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Diritti / Attualità

Shein e la settimana lavorativa da 75 ore. La finta sostenibilità è una moda

© Alberto Ortega/ ZUMA Press/Ansa

Il colosso dell’ultra fast fashion tenta di presentarsi ai consumatori come sostenibile e attento ai diritti. Una nuova indagine della Ong Public Eye a Guangzhou, nel Sud della Cina, lo smentisce nettamente. Mentre in Italia continua a operare attraverso una società domiciliata in Irlanda. E non è l’unico paradiso fiscale. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 271 — Giugno 2024

Il colosso Shein è recidivo, come dimostra l’ultima denuncia fatta a metà maggio dalla Ong svizzera Public Eye, che a distanza di due anni e mezzo da una prima missione è tornata a Guangzhou, nel Sud della Cina, per indagare le condizioni di lavoro in diverse fabbriche di fornitori della piattaforma di ultra fast fashion. “La settimana lavorativa di 75 ore è ancora la norma”, hanno raccontato alcune sarte ai ricercatori, sostenendo di operare “a cottimo”, in palese violazione della stessa legge cinese sul lavoro e del codice di condotta aziendale per i fornitori.

La dura realtà spegne il mantra fuffa della sostenibilità, sul quale Shein investe tantissimo al fine di promuovere una reputazione compromessa. Dopo la prima denuncia di Public Eye, il colosso aveva anche commissionato un rapporto di audit sui propri fornitori, incaricando le società Sgs, Intertek e TÜV Rheinland. “Shein si assume chiaramente la responsabilità di garantire che i lavoratori impiegati nelle fabbriche dei suoi fornitori ricevano salari equi per il lavoro svolto”, fu il benevolo verdetto.

Dall’inizio del 2023, però, quella citazione attribuita ai consulenti è sparita dal sito di Shein e TÜV Rheinland ha dichiarato di non aver mai proferito qualcosa di simile. Anche i report di sostenibilità degli ultimi due anni non sono più reperibili online. Scomparsi. Fanno un po’ più di fatica a scomparire i cinque milioni di chilogrammi di prodotti venduti a prezzi stracciati e che ogni giorno la piattaforma muove per via aerea. Date un’occhiata al sito italiano: la spedizione gratuita è proposta al primo ordine a chi fa acquisti a partire da nove euro. Chiunque abbia mai spedito un pacco con corriere o sappia semplicemente far di conto, capisce bene l’insostenibilità del modello commerciale, il valore reale infimo della merce e l’impatto ambientale gigantesco di così tanti e inutili cargo.

Shein dice che lo fa per “rendere la bellezza della moda accessibile a tutti”, quando è semplicemente una follia che conviene solo ai suoi azionisti (forse). L’altra cosa interessante che ha fatto Public Eye, infatti, è stata la certosina ricostruzione dell’opaca galassia societaria di Shein, che va dalla Cina a Singapore, dalle Cayman alle Isole Vergini britanniche, da Hong Kong agli Stati Uniti, dal Belgio alla Polonia, dalla Francia alla “solita” Irlanda.

Una sede italiana non c’è, nonostante gli annunci fatti da Shein, con il supporto di un pezzo di stampa amica, dell’apertura di un presunto “headquarter” a Milano, in via Meravigli. Come a far pensare di voler portare un pezzo societario e quindi fiscale sul territorio nazionale, il terzo mercato europeo per il colosso, che avrebbe anche rilevato da Zalando il magazzino logistico di Stradella (Pavia). In Camera di Commercio a metà maggio non risulta nulla di riconducibile a Shein e in quella via centrale milanese c’è una società che per puro caso si chiama in modo simile, Shine Sim, ma fa tutt’altro (investimenti finanziari).

Chi compra online da Shein ha ancora come proprio unico interlocutore sul “marketplace” una società che si chiama Infinite Styles Services Co. Limited, che ha sede a Dublino, in Irlanda, cioè in un Paese a fiscalità agevolata. Anche i dati personali e le impronte di navigazione che lasciamo (i nostri gusti, i prodotti cliccati o anche i carrelli abbandonati) sono di responsabilità diretta della Infinite Styles Services. Con grave ritardo la Commissione europea si è accorta di qualche anomalia e a fine aprile di quest’anno ha formalmente designato Shein come “piattaforma online di grandi dimensioni” (l’acronimo è Vlop) ai sensi del Digital services act. “Shein è un rivenditore online di moda con una media di oltre 45 milioni di utenti mensili nell’Unione europea -ha detto la Commissione-. E questo numero di utenti è superiore alla soglia prevista per la designazione come Vlop”.

La classificazione impone a Shein di conformarsi a norme più severe entro quattro mesi dalla notifica (cioè entro fine agosto 2024), che includono l’obbligo di adottare misure specifiche per responsabilizzare e proteggere gli utenti online, compresi i minori, e di valutare e mitigare debitamente qualsiasi rischio sistemico derivante dai propri servizi. Meglio tardi che mai.

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