Ambiente / Reportage
Il “mare di nessuno” tra Pisa e Livorno. La biodiversità è a rischio

In Toscana pescatori e attivisti del gruppo “God save the queen” documentano da anni pratiche illegali e danni all’ecosistema, mentre i volontari di Sea Shepherd mappano e rimuovono migliaia di trappole abusive. Le autorità latitano
L’albero di una barca a vela affondata emerge dalle acque del piccolo porto turistico di Marina di Pisa, dove sta partendo la barca di Marco (i nomi sono stati cambiati per garantire l’anonimato alle persone intervistate), pescatore amatoriale da oltre quarant’anni.
Mette in moto la pilotina e si dirige verso il punto dove le acque marroni del fiume Arno incontrano l’azzurro del mare dell’arcipelago Toscano. Proprio lungo queste coste, Marco e altri attivisti ambientali hanno fotografato e registrato video che documentano le attività di pesca illegale realizzate vicino alle spiagge o nelle aree protette che circondano la foce del fiume, che a sinistra confluisce nell’Oasi Wwf Dune di Tirrenia e a destra nel Parco di San Rossore, parte del Santuario dei cetacei.
Per denunciare le illegalità, Marco e un’altra cinquantina tra pescatori e pescatrici amatoriali e amanti del mare hanno deciso di fondare “God save the queen”. Ispirato alla canzone dei Sex Pistols del 1977, il gruppo informale nasce per difendere la spigola (Dicentrarchus labrax), considerata la regina delle acque locali. Da cinque anni documenta le pratiche illegali che danneggiano l’ecosistema per poi mandare segnalazioni alle autorità, senza però ottenere risposta. “Guarda proprio lì a riva, sulle coste del Parco, questo pomeriggio abbiamo fotografato delle reti abbandonate”, dice Marco virando verso destra. Poco prima di lasciare la foce e prendere il largo a mare, una barca passa rapida creando onde al lato della pilotina: “Quando vediamo delle barche sfrecciare a questa velocità è molto probabile che stiano praticando la pesca ‘con scaccia’ -aggiunge-. Prima mettono le reti lungo le sponde e poi fanno scappare i pesci al loro interno con il rumore, tirando petardi o, come in questo caso, accendendo i motori a tutta velocità”. Una pratica pericolosa per gli ecosistemi ma anche per la navigabilità.
Sotto la lente ci sono poi il mancato rispetto del fermo pesca nel periodo di riproduzione e l’uso delle reti, poste a pochi metri dalle rive del Parco di San Rossore e nei fiumi Arno e Serchio. “Nei fiumi vengono posizionate reti da riva a riva, rendendo pericolosa la navigazione -spiega Marco-. Anche a me è capitato più volte di rimanere impigliato. Non dobbiamo dimenticare che per legge l’Arno dovrebbe essere navigabile”. E le reti vengono messe anche allo sbocco del cosiddetto Canale Morto (parte del parco di San Rossore), che sfocia nel mare a Sud della foce del Serchio.

“Stiamo assistendo a un impoverimento esagerato del nostro mare e per questo abbiamo deciso di organizzarci -racconta Federico, uno dei fondatori del gruppo, anche lui pescatore amatoriale-. Vado a pesca da quando avevo sei anni e sento di avere il dovere morale di preservare il mare in cui sono cresciuto. Questo tipo di pesca è dannoso per tutte le persone, compresi gli stessi professionisti, che non capiscono che stanno posticipando una fine annunciata. Presto, infatti, non ci sarà più niente da pescare in questo tratto di mare”.
“Vado a pesca da quando avevo sei anni e sento di avere il dovere morale di preservare il mare in cui sono cresciuto. Questo tipo di pesca è dannoso per tutti” – Federico
Sono tanti anche i pescatori e i sub che forniscono foto e video realizzati nei fondali. Come le reti abbandonate e fotografate in profondità sugli scogli vicino alla spiaggia, tra 15 e 150 metri di distanza dalle coste del Parco di San Rossore. Alcune ritraggono anche varie specie, tra cui un Sarago, impigliato al loro interno.
Le attività di pesca illegale si svolgono in una zona dove si intrecciano diverse mobilitazioni: contro i lavori della Darsena Europa (che prevedono l’estensione del porto di Livorno) e contro la militarizzazione. L’area, infatti, già incastonata tra la base statunitense di Camp Darby e quella degli incursori, è al centro del nuovo progetto di base militare approvato nel 2024 che coinvolgerà 140 ettari di cui 20 del Parco di San Rossore. Altreconomia ha richiesto interviste a tutte le autorità coinvolte nel controllo della pesca in quest’area, ricevendo solo risposte via mail. Tra queste, quelle della Regione Toscana che fa sapere che “sono arrivate alcune segnalazioni nella zona dell’Arno e del Serchio e, pur non essendo le aree interne al parco di San Rossore sotto la diretta competenza regionale, sta attivando un tavolo con i soggetti competenti per cercare di capire l’entità del problema ed eventuali forme di coordinamento per gestirlo”. Tavolo di cui, ad oggi, non si sa niente di più.
Anche all’Ente Parco di San Rossore sono arrivate varie segnalazioni, in particolare sul fiume Morto. A detta di Maurizio Balestri, comandante guardiaparco, queste hanno portato nei mesi scorsi alla denuncia di due bracconieri, con il sequestro dei mezzi utilizzati, del pescato e dell’attrezzatura e una sanzione di 6.400 euro.

Il Parco è stato istituito da una legge regionale nel 1979 ma ha una gestione autonoma. L’area protetta, composta da oltre 23mila ettari, dispone di nove guardiaparco, che da qualche tempo hanno a disposizione un drone con termocamera per essere più incisive. “Stiamo verificando la possibilità di assumere una o due persone in più che aiuterebbero i servizi di vigilanza preventiva”, ha aggiunto Lorenzo Bani, presidente del Parco. Ed è proprio sulle sue acque interne che si concentra l’attenzione degli attivisti.
“La spigola è un pesce particolare, termometro della qualità dell’acqua dei fiumi -spiega Federico-. È un animale che sceglie di vivere sotto costa, dove ci sono gli arenili e la posidonia, per questo è molto vulnerabile alle pratiche illegali o particolarmente impattanti. Siamo frustrati dal constatare che vediamo sempre meno esemplari di spigola. E non solo, stanno scomparendo anche altre specie come i cannolicchi e le vongole”.
“Siamo frustrati dal constatare che vediamo sempre meno esemplari di spigola e stanno scomparendo anche altre specie come le vongole e i cannolicchi” – Federico
A fare le spese delle pratiche illegali non sono esclusivamente le specie bersaglio di pesca, ma anche la megafauna che abita il Santuario dei cetacei, come i delfini e le tartarughe Caretta caretta che vengono a nidificare su queste spiagge.
“Nel periodo estivo ci sono tanti volontari e volontarie che monitorano le schiuse delle uova di tartaruga sulle coste del litorale e del Parco: qui è un cosa frequente vedere reti illegali -racconta Yuri Galletti, biologo referente del progetto Life turtle nest di Legambiente Toscana-. Abbiamo fatto segnalazioni di pescherecci con le reti vicino alla costa e di pratiche illegali tra il fiume Serchio e il Morto, a ridosso della spiaggia. Non riusciamo a quantificare l’impatto del fenomeno, ma si tratta di un’area dove scarseggiano i controlli”.
Secondo l’ultimo report Ecomafia di Legambiente, questa zona sta vivendo un boom di attività illegali. Il territorio livornese, che comprende costa e arcipelago, è settimo nella classifica nazionale delle province italiane per reati contro gli animali, tra cui la pesca, con 242 reati accertati dalle forze di sicurezza nel 2023. “Gli ami e le reti sono una causa importante di morte per le tartarughe -spiega Giuliana Terracciano, veterinaria dell’Istituto zooprofilattico di Lazio e Toscana, e referente di quest’ultima Regione per gli spiaggiamenti-. Nel 2023, le autopsie sulle tartarughe morte hanno certificato che nel 50% dei casi i decessi erano provocati da strumenti correlati alla pesca, ma sono dati sottostimati poiché, nel restante 50% non siamo riusciti a risalire alla causa, perché il cadavere dell’animale aveva passato troppo tempo in acqua prima del recupero”. La Capitaneria di porto interpellata da Altreconomia dichiara che recentemente non sono pervenute segnalazioni di fenomeni abusivi particolarmente impattanti nella zona, però c’è un elemento che si ripete ciclicamente. “Esistono pescatori ‘pseudo-ricreativi’ che assumono, di fatto, le caratteristiche di veri e propri pescatori professionisti -spiegano dalla Capitaneria-. Operano in nero con attrezzi professionali e usando barche da diporto, superano i limiti di cattura consentiti, vendono illegalmente il pescato e commettono, di conseguenza, anche illeciti fiscali e sanitari. In questo caso parliamo del prelievo della tellina (Donax trunculus), spesso bersaglio non solo dei professionisti, ma anche dei numerosi pescatori ricreativi”.
Una questione complessa da regolare meglio, anche a livello normativo. “L’Unione europea si occupa principalmente di evitare il sovrasfruttamento delle risorse ittiche, però la regolazione dei metodi di pesca e i relativi controlli sul territorio da parte degli Stati membri potrebbero essere più efficaci”, dichiara Massimiliano Montini, docente di Diritto dell’Unione europea e Diritto dello sviluppo sostenibile dell’Università di Siena. “Davanti a questa situazione ci sentiamo stanchi e frustrati -conclude Marco, rientrando in porto dopo la perlustrazione-, ma non ce la sentiamo di arrenderci”.
Nel grossetano Sea Shepherd salva i polpi dalle trappole
Nei fondali dei mari toscani ci sono centinaia di trappole illegali per la cattura dei polpi. Da tre anni l’organizzazione internazionale Sea Shepherd mappa le trenta miglia di costa tirrenica, da Punta Ala a Porto Santo Stefano, nel grossetano. Le operazioni Octopus 1 e 2 hanno portato nel 2022 e nel 2023 al sequestro di oltre diecimila strumenti di cattura, in collaborazione e coordinamento con le autorità marittime. Un controllo a tappeto che ha dato alcuni risultati: se nel 2022 erano state individuate 7.762 trappole, quest’anno ne sono state avvistate solo poche centinaia e quasi nessuna nel periodo del fermo pesca biologico. “Si tratta in particolare di linee fantasma che si trovano sui fondali e non sono segnalate con galleggianti -spiega Roberta Pietrasanta, capitana del catamarano Conrad di Sea Shepherd-. Ogni attrezzo di cattura è composto da oltre 250 barattoli di plastica o da pezzi di tubo o grondaia: il polpo scambia la trappola per luogo sicuro e comincia ad abitarlo”. Rimuovere le trappole è tutt’altro che semplice: a volte servono anche quattro ore per rimuovere dal mare una sola linea di trappole. Il materiale recuperato viene poi consegnato alle autorità e sottoposto a un sequestro che può durare anche anni. Centinaia di trappole, ad esempio, si trovano a Piombino, stoccate nel magazzino di un volontario di Sea Shepherd, in attesa del dissequestro. L’organizzazione, infatti, ha da qualche tempo avviato una collaborazione con l’azienda di riciclo iMilani di Vicenza, per poter trasformare e dare nuova vita ai rifiuti lasciati in mare dai pescatori di frodo.
Questo articolo è stato sostenuto da Mediterranean Media Initiative promossa dall’ Internews’ Earth Journalism Network
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