Ambiente / Attualità
Sentenza storica in Olanda: Shell dovrà tagliare le emissioni del 45% entro il 2030
Il tribunale dell’Aia ha accolto il ricorso presentato da oltre 17mila cittadini olandesi contro la multinazionale, tenuta a rispettare l’Accordo di Parigi sul clima. Tricarico (ReCommon): “La sentenza pone un problema strutturale immediato per le aziende, che non possono più continuare a espandere le loro produzioni di gas e petrolio”
Con una storica sentenza, un tribunale olandese ha ordinato alla multinazionale anglo-olandese Shell di ridurre le sue emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2019 entro il 2030. La giudice Larisa Alwin della Corte de L’Aia ha accolto il ricorso presentato dal ramo locale dell’associazione ambientalista “Friends of the Earth” insieme ad altre sei Ong e oltre 17mila cittadini obbligando l’azienda a rispettare quanto previsto dall’Accordo di Parigi. Inoltre la politica di sostenibilità del gigante petrolifero è stata giudicata non abbastanza “concreta” dal tribunale che, per questo motivo, ha imposto alla multinazionale di agire immediatamente per conformarsi alla sentenza.
“Si tratta di una sentenza storica perché crea un precedente importante ordinando a Shell di rivedere il suo piano entro il 2030 -spiega Antonio Tricarico di ReCommon-. Un’azione civile di questo tipo, contro un’azienda privata, non era mai stata intentata in Europa. Fino a oggi si è posta molta attenzione ai governi e si è cercato di agire soprattutto nei loro confronti. Questa sentenza invece parla di un obbligo per un soggetto privato, che viene obbligato a rispettare quanto previsto a Parigi”.
“Questa è una vittoria colossale per il nostro Pianeta, per i nostri figli ed è una tappa verso un futuro vivibile per tutti. Il giudice non ha lasciato spazio a dubbi: Shell sta causando un pericoloso cambiamento climatico e deve fermare il suo comportamento distruttivo ora”, ha commentato Donald Pols, direttore del ramo olandese di “Friends of the Earth”. “Questo risultato è una vittoria per le comunità che vivono nei Paesi del Sud del mondo, che stanno già affrontando le conseguenze devastanti del cambiamento climatico”, ha aggiunto Sara Shaw di “Friends of the Earth International”.
Quelli che si aprono adesso sono, secondo Antonio Tricarico, “scenari molto interessanti” a partire dalla possibilità di proporre nuovamente cause di questo tipo nei confronti di altre multinazionali: “Immagino che molti studieranno bene il pronunciamento del giudice olandese e valuteranno altre azioni simili”.
Shell ha già annunciato ricorso, ma questa sentenza avrà profonde implicazioni per l’industria fossile e le multinazionali più inquinanti del Pianeta. “Il tribunale ci dice che le riduzioni di emissioni inquinanti devono essere fatte adesso. E questo pone un problema strutturale immediato per le aziende, che non possono più continuare a espandere le loro produzioni di gas e petrolio -sottolinea Tricarico-. Si tratta di un segnale forte, che arriva a pochi giorni dalla pubblicazione del nuovo report dell’Agenzia internazionale dell’energia in cui si afferma la necessità di azzerare da subito qualsiasi investimento su petrolio, gas e carbone”.
La sentenza del tribunale dell’Aia -continua Tricarico- segue altri importanti pronunciamenti che in Olanda hanno creato precedenti favorevoli alle associazioni che si battono per la giustizia climatica, tra cui una sentenza del gennaio 2021, con cui la Corte d’appello olandese ha stabilito la responsabilità di Shell anche per i danni ambientali causati dalla sua controllata nigeriana. “L’Olanda non è un ‘giustiziere’ sulle questioni climatiche, ma negli ultimi anni i suoi tribunali hanno emesso alcune importanti sentenze che affondano nella dimensione del rispetto dei diritti umani -commenta Tricarico-. Non siamo di fronte a un caso isolato, ma al consolidamento di una giurisprudenza interessante. Tuttavia è importante sottolineare come quest’ultimo pronunciamento abbia fatto un salto di qualità, andando a colpire la responsabilità diretta di un attore privato”.
Ed è sempre di fine maggio fa la notizia che il governo della Nigeria ha deciso di non autorizzare lo sfruttamento della licenza petrolifera OPL 245 a seguito della decadenza dei diritti e del permanere di processi penali in corso in Italia e in Nigeria per stabilire se l’intera operazione sia stata macchiata da corruzione. La licenza per il blocco, che con la stima di 560 milioni di barili di petrolio è uno dei più grandi non sfruttati in Africa, è scaduta lo scorso 11 maggio, dieci anni dopo che Eni e Shell l’avevano acquistata per 1,3 miliardi di dollari in quello che rimane un affare molto controverso, segnato da un ampio strascico di indagini e processi.
“La conferma è arrivata dalla stessa Eni che ha risposto a una domanda posta da ReCommon in occasione dell’assemblea degli azionisti della multinazionale tenutasi lo scorso 12 maggio -ricorda l’associazione-. OPL 245 è stato registrato come uno degli asset iscritti al bilancio del 2020 della stessa Eni, ma la società riconosce che potrebbe essere necessario rivalutare la sua posizione il prossimo anno. La Shell ha svalutato il 50% dell’asset in suo possesso già nel suo bilancio del 2020″.
In Italia, Eni e Shell e i loro manager sono stati assolti in primo grado dai giudici della VII sezione penale del Tribunale di Milano. Entro metà giugno 2021 saranno rese note le motivazioni della sentenza e si saprà, quindi, se la Procura procederà con una richiesta d’appello.
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