Economia / Opinioni
Se il welfare fiscale favorisce i più abbienti
Il modello può avere risultati positivi ma presenta anche criticità. Le misure hanno effetti regressivi, agevolano attori di mercato for profit e gruppi meno svantaggiati. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)
“Un’esenzione, in questo nostro beato Paese, […] non si rifiuta a nessuno”. La citazione di Ezio Vanoni, ministro delle Finanze dal 1948 al 1956, apre il volume “La mano invisibile dello Stato sociale. Il welfare fiscale in Italia” pubblicato da Il Mulino. Negli Stati contemporanei la tutela contro i rischi sociali (come la malattia e la disoccupazione) è infatti garantita da programmi pubblici di “welfare sociale” che erogano trasferimenti monetari (come le pensioni) e servizi (come gli asili nido), schemi di welfare “occupazionale” offerti dalle imprese, spesso assieme ai sindacati, quali ad esempio previdenza e sanità integrative e, appunto, misure di “welfare fiscale”.
Quest’ultimo comprende un insieme di interventi che mirano a favorire la diffusione delle forme di welfare occupazionali (tramite deduzioni e detrazioni) o prevedono condizioni di fiscalità agevolata per alcune categorie sociali (ad esempio, le famiglie con bambini). Quante sono le risorse investite nel welfare fiscale? E qual è l’impatto (re)distributivo di queste misure? Tra il 2018 e il 2020 l’Italia ha rinunciato a oltre 70 miliardi di euro di entrate annue per assicurare agevolazioni fiscali nel campo del welfare: una cifra che rappresenta ben il 14% delle entrate tributarie e il 15% della spesa per protezione sociale. Nemmeno le politiche di austerità hanno frenato la spesa per il welfare fiscale, che è cresciuta di 30,2 miliardi tra il 2009 e il 2018. A chi giova tale espansione?
Il volume presenta alcune ragioni per ritenere che alcuni strumenti di welfare fiscale possano ben combinare efficienza ed efficacia nell’utilizzo delle risorse pubbliche con l’equità in senso sostantivo: buona parte delle agevolazioni per familiari a carico hanno effetti progressivi a favore delle famiglie a più basso reddito; l’incentivazione di comportamenti individuali volti a proteggersi da rischi sociali, una volta che lo Stato abbia garantito in maniera universalistica alcune tutele sociali; il sostegno all’attività delle organizzazioni senza scopo di lucro.
Ciò detto, il ricorso generalizzato a strumenti di welfare fiscale in (parziale) sostituzione di interventi di welfare pubblico presenta importanti criticità. Nei settori in cui si concentra la spesa in welfare fiscale, le misure hanno effetti fortemente regressivi, in primis le agevolazioni per mutui e ristrutturazioni abitative. Inoltre gli incentivi fiscali alla spesa privata per fondi sanitari e pensionistici integrativi non sembrano essere nemmeno efficienti rispetto all’utilizzo delle risorse pubbliche, favorendo in misura sproporzionata lavoratori e individui meno svantaggiati che in tutta probabilità sono meno esposti al rischio di pensioni inadeguate o di non avere le risorse per accedere alle cure.
Tra il 2018 e il 2020 l’Italia ha rinunciato a 70 miliardi di euro di entrate annue per assicurare agevolazioni fiscali nel campo del welfare
Senza dubbio, il welfare fiscale giova agli attori di mercato for profit -banche, assicurazioni, fondi pensione e fondi sanitari, imprese nel settore delle costruzioni- e talvolta no profit (associazioni, Ong). Questi rappresentano gli “altri destinatari” di tali interventi micro-distributivi, volti a catturare il consenso di “clientele private” e “sociali” particolarmente estese e diversificate, e che rischiano di spostare l’asse del welfare italiano verso una maggiore individualizzazione del rischio, favorevole ai gruppi più abbienti. Il volume suggerisce, dunque, che nel dibattito sulla riforma del sistema fiscale, una simile spinta riformatrice, genuinamente orientata a obiettivi di coesione ed equità sociale, dovrebbe investire la pletora di agevolazioni oggi presenti nel sistema italiano di welfare.
Matteo Jessoula è professore ordinario di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano. Emmanuele Pavolini è professore ordinario di Sociologia economica presso l’Università degli Studi di Macerata
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