie di raccomandazioni a chi opera nel settore lattiero brasiliano e agli altri attori del commercio internazionale. A Parmalat e alle altre multinazionali, Azione Aiuto chiede di promuovere un sostegno concreto per finanziare i piccoli produttori, affinché siano in grado di apportare le migliorie tecniche decisive per non essere esclusi dal mercato. Insieme, un sistema di negoziazione del prezzo del latte più trasparente e partecipativo, con l'adozione di una politica aziendale comune di differenziazione dei prezzi. Al governo brasiliano (ma anche a quelli dei Paesi industrializzati) chiede invece di tenere conto dei risvolti sociali delle scelte in materia di commercio internazionale, specie nei confronti dei Paesi del Sud del mondo, opponendosi alla totale liberalizzazione degli investimenti.

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