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Referendum per l’autonomia: le fake news di Regione Lombardia
A dieci giorni dal voto, l’ente guidato da Roberto Maroni ha pubblicato 10 “pillole” per spiegare percorso, obiettivi e significato del quesito referendario. Uno spot elettorale presentato come comunicazione istituzionale che però riporta errori clamorosi. Li abbiamo messi in fila
A pochi giorni dal “referendum per l’autonomia” del 22 ottobre, Regione Lombardia ha pubblicato sul proprio portale istituzionale una scheda informativa fatta di “10 semplici ‘pillole’” per “spiegare” il percorso, gli obiettivi e il “significato di alcune espressioni importanti contenute nel quesito referendario”. In più di un passaggio, però, l’“operazione chiarezza” si è trasformata in uno spot elettorale a favore del “Sì” ricco di inesattezze. Vediamone una per una.
Alla domanda “Perché è necessario un referendum?”, Regione Lombardia risponde: “Con il referendum per l’autonomia Regione Lombardia porta a compimento un percorso istituzionale sul quale è impegnata da tempo. Già in passato, infatti, il Governo lombardo ha provato, senza successo, la strada della trattativa con lo Stato nel tentativo di trovare maggiori spazi di autonomia, nell’ambito di quanto previsto dalla Costituzione e dalla riforma del suo Titolo V”.
La ricostruzione è fantasiosa. L’unico tentativo formale portato avanti in passato dalla Giunta guidata da Roberto Formigoni risale al 2007. Da quando Roberto Maroni è diventato Governatore, e cioè dal 2013, nessuna “trattativa” è stata invece mai avviata dal Consiglio regionale ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione. Secondo la slide regionale, la “legittimazione popolare e democratica” occorre soltanto “per poter avere più potere negoziale”.
Ad ogni modo: “Cosa succede se vince il ‘SI’?”. “Regione Lombardia -spiega la scheda informativa- avvierà il percorso istituzionale per ottenere maggiore autonomia, vale a dire più competenze e più risorse, nell’ambito del cosiddetto RESIDUO FISCALE (il maiuscolo è della Regione, ndr), ovvero la differenza tra le tasse pagate allo Stato e quanto lo Stato restituisce sul territorio”.
Propaganda pura. Come abbiamo spiegato nel nostro approfondimento pubblicato sul numero di ottobre di Altreconomia, infatti, il sistema tributario e contabile dello Stato e la perequazione delle risorse finanziarie sono materie di competenza esclusiva dello Stato. E non possono essere in alcun modo “devolute” alle Regioni. Gli autori della pubblicazione lo sanno bene, tanto che sono costretti a contraddirsi poche righe più avanti: “Le competenze che possono essere richieste sono numerose e importanti e spaziano dall’istruzione alla ricerca, alla tutela della salute, all’ambiente e fino al coordinamento della finanza pubblica e ai rapporti internazionali”. Dunque niente ordine pubblico, immigrazione o tributi. Ma l’ossessione è continua: “Le maggiori risorse verrebbero individuate nell’ambito massimo del RESIDUO FISCALE della Lombardia, ovvero 54 miliardi di euro”. Non si può, ma tant’è.
“Cosa succede se vince il ‘NO’?”. “Non ci sarà alcuna possibilità di trattare con lo Stato per ottenere maggiore autonomia”. Non è assolutamente vero. Il referendum consultivo è concepito (per la stessa legge regionale) come un passaggio preventivo “all’emanazione di provvedimenti di competenza” del Consiglio regionale. La decisione (iniziale e) finale, quindi, spetta al Consiglio, non ai cittadini più o meno strumentalizzati. Scaricare la responsabilità dell’immobilismo sul “NO” è “cesarismo”, come ha sottolineato il costituzionalista Vittorio Angiolini.
La scheda 7 è un testacoda. “Quali sono le materie su cui la Lombardia può chiedere più autonomia?”. Nell’elenco non ci sono i cavalli di battaglia della propaganda elettorale di questi mesi. Ma gli autori delle diapositive s’inventano un’appendice curiosa: “La Lombardia intende altresì esercitare un’energica azione politica al fine di ottenere un’ancora più ampia competenza da declinare sul proprio territorio in materia di sicurezza, immigrazione ed ordine pubblico, alla stregua di quanto accade per altre Regioni, chiedendo al Governo di impegnarsi anche alle modifiche legislative che si rendessero necessarie, ivi comprese quelle di rango costituzionale”.
Immigrazione, tributi e sicurezza -per stessa ammissione dei sostenitori del Sì- non c’entrano nulla con il referendum. La partita, semmai, è rinviata a una successiva ed “energica azione politica”.
“Perché nel quesito si parla di una ‘specialità’ della Regione Lombardia?”. La risposta alla “pillola” 8 è interessante: “La Lombardia è una Regione davvero speciale. Questa ‘specialità’ si fonda su numerosi elementi oggettivi strutturali, sociali, economici, culturali nonché sulle potenzialità che ne esaltano il carattere particolare”. Quindi la Regione è speciale perché è speciale. Per la Treccani ci troviamo nel campo della tautologia: quella “proposizione che, proponendosi di definire qualcosa, non fa sostanzialmente che ripetere nel predicato ciò che già è detto nel soggetto”.
Tra gli “elementi oggettivi” non poteva mancare “l’imponente RESIDUO FISCALE (sempre in maiuscolo, ndr)”. E “Che cos’è il RESIDUO FISCALE?”, domanda la scheda 9. “Il RESIDUO FISCALE della Lombardia -si legge- è la differenza tra le tasse pagate allo Stato dai cittadini lombardi e quanto lo Stato restituisce sul territorio regionale. Il RESIDUO FISCALE della Lombardia ammonta a 54 miliardi di euro l’anno”. “A seguito dell’esito positivo del referendum la Regione si propone di trattenere almeno la metà del RESIDUO FISCALE (vale a dire 27 miliardi) per finanziare le nuove competenze oggetto di trattativa con il Governo”.
Trattenere i tributi riscossi nel territorio regionale non si può fare, è costituzionalmente illegittimo. L’ha ribadito la Consulta nel 2015: non si possono determinare “alterazioni stabili e profonde degli equilibri della finanza pubblica” che incidono sui “legami di solidarietà tra la popolazione regionale e il resto della Repubblica”. Ma c’è di più. La stessa fonte da cui è tratta la quantificazione del residuo fiscale -54 miliardi di euro-, e cioè Banca d’Italia, ha già avuto modo di smontare la forzatura della Regione Lombardia. “I residui fiscali da noi calcolati -scrivevano già nel 2009 i ricercatori di via Nazionale- non possono essere utilizzati per valutare il contributo dell’azione pubblica all’economia del territorio, perché una parte della spesa non tiene conto della localizzazione dei fattori produttivi e soprattutto perché la metodologia non tiene conto degli effetti secondari delle entrate e delle spese pubbliche in termini di creazione di reddito”.
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