Finanza / Opinioni
Silicon Valley Bank: tra ortodossia monetaria e regole truccate del casinò finanziario
La finanza americana continua a essere il vero baricentro del caos: altera i prezzi reali con i derivati, celebra il dollaro con i conflitti per finanziare il debito interno ed esporta inflazione e shock immobiliari. Un quadro non molto diverso dalle crisi del nuovo millennio. L’analisi di Alessandro Volpi
C’è almeno una spiegazione evidente al crac bancario che è esploso negli ultimi giorni. Si tratta del rialzo dei tassi di interesse praticato dalla Federal Reserve per battere l’inflazione e attrarre compratori di titoli del debito pubblico a stelle e strisce che sta causando difficoltà al complesso e instabile sistema finanziario Usa.
Prima i mancati rimborsi del fondo Blackstone, ora la crisi profonda di diverse banche; dopo Silvergate Bank, è toccato alla Silicon Valley Bank e Signature, mentre i colossi perdono decine di miliardi di dollari di capitalizzazione. La scelta di Jerome Powell di alzare i tassi sta facendo scendere i prezzi dei titoli e l’ipersensibile mondo delle super-speculazioni pilotate dai fondi hedge e dagli indici derivati reagisce vendendo e generando panico nei depositanti.
Ci sono poi tre ulteriori fattori che stanno contribuendo a far crescere ulteriormente la crisi.
Il primo è rappresentato dalla velocità di reazione agli stimoli negativi che presentano le banche “di nuova generazione”, legate al mondo high tech, i cui depositanti, consapevoli della rapidità dei cicli finanziari, non hanno esitato un attimo a ritirare le proprie somme non appena hanno avvertito anche solo flebili segnali di inversione del ciclo, innescato appunto dal rialzo dei tassi. In sostanza, un pubblico più esperto di investitori, in realtà, ha generato un’onda che ha finito per travolgerli.
Il secondo elemento è costituito dall’ormai palmare instabilità delle banche legate al mondo delle criptovalute, i cui prezzi sono continuamente sull’ottovolante e hanno bisogno, per reggere, in maniera paradossale, della liquidità generata da quelle banche centrali che avrebbero voluto rendere sempre meno decisive. Certo, è bene rilevare che questi due settori del credito, riconducibili all’innovazione tecnologica e alla criptovalute hanno un peso significativo nel sistema bancario americano tanto da generare una crisi sistemica che ha già coinvolto 110 istituti di credito dall’inizio dell’anno.
Il terzo elemento è collegato alla natura di banche “miste” che ancora presentano numerose realtà americane: sia Silvergate sia Silicon Valley Bank impiegavano i depositi raccolti, che sono un’operazione a breve termine perché possono essere ritirati in qualsiasi momento, per comprare obbligazioni con scadenze medio lunghe. Una simile combinazione “mista” ha fatto sì che appena una parte significativa dei depositanti ha ritirato le proprie somme è venuto meno il finanziamento delle obbligazioni a medio lungo termine, destinate a subire un immediato crollo e, di conseguenza, a generare difficoltà nei bilanci delle banche stesse.
Forse non siamo al 2008, almeno per le dimensioni complessive del fenomeno, ma la ramificazione dei portafogli e la dispersione delle cartolarizzazioni creditizie minacciano di scatenare una diffusione del contagio tutt’altro che banale. C’è da sperare che questa vicenda serva almeno di lezione alla Banca centrale europea. L’ortodossia monetaria, che chiede tassi alti e rigore di fronte all’inflazione, mal si concilia con le regole truccate del casinò finanziario cresciuto con una smisurata liquidità capace, perennemente, di gonfiare i prezzi. La finanza americana continua a essere il vero baricentro del caos; adultera i prezzi reali con i derivati, celebra il dollaro con i conflitti per finanziare il debito interno ed esporta inflazione e shock immobiliari. In questo, il quadro non è molto diverso dalle crisi del nuovo millennio.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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