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Richard-Ginori, il futuro incerto della “fabbrica della bellezza”

Il 18 maggio sarà inaugurata a Firenze una mostra dedicata alla produzione artistica della celebre manifattura di Sesto Fiorentino. Il fallimento del 2014 e le vicende processuali, però, hanno messo a rischio il patrimonio delle creazioni più preziose conservate nel Museo del Doccia

Lo stabilimento Richard Ginori di Sesto Fiorentino

Una mostra per ricordare che le sorti della più antica fabbrica italiana di porcellane e il suo museo sono ancora un interrogativo. “La fabbrica della bellezza. La manifattura Ginori e il suo popolo di statue” allestita al Museo Nazionale del Bargello, dal 18 maggio al 1 ottobre 2017, è curata da Dimitri Zikos e Tomaso Montanari, ed è dedicata alla produzione artistica della Manifattura Richard-Ginori di Sesto Fiorentino. Alla base della mostra c’è il duplice intento di mettere in relazione le sculture con i modelli che le hanno ispirate per un dialogo storico, e allo stesso tempo far dialogare il centro storico di Firenze, rappresentato dal Bargello, con i centri periferici, come Sesto Fiorentino. “Vogliamo mostrare che tra il museo del Doccia e il Bargello c’è un filo diretto e un rapporto alla pari. Speriamo che i fiorentini escano dalla mostra consapevoli che anche a Sesto, fuori dal centro, c’è un pezzo pregiatissimo di Firenze” spiega Montanari. La mostra, diventa anche un mezzo per suscitare l’attenzione dei cittadini e dell’opinione pubblica internazionale rispetto alla marginalizzazione vissuta dalle realtà provinciali; acquista così una “valenza politica, nella sua accezione più ampia di interesse per la città e per chi la vive”. Per questo hanno scelto la produzione scultoria degli anni 40 e 50 del Settecento, contraddistinta dalla monumentalità delle forme, che ha un legame con la tradizione fiorentina e con il Bargello che ne è il santuario.

“Le opere del Ginori saranno messe a confronto con bronzi, cere e altre statue con cui hanno un rapporto genetico, nel senso che le sono state d’ispirazione” continua lo storico dell’arte. L’esposizione è strutturata in tre nuclei tematici. Il primo è dedicato alle statue classiche come la Venere dei Medici o il Mercurio. Il secondo nucleo, monumentale, è dedicato alle macchine di porcellana, con il Tempietto della gloria della Toscana e il Camino. L’ultima parte è dedicata alla statuaria barocca: gruppi in porcellana in cui sono stati tradotti i risultati degli studi del tardo Barocco a Firenze, cioè l’ultimo periodo dei Medici, la stagione dell’Elettrice Palatina.

La collezione, con  8.000 opere, è conservata a Sesto da più di due secoli, e nacque per volontà del fondatore della Manifattura, il Marchese Carlo Leopoldo Ginori. Già nella prima sede della fabbrica, in località Doccia a nord di Sesto Fiorentino -a cui deve il nome il museo- il fondatore aveva predisposto una sala per accogliere le creazioni più preziose e i modelli trovati nelle botteghe degli artigiani. Il Museo del Doccia, negli anni 50 del Novecento, viene spostato nell’attuale sede adiacente alla fabbrica. Nel 2014 viene chiuso perché coinvolto nel fallimento della fabbrica Richard-Ginori, e da allora tutto il suo patrimonio è stato abbandonato alle muffe. “Ceramiche, maioliche e cere tra le quali un nucleo del settecento e dell’ottocento, che a causa delle infiltrazioni e del microclima umido si stava screpolando irrimediabilmente se non fossimo intervenuti in tempo. Abbiamo trasferito in tutto 80 statue in una sala della fabbrica dove una restauratrice sta procedendo al ripristino” racconta Livia Frescobaldi, Presidentessa dell’associazione Amici del Doccia.

Alcuni anni fa lo storico archivio del museo è stato trasferito all’Archivio di Stato di Firenze per i danni causati dalle infiltrazioni nell’edificio. Gli studiosi della cultura barocca e la comunità scientifica volevano dare un segnale concreto per sostenere la riapertura del Museo: “Ci sembrava che il modo migliore fosse fare notare ai fiorentini e all’opinione pubblica la straordinaria qualità delle opere conservate nel Museo del Doccia che da tre anni è chiuso, ci piove dentro, le vetrine di legno si gonfiano e potrebbero esserci conseguenze drammatiche” racconta Montanari. Il ministro Dario Franceschini, in occasione del G7 Cultura tenuto a Firenze il 30 marzo, ha confermato che a luglio ci sarà l’acquisizione del museo da parte del MiBact. Il ministero ne prevede l’acquisto avvalendosi della “legge Guttuso” che consente la conversione in opere d’arte dei crediti fiscali vantati verso l’azienda, e in parte con l’esborso di denaro. Alcuni enti fiorentini si sono attivati da tempo per sostenere la riapertura, e hanno presentato la proposta di costituire una fondazione, composta da soggetti pubblico-privati, per una futura gestione. Confindustria Firenze ha già raccolto 500mila euro per il progetto e la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze si è offerta di sostenere parte delle spese di restauro. Quel che ancora oggi tormenta il marchio Richard- Ginori parte dal dicembre del 2004, quando l’allora società proprietaria della fabbrica, la Pagnossin srl, costituisce un’altra società, la Ginori Real Estate Spa, alla quale cede la proprietà immobiliare dello stabilimento,130.000 metri quadrati. La nuova società viene messa in liquidazione nel 2009, rimanendo indebitata per 21 milioni di euro con tre istituti di credito. Unicredit, Popolare di Vicenza e BNL sono gli attuali proprietari dei terreni e degli immobili in cui opera la fabbrica. Nel gennaio 2013 anche la società della fabbrica Richard Ginori 1735 fallisce e viene acquistata, a maggio dello stesso anno, dalla Holding francese Kering, già proprietaria di grandi marchi italiani del lusso come Gucci, Bottega Veneta e Pomellato, ma ciò che affligge i 260 lavoratori, le istituzioni e la proprietà è non riuscire a trovare un accordo con le banche -alle quali si è aggiunta ad inizio 2017 DoBank- per l’acquisto della parte immobiliare.“La nostra preoccupazione per le sorti di questo quadrante urbanistico, in cui si trovano fabbrica e museo, è forte -racconta il segretario della Filctem-Cgil di Firenze, Bernardo Marasco-. Tutte le forze politiche garantiscono che rimarrà industriale, quindi non può essere utilizzato per costruzioni commerciali o residenziali come avevano paventato in passato. È un’area vocata alla produzione e se qualcuno pensa di speculare sotto il profilo edilizio commetterebbe un grave errore civile oltre che economico e culturale”. Kering, infatti, ha tutto l’interesse a mantenere la sede a Sesto, ma ha la necessità di investire per la modernizzazione della stabilimento.

È possibile che in assenza di un accordo la proprietà potrebbe spostare la produzione da Sesto Fiorentino, dove è sempre stata, e dove con la sua sirena, una sorta di “campana laica”, scandiva i turni di lavoro e il tempo di una comunità. 

Se così fosse, se la fabbrica dovesse essere spostata, il museo rimarrebbe incompleto e anonimo. Ironia della sorte, “oggi le grandi fabbriche lavorano per costruirsi il museo, e in questo caso esiste da oltre tre secoli e rischiamo di vederlo penalizzato”, commenta Frescobaldi. Nell’ottobre di quest’anno, intanto, è attesa la prima udienza all’ex dirigenza Ginori 1735 accusata di bancarotta fraudolenta.

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