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ROMA, GENOVA E UN’AUTOCRITICA…

ROMA, GENOVA E UN’AUTOCRITICA Ci risiamo. Come a Firenze nel 2002, come a Genova ogni volta che si organizza una manifestazione, come in non sappiamo più quante occasioni, ecco che alla vigilia di eventi di piazza importanti, si evoca lo spettro…

ROMA, GENOVA E UN’AUTOCRITICA

Ci risiamo. Come a Firenze nel 2002, come a Genova ogni volta che si organizza una manifestazione, come in non sappiamo più quante occasioni, ecco che alla vigilia di eventi di piazza importanti, si evoca lo spettro del G8 genovese. Stavolta tocca a Roma e alle giornate del 2 e 4 giugno, con le iniziative di contestazione al presidente Bush e alla parata militare con la quale si intende festeggiare l’avvento della repubblica, sessant’anni fa. Lo schema è il solito: politici della destra che ammoniscono ‘non fate come a Genova’; ministri che si accodano e, incuranti del rilievo istituzionale delle loro affermazioni, paventano minacce gravissime, violenze di piazza, atti terroristici. Nel teatrino del pre-manifestazione non mancano – nemmeno questa volta – la sparata del disobbediente di turno (stavolta è toccato a Casarini, che peraltro si è ‘limitato’ a un accenno alla poca rilevanza politica di alcune vetrine eventualmente rotte); l’invito alla prudenza di esponenti centro-sinistra; l’invito a non fare manifestazioni del solito Mastella; la dissociazione di alcuni gruppi vicini al ‘movimento’.

  Che dire? Intanto, che l’ammonimento a ‘non fare come a Genova’ andrebbe subito rispedito al mittente, perché le ‘giornate di Genova’ sono conosciute nel mondo per le violenze compiute dalle forze dell’ordine, per la sospensione – avvenuta in quei giorni – dello stato di diritto. Possibile che a tre anni di distanza dai fatti non si trovi un ‘uomo pubblico’ – un politico, un intellettuale, un commentatore – che abbia il coraggio di citare Amnesty International o di ricordare quel che sta avvenendo alla procura di Genova (decine di funzionari e dirigenti di polizia indagati e vicini al processo)?

Purtroppo, ancora una volta, tocca a noi, e praticamente solo a noi – intendo noi che eravamo a Genova, noi che da tre anni ci battiamo perché non si dimentichi e non si ignori ciò che avvenne in quei giorni, quindi piccoli, piccolissimi spezzoni del movimento di allora – ricordare queste cose e tentare di farle pervenire fino ai media e all’opinione pubblica. Ma la nostra voce è flebile. Certo, continueremo a gridare, lo faremo anche questa volta. Ma dobbiamo anche avere l’onestà di ammettere che la solitudine che ci circonda, il silenzio di chi ha maggiori strumenti per comunicare e farsi ascoltare, sono la misura degli scarsi risultati raggiunti in questi tre anni. Non abbiamo (ancora) saputo far capire all’opinione pubblica democratica, al ceto politico del centro-sinistra, a buona parte della società civile e dei ceti intellettuali  il pericolo che i fatti di Genova, e il non aver saputo sanare la ferita infertta allora ai diritti di tutti, rappresentano per la democrazia. 

 

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