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Storie di uomini che cercano di combattere la mascolinità tossica

© "Nel cerchio degli uomini"

Si parla poco di maschilità plurali ma qualcosa sta cambiando e in Italia stanno nascendo gruppi di autocoscienza maschile. Da Maschile Plurale al Gruppo Gnam di Milano fino al Cerchio degli uomini di Torino. Proprio quest’ultima è al centro del nuovo film “Nel cerchio degli uomini” di Paola Sangiovanni. L’abbiamo intervistata

Uomini che combattono la tendenza alla violenza. Uomini che superano uno stereotipo che li vuole forti e potenti. Uomini che ritrovano una connessione con la propria interiorità e le proprie emozioni. Il documentario “Nel Cerchio degli uomini” di Paola Sangiovanni, prodotto da Kon-Tiki Film in collaborazione con Rai Documentari, affronta il tema della violenza di genere da un punto di vista diverso: quello degli uomini che rifiutano lo standard della mascolinità tossica. 

Raramente si sente parlare di maschilità plurali, ma qualcosa sta cambiando e in Italia stanno nascendo diversi gruppi di autocoscienza maschile: tra questi c’è Cerchio degli uomini di Torino. Il film, che verrà proiettato in anteprima il 4 luglio allo Spazio Scena di Roma e che sarà in onda in prima serata su Rai3 il 13 luglio, parla proprio di questa realtà. “Nel documentario racconto le storie di Roberto, Domenico e Mario, tre uomini diversi, accomunati dal desiderio di decostruire il modello culturale maschile basato sulla forza e la competitività -spiega la regista Paola Sangiovanni-. Le loro storie personali si intrecciano a quelle collettive che nascono dalle attività dell’associazione: c’è il cerchio di autocoscienza maschile, da cui è cominciato tutto, ma anche il cerchio per i padri, il laboratorio nelle scuole sugli stereotipi di genere, il centro di ascolto per uomini che agiscono violenza e un laboratorio di teatro dell’oppresso che coinvolge uomini di diverse culture”. 

Paola, nel tuo percorso hai trattato il tema della violenza di genere sotto diversi punti di vista. Perché ora hai deciso di affrontarlo attraverso la prospettiva maschile?
PS Questo documentario fa parte di una trilogia sulla violenza di genere raccontata attraverso sguardi disallineati: le storie personali dei protagonisti permettono di riflettere anche su una storia più grande. Il primo film della serie è “Ragazze – La vita trema” che racconta, attraverso la storia di quattro ragazze, il movimento femminista nell’Italia degli anni Settanta. Poi c’è “La linea sottile”, che tratta il tema della violenza delle guerre contemporanee sul corpo delle donne attraverso due testimonianze: quella di una ragazza bosniaca vittima di violenza da parte dei paramilitari serbi, e quella di un soldato italiano in Somalia, parte di un contingente che si è macchiato di crimini contro le donne. L’ultimo capitolo della trilogia è proprio “Nel cerchio degli uomini”, che ha come protagonisti degli uomini che fin da bambini si sono sentiti stretti nel modo di dover essere maschi imposto dalla cultura patriarcale, e che vogliono mettere in crisi quegli stessi modelli che tradizionalmente li hanno privilegiati. Il condizionamento nella costruzione del genere è invisibile ma ci fa soffrire: questo vale sia per le donne sia per gli uomini.

© “Nel cerchio degli uomini”

In Italia esistono diverse realtà che lavorano sul maschile. Perché hai deciso di raccontare proprio quello che succede a Torino nel Cerchio degli uomini?
PS Quando ho saputo che in giro per l’Italia c’erano vari gruppi di uomini che si mettevano in discussione, per me è stata una scoperta molto importante. Il Cerchio degli uomini mi ha attirato per una serie di motivi: in primis, la forma del cerchio, simbolo di una comunicazione orizzontale, uno scambio paritario. Si abbandonano le gerarchie e le logiche di potere per mettersi tutti sullo stesso piano, in nome di una condivisione delle emozioni e del proprio vissuto. Questa dinamica viene replicata in tanti contesti: i laboratori nelle scuole, i cerchi con i padri, lo sportello per gli uomini maltrattanti. È un metodo non medicalizzante, che non passa attraverso la psichiatria, ma che attraverso la riflessione sulla nostra cultura porta a un cambiamento.

Già dagli anni Settanta le donne, grazie ai gruppi femministi, hanno avviato una riflessione sugli stereotipi e hanno creato narrazioni alternative sulla femminilità, mentre gli uomini ancora oggi fanno fatica a discutere di maschilità plurali e a scardinare i cliché tradizionali. 
PS Gli stereotipi che ingabbiano gli uomini sono ancora tanti. Ad esempio, molti fanno ancora fatica a rapportarsi con le donne senza cadere nella dinamica “io sto sopra e tu stai sotto”: quante volte a noi donne capita di avere davanti un uomo che ci spiega qualcosa che magari sappiamo benissimo. Anche questi uomini che partecipano al Cerchio continuano a raccontare di dover rimanere vigili per non cadere nel paternalismo. Poi c’è il lavoro sulla rabbia, che comporta la difficoltà di trovare una misura. Molti oscillano tra due opposti: si va dall’atteggiamento autolesionista a quello prevaricatore verso gli altri. Come dare alla rabbia un nuovo linguaggio? Centrale è riuscire a mettersi in contatto con le proprie emozioni. Nei codici maschili c’è una repressione violenta delle emozioni, tanto che alcune sono trasformate nel loro contrario: uno è triste, ma crede di essere arrabbiato.

© “Nel cerchio degli uomini”

Che tipo di struttura narrativa ha il documentario?
PS La sfida era quella di riuscire a mettere in relazione le storie personali con il mondo circostante e con l’evoluzione molto lenta del modello culturale maschile. Per farlo ho inserito diversi linguaggi narrativi: il primo è vicino al documentario di osservazione, in cui lo sguardo della regista si ferma e guarda quello che accade intorno. Un altro piano si ispira al documentario di creazione, con un uso narrativo ed evocativo dei materiali di repertorio, che funzionano da contrappunto alla narrazione e che parlano un linguaggio più suggestivo ed evocativo. In particolare, ho utilizzato video provenienti dall’archivio Superottimisti, che raccoglie antichi film di famiglia, oltre a immagini storiche di manifestazioni femministe, dove si vedono anche uomini che partecipano. Infine c’è lo sguardo sulla città, questa Torino addormentata, per far capire che quelle storie sono sì personali, ma anche collettive. Proprio come l’assunto femminista del “personale è politico”.  

Perché è importante affrontare il tema della violenza di genere insieme agli uomini?
PS Il tema è talmente profondo e impattante che necessariamente va affrontato insieme, uomini e donne. Nei media oggi sentiamo spesso parlare di femminicidio, ma quella è solo la punta dell’iceberg: prima che una donna venga uccisa succede molto altro. Purtroppo, per anni gli uomini sono rimasti in silenzio e hanno fatto fatica a esporsi: il fatto che oggi ci siano uomini che in piccoli gruppi si ritrovano e si mettono in discussione è già di per sé molto importante. Sono certa che molti di coloro vedranno il film si riconosceranno nelle loro parole: la mentalità sta cambiando, il muro inizia a sgretolarsi.

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