Cultura e scienza / Opinioni
Il sacco di Roma dura dall’Ottocento
Il più bel giardino del mondo venne sacrificato -nell’Ottocento- per edificare un nuovo quartiere. Un ritratto fedele dell’Italia del 2016. Ma non è tardi per salvarci
“È proprio dei nostri nuovi tempi che quando ci sia realmente da guadagnare milioni, in un batter d’occhio le condizioni mutino, e si passi ogni misura: senza che -e anche questo è un segno del tempo- nessuno ci veda niente di straordinario, o che apparisca anche possibile il porvi riparo. Da poco tempo solamente è venuta la furia, la smania di fabbricare a rotta di collo. Alcune società di capitalisti hanno acquistato in blocco i terreni e intrapreso a coprirli di case. Case smisuratamente alte, fatte in modo da trarre eccessivo profitto dal suolo, addossate le une alle altre, spesso già piene di inquilini ai piani più alti mentre gli inferiori non sono ancora finiti. La più parte senza nessuna architettura”.
Ecco un volto che purtroppo ci somiglia: un ritratto fedele dell’Italia del 2016. Il sacco del territorio in nome del mercato e del profitto, la rassegnazione, l’edilizia mostruosa che inghiotte le vite di milioni di cittadini. Ma quelle parole sono state scritte centotrent’anni fa, da Hermann Grimm: storico dell’arte innamorato dell’Italia, figlio di uno dei due grandi filologi tedeschi che tutti conosciamo come favolisti, i fratelli Grimm. Sono tratte da uno straordinario pamphlet (“La distruzione di Roma”, Firenze 1886) in cui Grimm denuncia il sacco edilizio perpetrato all’indomani di Roma capitale, un disastro il cui simbolo fu la distruzione dell’immenso parco di Villa Ludovisi, che diventò il quartiere Ludovisi, attraversato da via Veneto. Continuava Grimm: “Potrei qui forse concludere che questa distruzione della villa Ludovisi debba essere riguardata come un esempio di ciò che incontrastabilmente è vandalico. Ma non vorrei alfine essere ingiusto verso i Vandali, i quali con una certa ingenuità rovinavano in fin dei conti le sole proprietà degli stranieri. Essi non le distruggevano per guadagnare denaro, né imperversavano in questo modo contro se stessi”.
E i Vandali, potremmo aggiungere, non violavano le loro stesse leggi: “Sul piano regolatore del 1882, legalmente sanzionato, era stato tenuto conto di questo, che dentro la città, rifabbricando su terreni incolti, dovessero esser lasciati intatti quei luoghi che sarebbero, come dicono gli inglesi, i polmoni della città, i serbatoi d’aria pura, e, nei caldi mesi estivi, rifugi per respirare, per godere dell’ombra del fresco. E così vediamo che vi sono risparmiati un certo numero di giardini, che si doveva rinunziare a coprire di casa. Fra questi i giardini Ludovisi.
La villa Ludovisi giace -oggi purtroppo bisogna dire giaceva- al limite orientale della città, a Porta Salaria. Toccava le mura di Aureliano che ne formavano il confine a levante. Bellissimi viali ombrosi di querce e allori, qua e là frammezzati da alti e larghi pini, tranquillità e aria balsamica, [ne] facevano uno di quei luoghi di Roma che erano nominati i primi quando si discorreva degli incanti dell’eterna città. Sì, io credo che se guardando tutta la terra si fosse domandato qual era il più bel giardino del mondo, coloro che conoscevano Roma avrebbero risposto senza esitare: la villa Ludovisi”.
Il più bel Paese del mondo, la più barbarica speculazione edilizia del mondo: decidere a quale di questi due volti vogliamo somigliare di più significa decidere che futuro avremo. Non è tardi per scegliere di salvare noi stessi.
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