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Ambiente / Intervista

L’Antropocene sul letto del Po: la crisi dell’acqua vista con la lente della storia ambientale

Il Po in secca a Castelvetro Piacentino © Matteo Biatta/BuenaVistaPhoto

“Il nostro modello di sviluppo è ad altissima intensità d’acqua: dall’agricoltura all’allevamento, dalla produzione energetica all’industria”. Intervista al professor Giacomo Parrinello di SciencesPo che da anni si occupa dello studio dell’età contemporanea dal punto di vista dei sistemi naturali

L’osservazione dei fiumi può dirci molto sui cambiamenti climatici e sugli effetti che l’azione dell’uomo ha sulla natura. Ne è convinto Giacomo Parrinello, professore di Storia ambientale a SciencesPo, istituto di scienze politiche di Parigi, che da anni si occupa dello studio dell’età contemporanea dal punto di vista dei sistemi naturali e, in particolare, dell’acqua. Nell’ultimo periodo, il suo lavoro l’ha portato a guardare al Po: il maggiore fiume italiano è un esempio significativo di come il nostro territorio sia colpito dall’Antropocene, la nuova era geologica nella quale l’azione dell’uomo è decisiva nel modificare gli equilibri naturali. E mostra come stiamo vivendo una vera e propria crisi dell’acqua.

Professor Parrinello, che cosa si intende per crisi dell’acqua? E perché è fondamentale parlarne?
GP
Quella dell’acqua è una crisi di cui si parla poco, rispetto alla questione energetica. È il risultato di due processi che si sommano. Da un lato c’è la riduzione della disponibilità di acqua dolce, come risultato del cambiamento del clima e dello scioglimento dei ghiacciai sulle Ande, sulle Alpi e sull’Himalaya che sono una riserva permanente da cui si alimentano i grandi fiumi. La disponibilità di acqua dolce è limitata anche dalle alterazioni del ciclo dell’acqua, dovute anche in questo caso al cambiamento climatico: si tratta però di un terreno un po’ più complesso, perché fare previsioni non è semplice. Quello che è sicuro è che ci sarà una profonda trasformazione del regime delle precipitazioni e probabilmente della loro frequenza e intensità, di cui in parte stiamo già vedendo gli effetti. Il secondo aspetto riguarda l’uso dell’acqua dolce: la crisi è tale anche perché ne consumiamo moltissima. Tutto il nostro modello di sviluppo è ad altissima intensità d’acqua, la usiamo in grandi quantità per agricoltura e allevamento, per la produzione energetica, per la salute pubblica, per l’industria.

Si tratta di una crisi che resterà con noi anche dopo un’eventuale decarbonizzazione.
GP
Lo dice l’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico sotto l’egida delle Nazioni Unite, nel Sesto rapporto di valutazione: al di là di quello che si potrà fare a partire da oggi, le emissioni già prodotte hanno innescato dei cambiamenti rispetto ai quale non si può più tornare indietro. La mitigazione è comunque importantissima e passa per la cessazione delle emissioni di CO2, ma quello che si può fare è impedire alla situazione di peggiorare ulteriormente. Nella migliore delle ipotesi, stiamo andando verso l’aumento delle temperature globali di 1,5 gradi centigradi entro fine secolo. E con un grado e mezzo in più il ciclo dell’acqua cambia: i ghiacciai delle montagne non ritornano quelli di inizio secolo, le precipitazioni continuano a cambiare. Dovremo fare i conti con meno acqua dolce rispetto alle generazioni precedenti, è una sfida di adattamento.

Lei studia i cambiamenti climatici attraverso le lenti della storia ambientale e, soprattutto, della storia dell’acqua. Ci spieghi questa prospettiva.
GP
La storia ambientale vuole rileggere la storia degli uomini attraverso il punto di vista della relazione tra la società umana e i sistemi naturali. Io mi concentro sull’età contemporanea, che è particolarmente importante da questo punto di vista perché è l’epoca in cui le trasformazioni dovute all’attività umana diventano particolarmente significative: accelerano e si estendono dal punto di vista geografico. Quella dell’acqua mi sembra una prospettiva interessante per l’ubiquità di questa sostanza, che è allo stesso tempo centrale a tutti gli ecosistemi e fondamentale per le società umane. Per di più, l’acqua è in continuo movimento, a differenza di petrolio e carbone: i sistemi idrici sono di fatto condivisi ed è interessante capire quindi la dimensione politica, come li si governa.

Da molti anni si occupa dell’Antropocene attraverso l’osservazione dei fiumi. In che modo questi presentano il conto dell’azione umana?
GP
La ridotta disponibilità d’acqua è sicuramente un aspetto, ma non è il solo. C’è anche l’inquinamento, che a partire dal XIX secolo ha alterato in maniera profondissima la composizione chimica delle acque dei fiumi, provocando un impatto sulla vita che questi possono -o non possono- sostenere. Un terzo elemento è l’alterazione morfologica, della forma stessa dei fiumi: trasportano terra, sabbia, ghiaia, argilla, e attraverso questa azione sono i principali agenti che costruiscono il paesaggio. Sono i fiumi, ad esempio, a portare la sabbia nelle nostre spiagge. Le attività economiche umane, attraverso una serie di interventi, hanno modificato significativamente questo sistema di erosione e trasporto di materiali. Le conseguenze sono particolarmente evidenti nei delta: a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, in alcuni grandi fiumi del mondo i detriti sono diventati sempre meno, a causa dell’attività umana, e hanno smesso di arrivare al mare. I delta hanno quindi smesso di avanzare, cominciando invece a ritirarsi e abbassarsi, lasciando così spazio al mare.

In particolare, nei suoi lavori lei si concentra sul Po. Perché si tratta di un esempio significativo?
GP
Il Po è uno dei grandi fiumi d’Europa, anche se relativamente corto. Il suo bacino copre gran parte dell’Italia del Nord, della zona che storicamente ha visto emergere l’agricoltura capitalistica, l’industrializzazione e la grande industria energetica, che fino a metà del secolo scorso è stata un’industria idroelettrica. E poi è la regione in cui si concentrano le grandi metropoli industriali, come Milano e Torino, accanto a agricoltura e allevamento intensivi. A partire dal bacino del Po si può quindi percorrere tutta la storia dello sviluppo economico italiano ed europeo, in ogni suo aspetto: agricolo, industriale, urbano.

E poi il Po soffre le conseguenze del cambiamento climatico, a partire dalla siccità.
GP
Come abbiamo visto negli ultimi mesi, è un fiume che manifesta tutti quei problemi di cui si parlava prima. La riduzione della disponibilità idrica è sempre più evidente, negli ultimi vent’anni il Po ha sofferto ripetutamente di siccità e questo ha portato a conflitti per l’uso dell’acqua. A partire dagli anni Sessanta ha avuto anche problemi di inquinamento drammatici, tanto da far decretare la morte biologica di alcuni degli affluenti: penso all’Olona e al Lambro nell’hinterland milanese. Negli ultimi anni c’è stato un parziale miglioramento su quest’ultimo aspetto, ma il fiume resta profondamente alterato.

Quale può essere considerata la data di partenza dell’Antropocene, per il Po?
GP
Penso che per capire la crisi attuale nel bacino del Po si debba risalire almeno all’inizio del XIX secolo. È il momento in cui si inizia a consolidare un programma di intensificazione dell’uso dell’acqua finalizzato alla prosperità, alla crescita, è un programma che caratterizza tutti gli interventi fatti fino alla fine del XX secolo. Vede un’alleanza di fatto tra il capitalismo agricolo-industriale e l’azione dello Stato ed è alla radice dei processi che hanno portato all’Antropocene, a questa discontinuità dovuta all’intervento umano.

Il Po non è certo l’unico fiume a presentare questi problemi. Quali altri fiumi soffrono gli effetti dell’Antropocene, nel mondo?
GP
Il Mississippi, nell’America del Nord, ha tutte le criticità citate prima e forse anche di più. Ha un problema di sedimenti che si ripercuote in maniera drammatica sulle coste della Louisiana, che stanno regredendo quasi a vista d’occhio. È anche un fiume che registra livelli di inquinamento altissimi, al largo del suo delta c’è una delle più grandi zone morte al mondo: un’area dove non è più possibile la vita a causa della presenza troppo elevata di nutrienti portati dal fiume, che provocano la crescita spropositata di alghe e il consumo di tutto l’ossigeno disponibile, con un processo di eutrofizzazione. La situazione dei grandi fiumi cinesi come il fiume Giallo e lo Yangtze, non è molto migliore. Dappertutto, oramai, i fiumi portano tracce dell’azione umana.

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