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Pre-fascismo: istruzioni per uscirne

La propaganda parafascista, razzista, persecutoria, allergica all’etica, alla democrazia e al bene comune si diffonde. E i soggetti impegnati per un’altra economia che fanno? Restano fuori gioco. Bisogna assumere un atteggiamento nuovo, facendo tre cose: riunirsi, progettare, attuare

Tratto da Altreconomia 209 — Novembre 2018

L’economia è politica. Dunque promuovere un’altra economia significa costruire un’altra politica. Questo concetto va compreso soprattutto oggi, mentre l’onda del risentimento e della paura, alimentata ad arte, si sta consolidando in una mentalità collettiva che rende normale, giorno dopo giorno, il pre-fascismo come stile di vita alla base della società e come stile di governo al vertice. Il pre-fascismo è un clima fatto di nazionalismo, razzismo, odio verso le persone marginali, incoscienza morale e civile, identificazione con un capo, allergia verso democrazia, partiti, sindacati, Parlamento, Europa, Onu.

I sintomi del contagio sono molti. Ovunque si maledice “la sinistra” (identificata con Renzi o con D’Alema) come causa di tutti i mali, mentre da tempo abbiamo solo o un partito neoliberista in economia e confuso su tutto il resto, il Partito democratico, e micropartiti irrilevanti, che stanno fuori dalla realtà. Nessuno dice niente dei disastri della destra in tutte le sue varianti (neofascista, razzista, aziendalista, movimentista, digital-populista). Ci si entusiasma per la flat tax (che abbassa le tasse ai ricchi) e perché l’evasione fiscale non viene scalfita. Si approva una politica che organizza respingimenti e vessazioni contro i migranti. Si pretende il diritto di armarsi e di sparare ai ladri. Si trova normale che nelle mense scolastiche i bambini di famiglie extracomunitarie siano discriminati. Nei locali pubblici molti rifiutano di farsi servire da dipendenti con la pelle scura. Si organizzano aggressioni ai “negri” e se si viene scoperti si dice che è stata una goliardata. Un programma di Alberto Angela sulla deportazione degli ebrei è stato considerato inopportuno rispetto al vento che tira oggi in Italia. Il fondo è stato toccato con la vicenda del Comune di Riace: la comunità che grazie al sindaco Mimmo Lucano aveva realizzato un esempio di democrazia accogliente, interetnica ed efficace, avendo la colpa di confutare con il suo successo tutta la propaganda della Lega a cinque stelle, è stata smantellata con l’intento di cancellarla. La destra al potere ha paura persino della fiction che racconta questa esperienza e fa in modo che gli italiani non la vedano. Per condannare il sindaco di Riace, Salvini ha detto che “l’uso irregolare di fondi pubblici è intollerabile”, scordando di essere il leader di un partito che deve ancora restituire 49 milioni di euro rubati da alcuni suoi dirigenti precedenti.

La propaganda parafascista, razzista, persecutoria, allergica all’etica, alla democrazia e al bene comune si diffonde. Il governo dà corso alle peggiori politiche causando danni sempre più gravi alla convivenza civile. E i soggetti impegnati per un’altra economia che fanno? Restano fuori gioco, spiazzati: chi perché non ha più riferimenti politici; chi perché non vuole fare politica e si contenta delle proprie attività “alternative”; chi perché si era fidato, o incredibilmente ancora si fida, di quel Movimento cinque stelle che è il vero responsabile dell’egemonia esercitata da Salvini; chi perché mitizza l’ “autogoverno dei territori” credendo di poter prescindere dalla politica nazionale e internazionale; chi perché è impegnato a litigare con qualche organizzazione di altreconomia diversa dalla propria.

Ma adesso basta. Bisogna assumere un atteggiamento nuovo, facendo tre cose: riunirsi, progettare, attuare.

Occorre riunirsi per uscire dalla frammentazione e costituirsi come soggetto di democrazia civile, organizzata, agita da cittadini critici e determinati. Si deve progettare una strategia di convergenza organica tra le azioni di economia solidale e le azioni politiche che contrastano il parafascismo. Per esempio lavorando per moltiplicare l’esperienza di Riace ovunque in Italia, traducendola in forme adatte alle diverse situazioni locali e regionali. Quindi bisogna attuare tale strategia coltivandola passo dopo passo e stringendo tutte le alleanze adeguate a farla radicare nella coscienza della società italiana.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Nel 2016 ha pubblicato “La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società” (Pazzini editore)

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