Diritti
Spese militari: la gente non le vuole ma non spariscono mai
Mentre – secondo un recente sondaggio – il 27% degli italiani vorrebbe una riduzione delle spese militari il SIPRI conferma con i suoi ultimi dati la tendenza in atto da tempo: le spese militari mondiali non diminuiscono e gli invstimenti del settore provengono sempre di più dall’Asia.
Il dato è abbastanza netto e chiaro, oltre che per certi versi stupefacente. Ma ovviamente non viene sottolineato nemmeno nel testo di commento che accompagna i risultati del sondaggio commissionato dal "Sole 24 Ore": per circa il 27% di Italiani il settore su cui si dovrebbe maggiormente intervenire per migliorare i conti pubblici è quello delle spese militari. La seconda scelta sulle sette proposte, solo pochi punti percentuali dietro al taglio di generiche "spese per il mantenimento dello Stato". Probabilmente si è arrivati a questa posizione nell’opinione pubblica complici soprattutto la crisi economica e alcuni scandali ed evidenti sprechi sugli acquisti militari ben sottolineati da campagne come quella sui caccia F-35.
Resta comunque molto interessante (e davvero inaspettato a confronto con il passato) sottolineare come la consapevolezza che gli investimenti nella difesa di natura prettamente militare e – indirettamente – nell’industria bellica siano davvero inefficaci per le necessità vere di una popolazione. Eppure la crisi economica non è riuscita per ora ad invertire la corsa delle spese militari mondiali. Secondo i dati rilasciati pochi giorni fa dall’istituto svedese Sipri la spesa militare mondiale nel 2011 è stimata complessivamente in 1.738 miliardi di dollari. Una cifra che supera di 100 miliardi quella del 2010, in gran parte a seguito di inflazione sui prezzi per il calo del dollaro. Se misurato in termini reali (prezzi costanti al 2010), il totale dell’ultimo anno è solo dello 0,3 per cento in più: date le incertezze nei dati insite in questo tipo di stime ciò significa che la spesa militare mondiale è risultata sostanzialmente invariata nel 2011, terminando un periodo di 13 anni di continui aumenti anche a due cifre. Nel dettaglio ci troviamo di fronte ad una diminuzione delle spese militari statunitensi del 1,2% in termini reali: il primo calo negli Stati Uniti dal 1998. Per aree regionali, gli aumenti si riscontrano in maniera moderata in Asia ed Oceania (+2,3%), in maniera sostanziale in Medio Oriente (+4,6%) e con robusta impennata (che fa continuare un trend degli anni scorsi) in Africa che con l’8,6% dimostra di voler purtroppo recuperare la sua posizione di fanalino di coda in un ambito però non certamente positivo. Di contro sono in diminuzione le spese dei paesi dell’America Latina (-3,3%) e soprattutto nell’Europa Occidentale, dove si esplicita l’impatto delle misure di austerità nella spesa pubblica, con un calo dell’1,9% contrastato dal grande balzo dell’Europa Orientale (+10,2%).
Cosa si può evincere da queste variazioni per macro-area? Forse è troppo presto per dire se la franata nella spesa militare prefiguri ad un cambio di tendenza di lungo periodo. Da un lato è probabile che gli Stati Uniti abbiano davvero iniziato a stringere i cordoni della borsa, soprattutto per il ritiro di truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, mentre l’Europa ha chiaramente iniziato un percorso di riduzione che dovrebbe durare almeno altri 3 anni. D’altra parte, la spesa in Asia, Africa e Medio Oriente continua ad aumentare senza dimenticare che un eventuale conflitto mediorientale su larga scala (il caso Iran) potrebbe cambiare drammaticamente lo scenario sia per i paesi nella regione che per gli Stati Uniti. Detto questo, ormai dovrebbero essere alle spalle i rapidi aumenti di spesa militare (anche a due cifre) sperimentati nell’ultimo decennio, in cui la crescita complessiva aveva superato il 50% in dieci anni.
Il caso Europeo e la crescita dell’Asia
L’analisi del Sipri prosegue poi anche con un focus sul nostro continente, cosa che ci riguarda da vicino. Nell’ultimo anno e mezzo gli Stati hanno avuto come priorità la riduzione del disavanzo e i tagli della spesa militare (specialmente nelle nazioni con un modello di difesa avanzato) sono stati in genere parte di tali misure. Ma i modelli di intervento e l’entità complessiva di questi tagli sono stati molti differenti da Governo a Governo. Nella maggior parte dell’Europa occidentale la spesa militare non ha cominciato a diminuire fino al 2010, nonostante la crisi fosse iniziata almeno da un paio di anni. Diversa esperienza per gli stati centro-orientali che hanno impostato tagli già nel 2009, a causa di economie più deboli in genere non in grado di sostenere alti deficit di bilancio.
Lo scenario in crescita robusta è invece quello di Asia e Oceania, in cui gli investimenti militari hanno continuato ad aumentare nel 2011. Tuttavia, l’aumento termini reali del 2,3 per cento era, come nel 2010, più lenta che nella maggior parte negli ultimi anni. Tra il 2000 e il 2009, il totale regionale è aumentato con una media annua del 6,3 per cento in termini reali: l’aumento della spesa da parte della Cina, 6,7 per cento in termini reali, ovvero poco più di 8 miliardi di dollari a prezzi costanti 2010, più che compensato l’aumento totale regionale. Nel resto dell’Asia e dell’Oceania il totale delle spese militari ha registrato un leggero calo dello 0,4 per cento, anche se questo riflette un modello misto di aumenti e diminuzioni.
La Cina ha aumentato la spesa per il suo esercito del 170 per cento in termini reali dal 2002, e di oltre il 500 per cento dal 1995. Secondo le recenti stime del SIPRI la Cina ormai si colloca al secondo posto al mondo, con un investimento militare di 923 miliardi di yuan (143 miliardi di dollari) corrispondenti in maniera ormai stabile al 2% del prodotto interno lordo del paese. In pratica gli aumenti della spesa militare sono rimasti in linea con la crescita economica del gigante asiatico.
I dati appena esposti confermano i trend che ci si attendeva, sia per quanto riguarda la frenata della spesa derivante dai problemi di bilancio di molti Governi (in particolari di quello che storicamente stanno ai vertici delle classifiche di impieghi militari) sia per quanto riguarda la nuova distribuzione geografica delle spese di natura bellica. Anche in questo ambito (e lo avevamo già scritto tempo fa) a parte la predominanza USA sono i nuovi paesi BRICs ad aver intrapreso la strada verso un nuovo protagonismo.
Quello che non cambia è però la provenienza di produzione dei sistemi d’armamento, che vengono costruiti e venduti sempre di più negli USA e in Europa. Nella lista delle prime aziende mondiali del settore bisogna arrivare alla posizione 25 per trovare una ditta fuori da questi confini. E se l’Italia, come Paese, esce dalla lista dei primi 10 spenditori militari Finmeccanica si conferma tra le prime dieci aziende produttrici di armi al mondo in base allo studio Sipri Top 100: la vendita di armi nel mondo delle prime cento aziende si attesta sui 411 miliardi. La holding italiana si trova in ottava posizione con 14,4 miliardi di dollari rispetto ai 13,3 del 2009. Più in generale, la vendita di armi delle cento più grandi aziende del settore al mondo ha fatto registrare un incremento dell’1% nel 2010: un dato di crescita più basso rispetto al 2009, quando la vendita era aumentata del 7% toccando quota 406 miliardi di dollari ma che conferma una crescita che, dal 2002 la crescita è stata del 60% in termini reali.
D’altronde il 2011 potrà essere anche meglio, visto che si è trattato di un anno di guerra. MBDA (la compartecipata europea dei missili, nel capitale c’è pure Finmeccanica) ha infatti affermato che gli ordini sono in piena espansione (e già nel 2011 le vendite hanno superato i 3 miliardi) soprattutto perché le varie aviazioni europee (RAF in testa) hanno iniziato a chiedere nuovi missili in seguito all’esaurimento delle scorte avvenuto dopo gli attacchi "di precisione" sui cieli libici. Non per nulla: "il 2011 è stato un anno eccellente per MBDA a livello operativo, sia per i programmi di produzione e per quelli in fase di sviluppo", ha detto il direttore generale, Antoine Bouvier, perché "abbiamo ricevuto un feedback molto positivo da parte le campagne militari in Afghanistan, Libia e Costa d’Avorio sulla MBDA attrezzature e il supporto fornito per le forze armate". Anche per il futuro gli affari armati andranno a gonfie vele.