Ambiente / Opinioni
Sindaci, governatori e ministri lasciano più cemento sulle spalle delle prossime generazioni
I consumi di suolo sono cresciuti del 22% durante la pandemia. Un dato che certifica l’incapacità delle classi politiche e tecniche di arginare una situazione che nuoce gravemente all’ambiente e alla salute del Paese. A quando un’agenda che ci aiuti a uscire davvero dalla “recessione mangia suolo”? L’analisi di Paolo Pileri
Come volevasi dimostrare, ora abbiamo tanto di numeri a dirci che durante la pandemia da Covid-19 (periodo 2020-2021) le betoniere non sono state ferme ma hanno girato all’impazzata, consumando suolo senza sosta. Se negli ultimi cinque anni eravamo “fermi” a circa 14,2 ettari al giorno ora siamo schizzati a 17,3: più 22% in un solo anno. La risorsa meno rinnovabile e meno resiliente dalla quale tutto e tutti dipendiamo è stata asfaltata con allegria mentre noi eravamo chiusi in casa. Addio alle promesse di sostenibilità, addio slogan politici che fingono di preoccuparsi dell’ambiente, addio Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: tutto torna a dieci anni fa, tutto da rifare e all’orizzonte non ci sono bagliori, né di sensibilità né di saggezza. Sui siti web e nei social a campeggiare non è l’agenda ecologica (e men che meno quella urbanistica) ma l’agenda Draghi che abbiamo più e più volte indicato come un problema e non una soluzione alla questione ecologica: eppure piace a molti e se la stanno contendendo.
A quando un’agenda che per aiutare il Paese a uscire dalla recessione-mangia-suolo si impegni a mettere in atto vere riforme ecologiche? L’aumento del consumo di suolo del 22% in un solo anno dimostra anche ai più sordi quanto fallimentari siano le leggi regionali che da anni affermano di averne limitato i consumi ma che invece non hanno sortito alcun risultato degno di nota. Semmai hanno contribuito a ottenere il risultato opposto. E infatti la Lombardia è ancora la Regione capolista con più 883 ettari di suoli cementificati (ed è quella che più di altre sventola la sua legge urbanistica del 2014, con i suoi piani regionali che dice essere virtuosi), seguita dall’immancabile Veneto dove ormai si soffoca tanto è il cemento (più 684 ettari), poi è il turno dell’Emilia-Romagna, la Regione che si dice progressista ma poi ha in tasca una legge urbanistica che non ha fermato nessuna cementificazione (più 658 ettari); poi Piemonte (più 630) e Puglia (più 499) che dal modello lombardo ha copiato il peggior primato.
Come si vede destra e sinistra sono tutte rappresentate in questa folle corsa a cemento e asfalto. E potremmo andare avanti a raccontare dei consumi di suolo nei parchi, nelle aree a rischio frana, in quelle a rischio inondazione, nella riduzione della biodiversità, ricordando una litania che recitiamo da anni non si sa bene a chi, dal momento che nessuno dall’altra parte risponde. Forse la questione non è considerata di interesse o l’interesse “va verificato” come è sfuggito in qualche chat tra urbanisti e amministratori nelle scorse settimane. Forse non si è ancora capita la gravità ed è anche per questo che lodo il lavoro rigoroso di Ispra-Snpa (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) che tenacemente continua a pubblicare dati, indicatori, fatti e immagini. Non opinioni e “interessi da verificare”.
In un solo anno sulle spalle di ogni italiano sono piombati 3,46 metri quadrati di cemento in più che si aggiungono ai 359 dell’2020. E siccome 10mila metri quadrati non cementificati offrono benefici collettivi per circa 80mila euro all’anno, questo ci aiuta a dire che consumare suolo significa alimentare il debito pubblico o, se preferite, le tasse. Grazie al consumo di suolo del 2021 infatti ogni italiano dovrebbe sborsare altri 28 euro (da aggiungere ai 2.872 euro che versa ogni anno) che nessuno di noi effettivamente paga, ma non per questo non generano danni che poi ricadono sulle spalle (e sui conti) di altri.
Una spada di Damocle sulle nostre teste che la politica continua a ignorare quando invece dovrebbe correre ai ripari alla massima velocità e spiegare a cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche quanto sia urgente passare a usi e costumi nettamente più sostenibili nell’uso del suolo. E invece a dare una spinta sostanziosa ai consumi ci ha pensato la logistica che tanto plaudiamo per il lavoro di bassa qualità che ci dà e per i tanti piccoli negozi che fa chiudere: con i suoi capannoni si è mangiata ulteriori 329 ettari di terreno in un solo anno, pari a quanto hanno consumato Toscana e Liguria sommate tra loro.
Se ai consumi netti di suolo (pari a oltre 6.330 ettari) aggiungiamo i 28.558 ettari di territorio bruciato quest’anno (secondo i dati forniti dall’European forest fire information system al 23 luglio 2022) ovvero più 2,2% rispetto al valor medio degli ultimi 15 anni e il fatto che ogni 45 minuti abbiamo una frana con tanto di perdita di suolo, quale è il risultato? Non è difficile capirlo, eppure tra Piano nazionale di ripresa e resilienza, riforme mancate, commissariamenti che indeboliscono le valutazioni ambientali, leggi urbanistiche inadatte, corsa alla produzione di energia solare al posto della sostenibilità dei suoli, agricolture sempre più industriali e impattanti, siccità non per caso ma per nostra cecità, quel che ci attende è un inasprimento di consumi di suolo e di impatti ambientali che, inevitabilmente, confluiranno in varie tipologie di conflitti sociali. E sarà ancora più tardi del troppo tardi di oggi per poter rimediare.
Infine un ultimo dato riguarda il cosiddetto consumo marginale di suolo, ovvero la quota di suolo cementificato per ogni nuovo abitante. Questo indicatore di efficienza è in buona parte peggiorato nel periodo 2016-2021 rispetto al 2012-2016, soprattutto perché è aumentato il numero di Comuni che ha consumato suolo pur perdendo abitanti (più 17%), quindi senza una pur minima credibile ragione per cementificare e costruire. Ora il gruppo dei Comuni inefficienti è 3,3 volte più grande rispetto a quello di quanti hanno consumato suolo ma dove almeno si è registrato un aumento degli abitanti. Tutto ciò mostra anche ai miopi come questa istituzione locale, in quanto unità sovrana di governo del territorio, non riesca a essere protagonista dello stop al consumo di suolo. Sono ancora troppe le rendite e gli incassi, le attese e le ignoranze. Inoltre la frammentazione amministrativa e l’eccesso di deleghe urbanistiche, senza verifiche da parte di nessuno, ha generato una situazione sempre più fuori controllo: ai Comuni occorre ridurre le competenze ambientali; occorre verificare la capacità insediativa su aree più vaste; serve che la pianificazione urbanistica non sia più fatta per singole municipalità e che le previsioni urbanistiche inattuate si possano cancellare senza contraccolpi per sindaci e giunte. Serve capire che cosa è il suolo prima di permettersi di pensare a un suo uso.
Nessuno vuole fermare l’edilizia e l’urbanistica ma solo quelle non sostenibili. Se poi queste rappresentano la maggioranza o se si nascondono dietro leggi ambigue e proposte altamente imperfette sono loro a doversi vergognare di questa situazione, non gli attivisti ambientali che sollevano le questioni ecologiche con tanto di numeri. Questi numeri, che ogni anno Ispra presenta in modo “patriottico”, sono la prova provata dell’incapacità strutturale delle nostre classi politiche e tecniche ad arginare una situazione che nuoce gravemente all’ambiente e alla salute del Paese. L’unica urbanistica e l’unica edilizia possibili, in un’Italia sempre meno credibile per i suoi non tentativi di arginare il consumo di suolo, è quella del recupero di quanto abbiamo già (un dato che nessuno ha e predispone: altra vergogna). Questa indicazione si fa ogni ora più pressante e diviene un filtro discriminatorio attraverso il quale riconosceremo chi è dalla parte del futuro e chi no. Ci vediamo il prossimo anno: stesso rapporto, peggior consumo?
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)o
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