Economia / Reportage
São Tomé, l’arcipelago che agita gli equilibri di tre continenti
Tra gli avamposti politici, energetici e commerciali della Cina in Africa, le isole al largo del Gabon e a cavallo dell’Equatore ricoprono un ruolo fondamentale. Mettendo in discussione l’egemonia degli Stati Uniti
“Una volta che la corrente del Golfo di Guinea ti afferra, non c’è più nulla da fare. Come ti ha trascinato qui, così ti rispedisce nell’oceano”. Dopo aver inciso la scritta “Taiwan” su una noce di cocco, Luis Manuel Beirao getta il frutto nello spaventoso gorgo della Boca do Inferno, osservandolo allontanarsi nelle acque dell’Atlantico. È un rito d’addio praticato un tempo dagli schiavi di São Tomé&Principe, minuscolo arcipelago africano a cavallo dell’Equatore, ma ancor oggi torna buono quando occorre voltare pagina senza troppi rimorsi. Alla Cina sono bastati poco più di 12 mesi per indurre l’ex colonia portoghese a tagliare i ponti con la “provincia ribelle”, spingendola a rinnegare 20 anni di collaborazione strategica e a togliere il riconoscimento internazionale a Taipei. Una strategia di persuasione economica molto simile a quella adottata nel 2013 in Gambia e in linea con i progetti di potenziamento marittimo della Nuova Via della Seta nelle isole Andamane, ma dalle ricadute ben maggiori: São Tomé è pronta a sconvolgere gli equilibri geopolitici di ben tre continenti.
La responsabilità di questo ulteriore e inaspettato allargamento degli avamposti commerciali cinesi verso l’Africa, l’Europa e le Americhe ricade sull’attuale presidente degli Stati Uniti. “Dopo lo storico riavvicinamento telefonico fra Donald Trump e il suo collega taiwanese Tsai Ing-wen, avvenuto il 2 dicembre 2016 -ha commentato Jaw-Ling Joanne Chang, ricercatrice all’Istituto degli Studi Europei e Americani- la Cina ha preso seri provvedimenti per punire Taiwan e lanciare un chiaro monito agli Stati Uniti”. Per Luis Manuel Beirao, direttore del tour operator locale Navetur, è l’anno zero. Il suo mercato turistico col Paese asiatico è stato annullato dall’oggi al domani, ma con i cinesi sull’isola i cambiamenti sono continui e rapidissimi. Dal primo gennaio 2018, ad esempio, le banconote da 5mila, 10mila, 20mila e 50mila dobra hanno perso tre zeri in un colpo solo. Nonostante l’annuncio dell’entrata in vigore dei nuovi tagli disegnati da De La Rue, il più grande stampatore al mondo di valuta, fosse stato diffuso lo scorso agosto, la capitale è andata in tilt. Alle casse del modernissimo supermercato Continental, inaugurato nel novembre 2016 dall’imprenditore Chen Xiao Xian, per giorni si sono formate lunghe code, ma piano piano i cittadini si sono resi conto dell’apprezzamento della loro valuta grazie alla liquidità immessa nel Paese proprio dal colosso cinese.
“La riforma monetaria è dovuta al raggiungimento di una condizione di stabilità macroeconomica e alla convergenza nominale delle principali variabili che guidano il funzionamento del mercato nazionale -ha spiegato la vicegovernatrice del Banco Central, nonché consulente dell’African Development Bank, Massari Lima Fernandes-. Nei prossimi anni il nostro Prodotto interno lordo continuerà a crescere del 4 o 5%, puntando a migliorare l’attuale 13esimo posto nell’indice di ‘good governance’ dei 54 Paesi africani”.
Non male per un’economia abituata a vivere di aiuti internazionali, circa 380 milioni di euro ricevuti negli ultimi 30 anni, e considerata una delle più povere al mondo. Risultati tanto eclatanti non si vedevano nell’arcipelago almeno dal 1975, anno in cui la rivolta marxista di Manuel Pinto da Costa liberò São Tomé dal giogo coloniale portoghese. Un dominio ininterrotto e durato quasi cinque secoli. Le statue dei tre scopritori dell’arcipelago, Pedro Escobar, João De Paiva e João De Santarém, hanno però continuato a far bella mostra di sé davanti all’antico forte d’insediamento, a riprova che i legami con Lisbona si sono spinti al di là dell’umiliazione della schiavitù o dello sfruttamento intensivo di zucchero, cacao e caffè. Anzi, dal marzo 2017 l’arcipelago è divenuto membro a pieno titolo del Forum Macao, l’organizzazione che unisce gli 8 Paesi di lingua lusitana (Portogallo, Capo Verde, Guinea Bissau, São Tomé&Principe, Angola, Mozambico, Timor Est, Macao, Brasile) e la Cina nello sviluppo di un’alleanza economica privilegiata: solo lo scorso anno, il giro d’affari fra i partner ha generato più di 100 miliardi di dollari, saldando i legami comuni in nome dell’antica colonia portoghese di Macau, oggi divenuta regione amministrativa speciale nel Mar Cinese Meridionale. “Per noi la Cina rappresenta un’eccellente opportunità per ottenere una nuova fonte di finanziamento liquido -ha riconosciuto Evaristo Carvalho, presidente di São Tomé & Principe- e ci permette di portare avanti progetti strutturali attesi da anni: fra questi, la costruzione di un porto dai fondali profondi per attività cargo di lungo raggio, ma anche il potenziamento del nostro aeroporto internazionale”. La China Road & Bridge Corporation si è messa prontamente a disposizione e i lavori al porto dovrebbero concludersi già nel 2019, per una spesa di circa 652 milioni di euro; sul piatto sono però arrivate una serie di proposte “cash” che hanno sbaragliato gli indecisi investitori occidentali e africani. Per iniziare, un aiuto di ben 146 milioni di dollari destinati alla cooperazione economica, scientifica e culturale, con la promessa d’incrementare progressivamente l’entità dell’investimento, a seconda della disponibilità di São Tomé. Poi una donazione di diecimila tonnellate di riso per garantire politiche di maggior sicurezza sull’approvvigionamento alimentare. Quindi un condono del debito cinese di 28 milioni di dollari, grazie al quale l’arcipelago ha potuto allinearsi anche ai parametri di contenimento del debito pubblico all’1,8% nel 2017, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale. La spesa statale autorizzata per l’anno scorso è così salita del 23,4%, per una cifra di 133 milioni di euro. La Cina ha inoltre rafforzato il suo impegno sanitario inviando due missioni mediche, fra cui specialisti nella cura della malaria. Atto che ha mandato su tutte le furie Taiwan, riuscita a debellare quasi completamente la malattia con investimenti annuali di circa 1 milione di dollari, fra il 1997 e il 2016. Gli Stati Uniti si sono ritrovati a loro volta con le spalle al muro. Lo scorso settembre la compagnia cinese StarTimes Group ha avviato negoziazioni col governo per convertire le infrastrutture radio-televisive dall’analogico al digitale. “In aggiunta ai lavori di digitalizzazione e modernizzazione della rete -ha reso noto il suo presidente Pang Xinxing- l’accordo prevede la costruzione di un edificio per ospitare la radio nazionale e la televisione pubblica di São Tomé, velocizzando così le connessioni internet nell’arcipelago”. Per Voice Of America, sino ad oggi l’unica vera stazione radio attiva sull’isola, il nuovo progetto spezza il monopolio statunitense delle trasmissioni e, di fatto, l’egemonia militare a stelle e strisce nell’area. Come ha riconosciuto Nick Turse, giornalista investigativo americano e ricercatore associato al The Nation Institute per la libertà d’informazione, “nelle località più remote, dietro le mura e al di là degli sguardi dei cittadini, l’esercito americano ha costruito sin dalla presidenza Bush un vasto arcipelago di avamposti africani, trasformando il Continente in un laboratorio per una nuova forma di guerra”. Sono almeno 60 le stazioni “fantasma” installate con la complicità dei governi locali e, dentro la stazione radio di São Tomé, è verosimile sia ospitata una delle più importanti basi di controllo americane per la costa atlantica dell’Africa. Da qui le trasmissioni raggiungono infatti l’intero continente in 6 lingue diverse. Come Voice Of America possa conciliare la propria presenza con i tecnici e i nuovi impianti cinesi, al momento, non è solo un mistero, ma una bomba ad orologeria per i rapporti diplomatici locali.
Il governo di São Tomé non sembra troppo preoccupato e, lo scorso novembre, ha addirittura approvato l’esenzione del visto per i cittadini cinesi, provvedimento prontamente replicato dalla Cina. Ma il colpo decisivo è stato messo a segno dall’ambasciatore cinese Wang Wei, quando ha dichiarato che “São Tomé e Principe potrà contare sull’aiuto della Cina soprattutto nel settore energetico, promuovendo uno sviluppo sostenibile attraverso l’uso di fonti rinnovabili anziché fossili”.
Nonostante l’arcipelago sia stato illuso di sedere su giacimenti petroliferi off-shore immensi, in seguito ad alcune scoperte effettuate da Chevron ed ExxonMobil agli inizi degli anni 2000, l’estrazione dai pozzi individuati si è sempre rivelata troppo modesta, rischiosa e soprattutto vacua. Contratti capestro, inoltre, hanno spedito i principali ricavi nelle casse delle compagnie petrolifere nigeriane, sin dal 2001 in diritto di trattenere il 60% degli eventuali ricavi, o americane: solo nell’ultimo anno la Kosmos Energy ha speso 36 milioni di dollari in ricerche sismiche, ragion per cui punta ora a rientrare degli enormi capitali investiti infruttuosamente per un decennio iniziando a trivellare tre pozzi nel 2019. Che i lavori prendano avvio o meno, São Tomé vedrà in ogni caso affluire nelle proprie casse ben pochi fondi: ben diverso, invece, il ritorno dallo sviluppo d’impianti sostenibili di energia elettrica, di cui la Cina è oggi il primo Paese al mondo per produzione da fonti rinnovabili, con più di 378 GigaWatt. La proposta di uno sviluppo green è stata accolta con grande entusiasmo dalla maggior parte dei cittadini: “Siamo un piccolo arcipelago di appena 180mila abitanti -osserva Isaura Carvalho, proprietaria della tenuta di São João Dos Angolares- e non possiamo permetterci di consumare in modo irreversibile le risorse del nostro territorio, la cui biodiversità è addirittura superiore a quella delle Galapagos. Grazie all’iniziativa di alcune famiglie, da anni siamo impegnati a recuperare le antiche tenute costruite dai portoghesi, le roças, trasformandole in strutture d’ospitalità e basi d’appoggio per progetti di agricoltura sostenibile, con centri culturali o scuole materne al loro interno. Un’iniziativa che nel 2018 permetterà a São Tomé&Principe di candidarsi come patrimonio agricolo mondiale della FAO. La corsa al petrolio ha solo accresciuto la corruzione nel Paese. Per la prima volta abbiamo l’occasione di affrancarci dalla dipendenza dagli altri Paesi e di questo dobbiamo ringraziare la Cina, che ha saputo instaurare rapporti alla pari. Discendenti di schiavi, certo. Periferia dell’ultimo degli imperi. Ma nonostante tutto, São Tomé: l’isola del giro di boa”.
© riproduzione riservata