Esteri / Reportage
Snodo Bielorussia: gli interessi geopolitici sul “confine” Est-Ovest
Nell’area contaminata dell’incidente di Chernobyl, del 1986, fino a poco tempo fa inaccessibile, oggi il governo scommette su turismo e ricerca scientifica. Mentre cerca di attrarre imprese straniere, comprese quelle italiane e cinesi
“Zapreschen!”. I triangoli gialli col simbolo di contaminazione radioattiva cominciano ad apparire a pochi chilometri da Khoiniki, la cittadina nel Sud-Est della Bielorussia che, il 26 aprile 1986, venne quasi annientata dall’incidente nucleare di Chernobyl. Sino a giugno di due anni fa, l’area era considerata ancora ad alto rischio, trovandosi a ridosso dell’Exclusion Zone: 420mila ettari sottratti all’attività dell’uomo per via delle quantità letali di cesio (30%), stronzio (73%) e plutonio (97%) accumulatesi nei terreni attorno al reattore esploso in Ucraina. Col decreto n. 259 firmato dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko, la storia dell’ex repubblica sovietica ha preso invece tutt’altra piega: la metà dell’Exclusion Zone di propria competenza, ribattezzata “Riserva statale radioecologica della Polesia” (2.165 chilometri quadrati), non solo potrà tornare a ospitare attività agricole al suo interno, ma già dal prossimo giugno punta a dar vita al più importante polo europeo per lo studio del nucleare. Grazie anche a un inaspettato partner: la Nato.
È stato proprio il dossier “Science for Peace”, realizzato dall’Alleanza atlantica nel 2008, a convincere Lukashenko della possibilità di un altro futuro per la regione meno sviluppata della Bielorussia. Dopo l’analisi del documento nel corso della sua visita alla riserva, in aggiunta ai rilievi prodotti quotidianamente dai circa 700 ricercatori che lavorano al suo interno, la svolta è maturata in breve. Auspicata apertura di un secondo laboratorio di ricerca internazionale, via libera all’allestimento di una struttura d’accoglienza a pochi metri dagli uffici amministrativi dell’Exclusion Zone, potenziamento del suo museo, organizzazione di visite guidate fra i resti dei 98 villaggi evacuati e opportunità di dedicarsi persino al bison-watching: l’osservazione degli ultimi bisonti europei, qui in parte trasferiti dalla foresta di Bialowezia sul confine con la Polonia e sorprendentemente riprodottisi negli ultimi anni, insieme a molte altre specie selvatiche.
“Lo stato di salute degli animali -osserva Vyacheslav Zabrovskij, direttore della riserva radioecologica- rappresenta un importante indice relativo alla capacità di rigenerazione della Terra, riuscita a creare condizioni di accoglienza molto più velocemente di quanto ci aspettassimo. Non stiamo affatto affermando che l’Exclusion Zone sia ‘guarita’ dagli effetti delle radiazioni, dal momento che alcune sue aree presentano tuttora picchi di contaminazione che vanno ben al di sopra della soglia massima di sicurezza, ma la diffusione dei pericolosissimi radionuclidi è ora sotto controllo: l’uso di specifiche piante contribuisce a stabilizzarli nel terreno”. L’ultimo censimento di lungo periodo realizzato da un team internazionale, pubblicato sulla rivista “Current Biology”, attesta inoltre che “non esistono prove di un’influenza negativa delle radiazioni sull’abbondanza degli animali. Le quantità di alci, cervi rossi, caprioli e cinghiali sono oggi simili a quelle di quattro riserve naturali locali non contaminate, mentre il tasso dei lupi risulta addirittura sette volte più alto”.
Gli animali riescono cioè a riconoscere le zone contaminate e quelle sane, insediandosi senza correre grandi pericoli. Anzi, l’assenza dell’uomo ha trasformato l’Exclusion Zone in un’oasi naturalistica completamente libera dalla caccia (benché ora sia annoverata fra le possibili attività per il “rilancio” dell’area). Paradossalmente, a causa della predazione umana, i livelli della fauna locale erano in declino prima dell’incidente del 1986: nei dieci anni successivi, il numero degli animali era già in leggera ripresa.
“Anche quando catturiamo pesci nel fiume Pripyat -aggiunge Zabrovsky- i loro livelli di contaminazione risultano irrisori. Sia nell’aria che nell’acqua le radiazioni sono quasi scomparse. I rischi maggiori restano legati al suolo, soprattutto per via degli incendi che possono scoppiare nei periodi secchi (per bonificare completamente il terreno dai radionuclidi, sarebbe necessario rimuovere uno strato di 10 centimetri per oltre 2.000 chilometri quadrati, ndr). Abbiamo in programma l’installazione di un centinaio di videocamere su tutte le torri di avvistamento nella riserva, grazie alle quali rilevare possibili infiltrazioni di ex residenti o sbandati pronti a occupare le abitazioni abbandonate. A volte vengono presentate addirittura richieste ufficiali di alloggio, sia dalla Bielorussia sia dall’estero, ma anche da profughi ucraini e siriani”.
In assenza di misuratori di radiazioni, muoversi fra i resti dei villaggi evacuati può comportare notevoli rischi: è proprio Zabrovsky a mostrare al suo team le improvvise oscillazioni del gamma spettrometro, non appena accostato alle carcasse metalliche di vecchi battelli o di camion appartenenti un tempo a sei kolkhoz sovietici.
“Lo stato di salute degli animali rappresenta un importante indice relativo alla capacità di rigenerazione della Terra” – Vyacheslav Zabrovskij
“Grazie alla nuova politica di apertura del governo e alla grande opportunità offerta dall’organizzazione dei Giochi Europei, in calendario dal 21 al 30 giugno prossimi -aggiunge la traduttrice del team Yulia Zhuk- visitare la Bielorussia è alla portata di tutti. Dopo la sperimentazione nel 2018 del regime di entrata senza visto per cinque giorni, da quest’anno i cittadini Ue possono trattenersi nel nostro Paese sino a un mese. Prendendo accordi con la Riserva radioecologica della Polesia vengono rilasciati permessi per visitare le zone interdette sino a poco tempo fa. In questo modo, grazie al confronto diretto con i nostri ricercatori, è possibile rendersi conto personalmente dei livelli di sicurezza raggiunti nell’area. Sappiamo bene che la Bielorussia è spesso vittima di attacchi mediatici ingiustificati”.
Frettolosamente etichettato come “ultima dittatura d’Europa”, il Paese ha intrapreso da anni notevoli riforme politiche, trasformandosi nel più promettente snodo economico fra l’Unione europea e l’Unione economica eurasiatica. Non a caso, l’intervento della Nato e i suoi ricchi finanziamenti hanno come obiettivo quello di portare la Bielorussia nell’area d’influenza occidentale, benché Lukashenko sia da sempre il più stretto alleato della Russia.
Al contempo, la Cina ha eletto Minsk e Brest a scali strategici per la sua penetrazione in Europa, in quanto punti terminali dell’alto corridoio ferroviario della Nuova Vita della Seta. “È in corso un’accesa partita per integrare il Paese nei nuovi assetti geopolitici -conferma Angelo Ilardi, presidente della Camera del commercio Italia-Belarus- perché oltre a garantire stabilità di governo, la Bielorussia è un mercato in buona salute. Per il viceministro all’Economia Alexander Chervyakov, il Pil crescerà del 4,1% nel 2019, mentre l’inflazione rimarrà stabile al 5% grazie anche al pagamento di 3,9 miliardi di dollari per ridurre il debito pubblico. L’export, infine, prevede una crescita del 7,3%: un’opportunità per far decollare finalmente l’interscambio Italia-Bielorussia, che vale appena 600 milioni di euro. Attraverso il programma di creazione delle FEZ, le Free Economic Zone, sono state predisposte condizioni ottimali per attirare investitori internazionali, tant’è che anche l’Italia ha iniziato ad accorgersene. Proprio lo scorso febbraio il vicepremier Luigi Di Maio ha concordato col primo ministro Sergei Rumas un progetto di cooperazione economica per rafforzare l’interscambio commerciale”. Se la Cina si è affacciata in Bielorussia con tutto il peso della propria potenza economica, nel titanico parco industriale “Great Stone”, a 25 chilometri dalla capitale Minsk, la Bielorussia guarda però con entusiasmo all’arrivo di nuove imprese italiane sul proprio territorio. anche di dimensioni medio-piccole. A Brest, ad esempio, il comparto della ristorazione può già contare su Italservice Group come assoluto protagonista, mentre la joint venture italo-bielorussa “Belita” domina nel settore cosmetico. “Mettendo a disposizione 23 lotti di insediamento per oltre 2.600 ettari di superficie -conferma Dmitry Rudchenko, amministratore capo della FEZ Minsk – la zona economica della capitale rappresenta una delle migliori piazze per accogliere le imprese italiane. Al suo interno operano già 110 compagnie internazionali, grazie all’assistenza da noi offerta sul piano burocratico e ai tanti benefici economici, ma anche per i bassi costi energetici o di logistica, condizioni ideali per aziende che ancora puntano sulla produzione oltre che sui servizi”.
600 milioni di euro, il valore attuale dell’interscambio commerciale tra Italia e Bielorussia
Se la seconda edizione dei Giochi Europei offrirà una straordinaria finestra per affacciarsi sulla nuova Bielorussia, che ora preferisce chiamarsi Belarus, il desiderio di aprirsi oltreconfine sta contagiando l’intera popolazione. In virtù del programma di ricostruzione dell’archivio librario nazionale, andato distrutto nella Seconda Guerra Mondiale, la biblioteca di Minsk è divenuta un punto di riferimento per sviluppare gemellaggi culturali con sodalizi esteri (l’Italia ha donato due libri simbolici proprio lo scorso febbraio, su iniziativa congiunta dell’Associazione culturale Gaetano Osculati, dell’Istituto culturale per l’Oriente e l’Occidente e della libreria Virginia e Co. di Monza).
Persino i social network cominciano ad essere utilizzati per coltivare opportunità di scambio e microimprenditoria, come prova l’intraprendenza dell’instagrammer Polina Marozava. “Nonostante gli sforzi dell’agenzia nazionale del turismo, trovare informazioni pratiche per muoversi in modo indipendente nel nostro Paese è ancora molto difficile. Col lancio del mio profilo “benvenuti_in_bielorussia”, gli italiani hanno però risolto il problema”. Dopo la catastrofe di Chernobyl e l’irrompere della globalizzazione, recuperare terreno è diventato un imperativo di sopravvivenza per l’ex repubblica sovietica. In attesa di restituire piena vita a uno spazio fisico precluso all’uomo ancora a lungo, tocca oggi allo spazio digitale alimentare il sogno -o forse l’incubo- di una Terra senza confini invalicabili.
© riproduzione riservata