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Respingimenti in Libia: governo italiano e società private a processo

Tripoli - © M.T ElGassier - Unsplash

Cinque cittadini eritrei, sostenuti da Asgi e Amnesty International, accusano le autorità italiane e Augusta Offshore per il loro respingimento in Libia del luglio 2018 che li ha esposti a violenze. Gli effetti dell’esternalizzazione delle frontiere al vaglio del Tribunale di Roma

La legittimità dei respingimenti collettivi in Libia al vaglio della giustizia italiana. Grazie ad un’azione civile depositata da cinque cittadini eritrei che accusano il governo italiano e la società Augusta Offshore di averli respinti illegittimamente verso le coste libiche, le politiche italiane di esternalizzazione delle frontiere saranno analizzate e giudicate, per la prima volta in maniera sistemica, da un organo di giustizia. “Al di là del riconoscimento di un risarcimento dei danni -spiega l’avvocato Salvatore Fachile dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che con Amnesty International sta seguendo la causa- la decisione del giudice stabilirà la liceità dei respingimenti e la presenza o meno di un sistema, coordinato dalle autorità italiane, che ha come obiettivo quello di riportare i migranti sulle coste libiche”.

I fatti risalgono all’estate 2018. Il 30 giugno un’imbarcazione con a bordo 150 persone provenienti principalmente da Eritrea, Etiopia e Sudan parte dalla cittadina libica di Al Khum e dopo poche ore di navigazione, a causa delle precarie condizioni del gommone, uno dei passeggeri invia una richiesta di soccorso alle autorità italiane segnalando la posizione. Alle 19 arriva in supporto la motovedetta libica Zwara, già carica di altri naufraghi soccorsi precedentemente, che si accosta all’imbarcazione e trasferisce a bordo tutti i passeggeri. Il peggioramento delle condizioni del mare e il sovraccarico rendono necessario l’intervento della nave Asso Ventinove, un’imbarcazione della flotta della società Augusta Offshore, che riceve precise istruzioni per un’operazione di salvataggio in zona di ricerca e soccorso (Sar) dalle autorità della Marina militare italiana. In piena notte, l’imbarcazione che stava navigando verso la piattaforma petrolifera Bouri Field, una delle più grandi del Mediterraneo, cambia direzione verso la zona di soccorso. Alle 3, concluse le operazioni di trasferimento, l’imbarcazione privata con a bordo i naufraghi comincia il suo viaggio verso la Libia trainando al suo seguito la motovedetta Zwara. Un ufficiale libico salito a bordo dell’Asso Ventinove avrebbe garantito ai passeggeri, 262, che la direzione sarebbe stata l’Italia ma la mattina successiva le coste che si intravedono all’orizzonte sono quelle libiche: intorno alle 10 del 2 luglio 2018, alcune motovedette della flotta del ministero Interno libico trasportano i naufraghi al porto di Tripoli. “Il coordinamento dell’Italia -sottolinea Giulia Crescini, avvocata del collegio difensivo- si desume sia dalle istruzioni ricevute dall’Asso Ventinove, provenienti in primo luogo dalla Nave Caprera, di base a Tripoli, che svolge funzioni di coordinamento dei ‘soccorsi’ al posto delle autorità libiche; sia dalla presenza, al fianco dell’imbarcazione dell’Augusta Offshore, della nave militare italiana Duillo che intimò al comandante della Asso Ventinove di attenersi alle richieste provenienti dalla motovedetta Zwara. Inoltre, si evidenzia come, nonostante le organizzazioni internazionali fossero a conoscenza dell’operazione, non hanno denunciato il fatto”. Infatti, sulla banchina del porto di Tripoli i naufraghi sono stati identificati dal personale dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (OIM). Non solo: una volta riportati nei centri di detenzione, l’UNHCR ha intervistato i cittadini eritrei e ricostruito quanto avvenuto durante quella notte.

La ricostruzione dei fatti, così come presentata dal collegio difensivo, è stata confermata dai documenti inviati dall’Augusta Offshore e dai tracciati degli spostamenti della nave Asso Ventinove ma non riconosciuta dai ministeri italiani coinvolti. “La catena di comando porta dritto alle autorità italiane, che gestiscono l’operazione -spiega l’avvocato Luca Saltalamacchia di Asgi-. Nonostante l’evidenza delle prove documentali, i ministeri italiani hanno negato il loro coinvolgimento scaricando la responsabilità sulla società armatrice”. L’Augusta Offshore e il comandante della nave saranno chiamati a rispondere delle proprie azioni davanti al giudice ed è la prima volta che viene citato a giudizio un soggetto privato e non solamente lo Stato italiano. “È un contenzioso -sottolinea Saltalamacchia- la cui portata è molto più ampia delle richiesta formulata al giudice che, per arrivare a stabilire se si debba riconoscere ai cinque cittadini eritrei il risarcimento del danno, dovrà accertare se la condotta posta in essere dai convenuti è compatibile con il rispetto dei diritti umani dei ricorrenti. Questo è il cuore del giudizio”.

In altri termini, il giudice dovrà pronunciarsi sulla compatibilità o meno con la nostra Costituzione dei respingimenti collettivi. Operazioni di respingimento in cui sono inevitabilmente coinvolti anche i soggetti privati, in questo caso, secondo il collegio, la Augusta Offshore, perché la loro condotta sarebbe essenziale per realizzare il trasferimento collettivo dei naufraghi verso le coste libiche. “Auspichiamo che con questo giudizio -conclude l’avvocato Saltalamacchia- venga stabilito il principio per cui i privati, se si prestano a partecipare a tali operazioni, possono essere ritenuti responsabili”. 

A fianco della domanda principale, risarcitoria, è stata proposta un’azione inibitoria con cui si chiede al giudice di proibire che gli attori in gioco reiterino la loro condotta in futuro. Sotto questo aspetto sarà decisivo quanto verrà stabilito rispetto alle modalità con cui si è svolta l’operazione. “È stato un caso -spiega Fachile- che si tratti di una nave petrolifera? È stato un caso che una nave italiana abbia coordinato un respingimento verso la Libia? Oppure è un sistema che si struttura tramite, da una parte, il ‘memorandum Minniti’ e dall’altra il migration compact del governo Renzi? Se L’Italia riveste sempre un ruolo centrale, al di là di come si declina di volta in volta, nel riportare le persone in Libia e questa è un’operazione illecita, allora siamo di fronte a un’organizzazione che è sistematicamente finalizzata al compimento di un reato. Questa azione giudiziaria pone, dunque, degli interrogativi giuridici che, inevitabilmente, sono anche politici”.

Politica che, in questi giorni, vede la nascita del nuovo esecutivo Draghi. “Credo che sia utile riportare al centro dell’attenzione mediatica questo argomento nei giorni in cui si insedia il nuovo esecutivo -sottolinea Erasmo Palazzotto, deputato di Liberi e Uguali (Leu)- e che dovrà affrontare, a breve, il tema del rinnovo delle missioni militari che prevedono il supporto della Guardia costiera libica. Spero che questo procedimento giudiziario contribuirà a ristabilire un piano di legalità, una serie di principi che si spera non vengano più rimessi in discussione”.

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