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Se una vita dignitosa vale 350 euro – Ae 58

Numero 58, febbraio 2005Si chiama “reddito di cittadinanza” e finora è l’unico esperimento del genere intrapreso da una Regione. A partire da marzo saranno 18 mila le famiglie coinvolte. Compresi immigrati e senza dimora 350 euro al mese. Una boccata d’ossigeno,…

Tratto da Altreconomia 58 — Febbraio 2005

Numero 58, febbraio 2005

Si chiama “reddito di cittadinanza” e finora è l’unico esperimento del genere intrapreso da una Regione. A partire da marzo saranno 18 mila le famiglie coinvolte. Compresi immigrati e senza dimora
 
350 euro al mese. Una boccata d’ossigeno, un appiglio per non sprofondare nella povertà. Un diritto: il diritto di ogni cittadino ad aspirare a una vita dignitosa. In Campania lo hanno chiamato “reddito di cittadinanza” ed è il primo -e finora unico- esperimento intrapreso da una regione italiana di contrasto alla povertà attraverso un contributo mensile. Esperienze analoghe erano state intraprese in passato a livello nazionale, su iniziativa governativa. A partire dal 1999, alcuni Comuni d’Italia avevano sperimentato il “reddito minimo di inserimento” (decreto legislativo 237/98) esauritosi formalmente nel 2003, con esiti incerti.
Più recentemente, la Finanziaria 2004 ha istituito fondi per sostenere le regioni nell’avvio del “reddito di ultima istanza”, fondi che però sinora non sono stati stanziati.
A partire da marzo e per tre anni, 18 mila famiglie circa residenti in Campania riceveranno ogni mese 350 euro, più una serie di servizi sociali destinati a combattere l’indigenza.

L’istituzione del reddito di cittadinanza campano si deve alla legge regionale n. 2 del febbraio 2004, che così lo intende: “una ‘base’ per una vita dignitosa in situazioni di grave carenza di risorse economiche e rischio di esclusione sociale, determinate da disoccupazione prolungata, precarietà e insufficienza del reddito da lavoro in relazione ai bisogni della famiglia, ridotta capacità di attivazione sul mercato del lavoro per cariche di cura elevate, malattie croniche etc.”.
Tra il 10 novembre e il 10 dicembre circa 146 mila famiglie hanno consegnato ai Comuni di appartenenza le domande per ricevere il “reddito” (che non è sostitutivo di altri interventi sociali). Questi i requisiti necessari: essere cittadini residenti da almeno 5 anni e avere un reddito Isee (“Indicatore di situazione economica equivalente”, tiene cioè conto anche del patrimonio mobiliare e immobiliare) inferiore ai 5 mila euro l’anno. L’erogazione potrà riguardare anche cittadini extracomunitari: basta dimostrare la residenza di almeno cinque anni e avere il permesso di soggiorno, o almeno la richiesta di rinnovo. Non solo: sono ammessi al contributo anche i senza fissa dimora nati o domiciliati in Campania. Le graduatorie con gli “aventi diritto” saranno rese note solo a marzo, ma verranno erogate anche le “mensilità” di dicembre 2004, gennaio e febbraio 2005.

La legge regionale prevede che le famiglie ricevano l’assegno mensile per tre anni, a meno che la loro condizione non migliori. Per il 2004 la Regione ha stanziato 77 milioni di euro; l’erogazione monetaria sarà affidata ai Comuni. Altri fondi saranno stanziati invece per un “pacchetto” di servizi sociali di cui le famiglie godranno in aggiunta, comprendente buoni per l’acquisto di libri di testo per studenti in età dell’obbligo, percorsi di recupero degli obblighi scolastici, misure per l’emersione dal lavoro nero, attività formative, agevolazioni per i trasporti pubblici, sostegno alle spese d’affitto.
“La legge considera il reddito di cittadinanza uno strumento di lotta alla povertà e insieme di inserimento lavorativo e sociale -spiega Adriana Buffardi, assessore regionale alle Politiche sociali-. Mancanza e precarietà del lavoro hanno da noi un impatto negativo sull’autonomia degli individui e insieme sui livelli di vita familiare, costruendo circuiti perversi, ad esempio, tra disoccupazione e povertà della famiglia, dispersione scolastica e quindi nuova disoccupazione e povertà” .

“Si tratta di affermare un diritto sociale fondamentale -prosegue l’assessore- che dovrebbe essere esteso in forme analoghe a tutto il territorio nazionale, nell’ambito delle politiche di coesione sociale promosse dall’Ue. Tuttavia il governo centrale, pur avendo promosso analoghe misure, come il reddito di ultima istanza, non ha cofinanziato la nostra iniziativa -come previsto nella legge finanziaria del 2004-, che avrebbe potuto avere un impatto molto maggiore”. Ma il reddito di cittadinanza è differente anche dal “reddito minimo d’inserimento”: “In quel caso vi era un vincolo sociale, che legava l’erogazione monetaria a ‘meriti’ che le famiglie dovevano raggiungere, come trovare lavoro o frequentare corsi di formazione. Nel nostro caso poi non si fa distinzione tra italiani e stranieri”.

Una posizione più radicale sul tema è espressa da Andrea Fumagalli, docente di Economia politica all’Università degli Studi di Pavia: “Il reddito di cittadinanza campano -afferma- ha in effetti il merito di superare il reddito minimo di inserimento sul problema del ‘merito’ per l’erogazione, e di aprire ai cittadini extracomunitari. Tuttavia ha alcuni limiti. Il primo è quello di guardare ancora una volta alle famiglie, e non agli individui, il che è un problema anche solo se si pensa che il numero dei componenti può variare molto, mentre l’assegno mensile è fisso. La cifra erogata, poi, non solo è al di sotto della soglia di povertà relativa, che l’Istat individua in 494 euro al mese, ma addirittura di quella di povertà assoluta, che è di 380 euro mensili per individuo. Andrebbe anche innalzata la soglia di 5 mila euro, che indica famiglie estremamente indigenti”.
La prospettiva deve essere ribalta: “Il reddito, che sarebbe meglio chiamare ‘di esistenza’, è in realtà la remunerazione di un attività già svolta: perché tutto ciò che facciamo, consumo compreso, produce ricchezza, indipendentemente dall’attività lavorativa. Per questo dovrebbe essere individuale, concesso a tutti i maggiorenni su base residenziale, incondizionato e finanziato dalla fiscalità nazionale. E perlomeno pari a 500 euro al mese”.
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Ma le famiglie sotto la soglia di povertà relativa sono 450 mila
Secondo le stime della Regione, sono oltre 450 mila (su 1 milione e 820 mila) le famiglie campane il cui reddito è al di sotto della soglia di povertà relativa. Il numero di famiglie in condizione di povertà relativa “sicuramente povere” -cioè con consumi inferiori all’80% della linea di povertà- è di quasi 220 mila. Infine, i nuclei familiari al di sotto del livello di povertà assoluta (che equivale a reddito mensile sotto i 544 euro per due persone) sono poco più di 17 mila. La regione Campania è “in media” con il Mezzogiorno d’Italia, dove (dati Istat 2003) la percentuale al di sotto della soglia di povertà relativa era del 22,8%, pari a 1 milione 548 mila di famiglie su un totale di 7 milioni e 263 mila. Al Centro la percentuale scende al 18%, al Nord al 19%. Sempre nel Mezzogiorno la povertà cresce col crescere delle dimensioni della famiglia, e con la presenza di una persona anziana. In Italia le famiglie povere sono 2 milioni e 30 mila, il 65,6% delle quali al Sud, il 10,4% al Centro, il 24% al Nord.
 
Un reddito sociale per i disoccupati.
La campagna “Sbilanciamoci!” ogni anno propone una controfinanziaria in concomitanza con l’uscita della finanziaria governativa (il rapporto, che vedete qui sotto, è su www.sbilanciamoci.org). Tra le misure alternative, Sbilanciamoci ha anche inserito una forma di sostegno al reddito, destinato però a tutti i disoccupati, e non generalizzato.
“In Italia -si legge nel rapporto- sono circa 700 mila le persone che l’Istat definisce ‘disoccupati in senso stretto’ (non occasionali, che cercano lavoro da tempo, non più giovanissimi). È possibile dare a tutti costoro un reddito dignitoso, prossimo alla soglia di povertà relativa, pari a 750 euro mensili per favorirne l’inserimento sociale nel mondo del lavoro, anche attraverso attività di aggiornamento, formazione e riqualificazione”. La spesa che Sbilanciamoci stima per l’operazione si aggira attorno ai 6,5 miliardi di euro per il 2005, più o meno l’ammontare dei tagli fiscali concessi dal governo. Ai ricchi.
 

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