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Scarpe, è ora di cambiare
Change your Shoes è una campagna globale promossa da 18 organizzazioni europee ed asiatiche per trasformare l’industria delle calzature. Tre sono i valori non negoziabili alla base della mobilitazione: i lavoratori della filiera hanno diritto a un salario dignitoso; i lavoratori hanno diritto a condizioni di lavoro sicure; i consumatori hanno il diritto a prodotti sicuri e alla trasparenza del processo di produzione di ciò che acquistano
Ogni anno in tutto il mondo vengono prodotte 22 miliardi di paia di scarpe, pari a tre per persona. L’industria calzaturiera -un tempo florida anche nel nostro Paese- negli ultimi vent’anni s’è spostata in larga parte ad Est: l’87% delle calzature mondiali sono infatti realizzate in Asia, e a noi resta il ruolo di consumatori. Il 50 per cento dei cittadini europei, però, ha scarse o nessuna informazione sulla produzione delle scarpe, secondo un sondaggio commissionato a Nielsen dalla campagna Change your Shoes, lanciata oggi in tutto il mondo da 18 organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. L’obiettivo è trasformare l’industria calzaturiera.
Prendendo ad esempio un paio di scarpe sportive, di quelle vendute a 120 euro sui mercati europei, oggi poco più del 2% del prezzo finale va a retribuire i lavoratori che lo hanno fabbricato. I lavoratori non di rado non ricevono neppure il salario minimo legale, che in ogni caso non corrisponde mai a un
livello dignitoso.
La maggior parte del valore aggiunto, invece, se la suddividono il marchio (il brand, del produttore) e il dettagliante. Secondo i dati elaboratori dalla campagna Change your Shoes a partire dal World Footwear Yearbook, il 31% di tutta la ricchezza del settore è concentrata nel commercio intra-europeo, anche se l’Italia -principale Paese produttore in Europa- occupa ormai solo la decima posizione a livello mondiale.
Change your Shoes è una campagna globale, dato che i suoi promotori provengono dall’Europa ma anche dalla Cina, dall’India e dall’Indonesia. Tra le italiane ci sono il Centro nuovo modello di sviluppo e FAIR.
“È sorprendente quanto poco conoscano i consumatori del settore calzaturiero. La campagna Change your Shoes si occuperà di sensibilizzare i cittadini, esercitare pressioni sui marchi e chiedere ai legislatori di affrontare quei nodi chiave che favoriscono il perdurare degli abusi, come la totale mancanza di trasparenza. L’Unione europea, come istituzione leader democratica, deve compiere passi concreti e implementare chiare regolamentazioni che salvaguardino i diritti dei lavoratori” dichiara Deborah Lucchetti, presidente di FAIR e portavoce della Campagna “Abiti puliti”.
Sono tre i valori non negoziabili alla base della campagna: “I lavoratori della filiera delle calzature hanno diritto a un salario dignitoso”; “i lavoratori della filiera delle calzature hanno diritto a condizioni di lavoro sicure”; “i consumatori hanno il diritto a prodotti sicuri e alla trasparenza del processo di produzione delle loro scarpe”.
Un esempio riguarda il cromo utilizzato nella concia delle pelli: dal 1 maggio 2015 l’Unione Europea ha vietato i prodotti in pelle che superano un valore critico di Cromo esavalente. La concia chimica con il Cromo VI è una tecnica utilizzata nell’80-85% della produzione mondiale di pelletteria. In alcuni casi viene usato il Cromo III che però, in determinate circostanze, può trasformarsi in Cromo esavalente, altamente tossico per l’uomo e causa di malattie della pelle e respiratorie.
È un passo importante per proteggere i consumatori, ma non per tutelare le persone che lavorano nelle concerie e nei calzaturifici. Pertanto, la nuova campagna Change Your Shoes propone di migliorare le condizioni sociali ed ecologiche nell’industria delle calzature e del cuoio, segnalando la necessità di una maggiore trasparenza nel modo in cui i consumatori sono informati sui prodotti che acquistano e indossano.
“La cosa preoccupante è che i consumatori europei corrano dei rischi per la loro salute indossando scarpe di pelle. Così come è allarmante che i lavoratori e le lavoratrici delle concerie e dei calzaturifici in India e Bangladesh siano ancora più a rischio lavorando con sostanze chimiche senza alcuna protezione e in costante contatto con il cuoio inquinato -spiega Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti-. Il Cromo VI dovrebbe essere stato vietato da molto tempo. Il nuovo regolamento dell’Unione Europea è un primo passo ma resta da valutare la sua efficacia e i suoi effetti positivi per i lavoratori e le lavoratrici del settore”.
Il diritto a condizioni di lavoro sicure e ad un salario dignitoso sono due delle richieste della campagna Change your Shoes. Tra le altre vi è anche quella di un’attenzione al “cottimo”: il basso costo è ritenuto il fattore chiave responsabile del mantenimento del lavoro minorile a domicilio. I lavoratori da casa producono da soli circa 10/15 paia di scarpe al giorno, a seconda del tipo di scarpa, ma la produzione familiare può aumentare significativamente se vengono fatti lavorare i bambini. In un Paese come l’India, il 60% della produzione di scarpe in cuoio avviene nelle case all’interno delle famiglie su una scala di produzione molto piccola.
Serve, infine, più trasparenza: le informazioni riguardo alle origini e alla composizione delle scarpe sono essenziali per permettere al consumatore di scegliere scarpe che siano prodotte con un metodo migliore e più sostenibile nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, e garantire di proteggere la propria salute, optando per calzature che non contengano cromo e altre sostanze chimiche tossiche. Servirebbe un’etichetta etica, insomma.