Economia / Attualità
Valdelsa, se doni il cibo hai uno sconto sulla Tari
I comuni dell’empolese sono tra i primi in Italia ad applicare la “Legge Gadda” che prevede la possibilità di uno sconto sulla tassa sui rifiuti per le aziende che donano le eccedenze alimentari. Nel 2016 salvati 170 quintali di cibo
Dal 2016 i comuni dell’Empolese Valdelsa scontano la tassa sui rifiuti (Tari) alle aziende che donano i prodotti invenduti alle associazioni per il recupero alimentare. Si tratta di una delle opzioni previste a livello nazionale dalla “Legge Gadda” (num. 166/16 che prende il nome dalla relatrice Maria Chiara Gadda) entrata in vigore lo scorso settembre, che ha omogenizzato e ufficializzato le tante pratiche operative già da anni sul territorio.
“Lo sconto sulla Tari, che al massimo può arrivare al 20%, diventa anche una misura di sostegno alla crisi per le aziende, perché le sostiene indirettamente diminuendo una delle tante tasse”, spiega Davide Trombini, responsabile di Assopanificatori di Confesercenti. Il donatore che è obbligato a documentare la quantità di cibo ceduta, “si rende anche conto di quanto produce in eccesso, e potrà regolare la propria attività traendone ulteriori risparmi” aggiunge Trombini. Da Sestino di Livenza, tra Iesolo e Venezia, dove sono 13mila abitanti, a Varese che ne conta 80mila: molti comuni italiani stanno iniziando a inserire questa possibilità nel regolamento comunale. I tempi potrebbero essere lunghi perché il coefficiente di riduzione per lo sconto deve essere determinato a livello locale essendo materia di competenza comunale.
Tra i primi in Italia, a Empoli il Comune e “Alia spa” (il gestore rifiuti) hanno trovato la quadra: “Abbiamo stabilito di moltiplicare per ogni chilogrammo donato un coefficiente unitario di 0,225 centesimi sui costi variabili della Tari”, spiega Fabio Barsottini, assessore all’Ambiente. “Organizzarsi sarebbe semplice e nasce dalla volontà di collaborare per non buttare ciò che è ancora buono – racconta Marinella Catagni, presidente dell’associazione “ReSo” che si occupa del recupero alimentare sull’empolese – Alia ha messo dei cassonetti nelle aziende e nei supermercati per raccogliere gli alimenti, che ritira il giovedì e porta al nostro magazzino dove i volontari li sistemano e li distribuiscono alle associazioni locali che si occupano di sostegno alle persone indigenti”.
Nel 2016 sono stati salvati 170 quintali di cibo, distribuiti a circa mille persone residenti negli 11 comuni aderenti. “In più ogni settimana portiamo sul territorio 25 quintali di frutta e verdura dal Mercafir (il Centro alimentare polivalente) di Firenze – aggiunge Catagni -. È un’iniziativa europea per il recupero della merce nei mercati all’ingrosso, che dà un indennizzo minimo al produttore e ci rimborsa il trasporto”. Tutto deve essere tracciato, come già lo è, dato che le aziende attraverso la legge del Buon Samaritano (155/2003) in vigore dal 2003, possono essere esentate dall’Iva sulla merce donata.
“Non è né una partenza né un arrivo, ma un cantiere aperto” così ha definito la norma Maria Chiara Gadda. Infatti è attivo un tavolo di lavoro in cui i ministeri della Salute e Agricoltura, un rappresentate del ministero dell’Economia, gli enti caritativi, il mondo della distribuzione e quello della produzione, monitorano lo stato della legge. Tre sotto tavoli sciolgo problemi specifici legati alla donazione di farmaci, fiscalità e donazioni di beni non alimentari.
“Il grande merito della legge – spiegano dalla Caritas – è l’aver unito in un testo unico le varie norme in materia di donazioni alimentari e aver semplificato la regolamentazione”. Ad esempio, ha portato a 15mila euro il tetto mensile entro il quale un donatore non deve ottenere preventivamente il consenso della Finanza al trasferimento dei prodotti. Questo ha risolto alcuni problemi per le merci deperibili, che rischiavano di scadere, e per i donatori, che dovevano tenersi le derrate nei magazzini con conseguenti problemi logistici per l’ingombro della merce. Inoltre la normativa chiarisce che il superamento del Termine minimo di conservazione (il “consumare preferibilmente entro…”) non preclude la donazione e quindi il consumo.
Una legge importante in un Paese dove – secondo l’Istat – nel 2016 quattro milioni di persone in stato di povertà assoluta e otto milioni di persone in povertà relativa (con una capacità di spesa inferiore a 1.050 euro mensili) fanno da contraltare a uno spreco alimentare pari all’1% del Pil. Pari a 164 chili l’anno pro-capite, per un valore di 16 miliardi di euro, di cui 12 miliardi sono eccedenze domestiche. Lo scorso anno grazie alle tante realtà – principalmente volontarie – sono state recuperate 500mila tonnellate di cibo e l’obiettivo è di arrivare ad almeno un milione.
In Vallesina, nelle Marche, 14 comuni di piccole dimensioni si sono uniti, per superare la crisi dell’industria metalmeccanica: “Abbiamo mappato i produttori del territorio, stipulato convenzioni garantendo il recupero dell’Iva e ci siamo organizzati con le associazioni presenti nei vari comuni”, spiega Augusto Bordoni, segretario dell’associazione Solidarietà in Vallesina Onlus, che garantisce pasti giornalieri a 2.500 persone dei quali 400 bambini. “Nel 2016 siamo arrivati a 1.675 quintali di derrate alimentari –aggiunge Bordoni -. Da giugno 2014, attribuendo un valore ipotetico di 1 euro a chilogrammo di merce donata, abbiamo fatto risparmiare ai comuni 1 milione di euro”.
I benefici della “Legge Gadda” si fanno sentire anche sul fronte dell’assistenza medica. “Ci ha agevolato dal punto di vista fiscale, consentendo alle aziende farmaceutiche di non avere un tetto massimo entro il quale stare e quindi dando una libertà totale di donazione. Secondo, ha equiparato anche per questo settore l’ente assistenziale al consumatore finale” spiega Marco Malinverno, direttore generale della Fondazione Banco Farmaceutico.
La fondazione collabora con associazioni di volontariato e farmacie per reperire (dai cittadini e dalle aziende farmaceutiche) i prodotti inutilizzati per distribuirli a chi ha bisogno. Un’esigenza reale dal momento che nel corso del 2016 un italiano su due ha dovuto rinunciare all’acquisto di un farmaco – in modo particolare quelli non mutuabili.
© riproduzione riservata