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La violenza digitale, invasiva e nascosta degli stalkerware che colpisce le donne

Presentate come soluzioni antifurto o per controllo parentale, queste app alla portata di tutti possono essere installate per monitorare i dispositivi all’insaputa dei proprietari, scandagliando email, telefonate e account social. Una prassi illegale che si inserisce nell’ampia galassia della cyberviolenza. I dati di Kaspersky

© Soumil Kumar, unsplash

Programmi in grado di monitorare tutto quello che viene fatto su un determinato dispositivo: dall’invio di messaggi all’uso dei social media, dall’ascolto delle telefonate alla cronologia del browser, fino all’accesso ai dati personali. Sono gli stalkerware, una forma invasiva di cyberviolenza che spesso rimane nascosta. Si tratta di applicazioni che, una volta installate, controllano il dispositivo senza che il proprietario se ne accorga. Il report Lo stato dello stalkerware 2021 di Kaspersky, azienda che si occupa di sicurezza digitale, mostra come questa pratica sia in crescita, soprattutto da quando è iniziata la pandemia. A livello mondiale nel 2021 sono stati 32.694 gli utenti della società vittime di stalkerware, in particolare donne. Questa è solo la punta dell’iceberg: la Coalition against Stalkerware stima che la cifra potrebbe essere almeno di 30 volte più alta, arrivando a quasi un milione di persone monitorate in tutto il mondo.

“Il mito dell’amore romantico ci fa pensare che nella coppia tutto debba essere condiviso e che non ci sia bisogno di mettere barriere di privacy –spiega Elena Gajotto, vicepresidente della cooperativa Una casa per L’uomo di Treviso, impegnata nel contrasto alla violenza contro le donne-. Chiedere di controllare il telefono del partner è considerato normale, con la solita scusa: ‘Se non hai niente da nascondere, non dovresti preoccuparti’. C’è la percezione che non ci sia nulla di male”.

Russia, Brasile e Stati Uniti sono i Paesi dove lo stalkerware è più diffuso ma il problema esiste anche in Europa: i contesti più critici sono la Germania, seguita da Italia e Regno Unito. All’età di 15 anni, una donna europea su dieci ha già subito violenze informatiche, e sette su dieci sono state attaccate attraverso cyberstalking. La forma più comune di violenza digitale è quella dell’uomo che controlla le attività digitali della propria partner: email, telefonate e account sui social.

In Italia il report Digital stalking in relationships, sempre a cura di Kaspersky, mostra che il 26% delle persone ritiene normale spiare il proprio partner senza il suo consenso e l’8% lo ha fatto davvero. Il 6% (7% di uomini, 5% di donne) ha installato uno stalkerware: tra le motivazioni, il sospetto di infedeltà (70%), il possibile coinvolgimento in attività criminali (59%) e motivi legati alla sicurezza del compagno o della compagna (52%). Il 24% degli italiani sospetta che la sua privacy digitale sia stata violata. Spesso lo stalkerware è solo un aspetto della violenza, che si declina anche in altri ambiti: l’8% delle persone ha installato in prima persona un’applicazione di monitoraggio, dietro obbligo del proprio partner a, e la percentuale sale al 27% tra chi ha già subìto altri tipi di abusi.

Scaricare uno stalkerware dal web è alla portata di tutti, oltre che legale: queste app si presentano come soluzioni antifurto o come strumenti per il controllo parentale o aziendale. Diventano però illegali quando vengono installate senza il consenso del proprietario del dispositivo: in questi casi, l’articolo 615 bis del Codice penale prevede una pena dai sei mesi a quattro anni di reclusione. “Ci sono guide online di blogger e influencer che spiegano come installare un software spia, con le recensioni degli utenti, proprio come se si trattasse di una app qualsiasi -spiega Amedeo D’Arcangelo di Kaspersky Italia-. Il fatto che spiare una persona senza il suo permesso sia illegale non viene pubblicizzato, anzi: si trova scritto in piccolo, alla fine di tutte le spiegazioni. Per fortuna oggi Google Play e Apple Store hanno bandito questo tipo di applicazioni: per scaricarle tocca andare sul sito del produttore e abilitare la possibilità di installare app da fonti sconosciute. Non è più così facile come un tempo”.

Come capire se si è controllati? Tra i campanelli d’allarme ci sono i dati mobili che si esauriscono più velocemente, la batteria che si scarica rapidamente e un eccessivo rallentamento del dispositivo. Un altro segnale è il fatto che il partner conosca informazioni che non sono state condivise nella coppia. In tal caso, meglio controllare quali app stanno consumando le risorse del telefono e quali hanno accesso alla posizione. “Se si scopre di essere controllati, non bisogna agire d’istinto né disinstallare l’app, altrimenti la persona che spia potrebbe capire di essere stata scoperta e dalla violenza digitale potrebbe passare a quella fisica -continua D’Arcangelo-. La cosa migliore è contattare le autorità o un’organizzazione che supporta le vittime di violenza”.

Come sempre prevenire è meglio che curare: per questo si consiglia di impostare un pin forte, da cambiare spesso, e non condividere le password con nessuno. È utile anche disabilitare la possibilità di scaricare app da siti non sicuri, e installare un antivirus che rilevi se il dispositivo viene spiato. “Le istituzioni potrebbero fare qualcosa in più per regolamentare l’attività di chi produce questo tipo di programmi -spiega D’Arcangelo-. Chi li vende dovrebbe essere obbligato a informare chiaramente l’acquirente, proprio come sul pacchetto di sigarette vediamo scritto che il fumo nuoce alla salute”.

Lo stalkerware è solo un elemento della più ampia galassia della cyberviolenza, che si consuma attraverso le tecnologie informatiche e digitali. Tra le forme più comuni c’è il cosiddetto cyberstalking, che consiste nell’inviare messaggi con contenuti offensivi o minacciosi e monitorare le attività online della vittima. Vi è poi la condivisione non consensuale di immagini, il furto di identità, il doxing (la diffusione in rete di informazioni personali e private), il sexting (l’invio di messaggi o immagini sessualmente espliciti), la sextortion (la minaccia di pubblicare foto o video compromettenti per ricattare una persona), ma anche il gender trolling (i commenti negativi e gli insulti basati sul genere). “La violenza informatica avviene in forme inaspettate -riprende Elena Gajotto-. Una donna che era ospite in una nostra casa rifugio è stata rintracciata dall’uomo che la maltrattava: inizialmente non capivamo come avesse fatto, poi abbiamo scoperto che l’aveva spiata tramite l’app dell’Asl, dove era riportato il suo nuovo indirizzo. Anche i software che ci sembrano più innocui e che usiamo quotidianamente possono essere utilizzati per esercitare un controllo”.

Il report Free to be online? di Plan International mostra che oltre la metà delle 14mila donne intervistate in diversi continenti, nella fascia tra i 15 e i 25 anni, ha subìto abusi online e cyberstalking, e ha ricevuto messaggi o immagini esplicite. Una ricerca effettuata dal Parlamento europeo nel 2021 stima che il costo della cyberviolenza si aggiri tra i 49 e gli 89 miliardi di euro l’anno, tenendo conto delle spese legali e sanitarie, della diminuzione della qualità di vita, della minore partecipazione al mercato del lavoro, minore produttività e minore introito fiscale dello Stato. Alla fine del 2021 anche Grevio, un organismo indipendente del Consiglio d’Europa che si occupa di violenza sulle donne, ha pubblicato una raccomandazione sulla “dimensione digitale della violenza contro le donne”, in cui evidenzia come i reati informatici e tecnologici possano rappresentare un rischio “ancora maggiore” di abusi. Grevio sottolinea l’importanza di contrastare tali fenomeni sia con iniziative di alfabetizzazione sulla sicurezza online, sia con leggi ad hoc.

Con questo scopo è nato il progetto “DeStalk”, che in cinque Paesi europei -tra cui l’Italia- ha contribuito a formare e informare sul tema dello stalkerware. Il percorso si è articolato in tre tappe: per prima cosa è stata creata una piattaforma di e-learning, attraverso la quale sono stati formati oltre 300 professionisti europei dei centri antiviolenza, dei centri per uomini maltrattanti e delle pubbliche amministrazioni. Poi sono stati organizzati sei workshop che in Italia hanno coinvolto, oltre agli operatori, anche le forze dell’ordine e altre istituzioni interessate al tema, per un totale di 234 professionisti. Infine, è stata avviata una campagna di sensibilizzazione. “Nell’ultimo anno la violenza digitale è diventata una questione molto dibattuta -conclude Elena Gajotto, che nel progetto DeStalk si è occupata della formazione dei professionisti italiani-. A marzo il Parlamento europeo ha emanato una proposta di direttiva sulla violenza contro le donne, che include anche la violenza digitale e chiede la nascita di leggi nazionali per punire questo tipo di reati. La consapevolezza sta aumentando: ora servono strumenti concreti. Le donne vittime di stalkerware e molestie online non devono più sentirsi sole”.

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