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“Report” su migranti, Libia e Ong: una puntata che viene da lontano
Il 20 novembre il programma di inchiesta di Rai3 si è occupato di flussi migratori nel Mediterraneo. Ne è emerso quel che appare come un sostegno all’azione di governo a discapito delle organizzazioni umanitarie, sospettate di “tacito accordo” con i trafficanti. Ma il cuore del servizio sono immagini già trasmesse a “Porta a porta”, seppur del tutto rilette. Il ministro Minniti è assente
Il 20 novembre 2017 la trasmissione “Report” ha mandato in onda la puntata “Un mare di ipocrisia”, curata da Claudia Di Pasquale in collaborazione con Simona Peluso e Ilaria Proietti.
La puntata è stata criticata per vari errori, omissioni e insinuazioni (si può ad esempio leggere qui e qui). In sintesi, si sostengono due tesi: la prima è quella di un “tacito accordo” tra le ong impegnate nel salvataggio di migranti in mare e presunti scafisti che gestiscono il traffico di esseri umani dalla Libia; la seconda è che il contestato accordo tra Italia e Libia per il contenimento dei flussi migratori è un accordo “brutto, bruttissimo” -sono le parole di Sigfrido Ranucci in studio- ma tuttavia necessario per “stoppare la deriva populista, capace di condizionare pesantemente le campagne elettorali”. Abbiamo analizzato con attenzione la puntata e ricostruito quel che riteniamo essere la sua “genesi”.
1. Tutti giù per terra. Nella gestione dei flussi migratori l’Italia sarebbe isolata, suggerisce Report. Non è così: al 23 novembre 2017, i migranti giunti nel nostro Paese attraverso il Mediterraneo sono stati poco più 114.600. Nei primi sei mesi del 2017, la sola Germania ha ricevuto oltre 128mila richieste d’asilo. Ma nel “mare di ipocrisia” che dà il titolo alla trasmissione, nessuno deve potersi salvare. Cade Malta, Paese di 400mila anime presentato sommariamente come un paradiso fiscale che si rifiuta di accogliere i migranti e che non avrebbe firmato un’inesistente “direttiva sul porto sicuro” (Ranucci). Cade l’ONU, “comodamente seduta nelle villetta con l’aria condizionata di Tunisi”. La Francia, “che ha bombardato la Libia per tutelare interessi di geopolitica e quelli petroliferi” e, come già sostenuto impropriamente dal Governo italiano, non aprirebbe i suoi porti. L’Unione europea, “che si pulisce la coscienza fornendo soldi e mezzi per vigilare sui mari”. Le ong, protagoniste di un “tacito accordo” con i trafficanti di esseri umani.
2. Tutti insieme appassionatamente. Rispetto alla tesi del “tacito accordo”, tutto ruota attorno a un filmato realizzato dalla giornalista Francesca Ronchin. “Il loro impegno non ha prezzo -premette in studio Ranucci a proposito delle ong-. La loro missione è quella di salvare le vite umane e a loro diciamo grazie. La nostra invece di missione è cercare di raccontare la verità. Anche quando è scomoda”. Il “documento” che proverebbe la “verità scomoda” merita una scheda ad hoc durante la puntata, “Il salvataggio”. La clip è stata anticipata anche sul sito del Corriere della Sera il giorno della trasmissione con un titolo diverso: “Ong, migranti, trafficanti, Guardia Costiera libica e elicotteri della missione interforze Sophia: tutti insieme appassionatamente”.
In realtà le immagini mostrate sono state girate il 18 maggio 2017 a bordo della Aquarius della ong francese Sos Mediterranée, a 15 miglia dalla costa libica. La Rai le ha già trasmesse su “Porta a Porta” in un servizio intitolato “Aquarius” – Così si salvano i migranti vicino alle coste libiche” (caricato su Raiplay il 7 settembre 2017). Report non lo dice ai suoi telespettatori. Anzi: con le stesse immagini e la stessa voce narrante viene confezionato un servizio completamente diverso da quello di Rai1.
Le “22 imbarcazioni” viste a Porta a Porta si riducono a “una decina”. L'”aereo di pattugliamento” diventa un “elicottero della missione militare europea Sophia” che “sorvola il mare per qualche minuto e se ne va”. La “guardia costiera del governo di Serraj, appoggiata dalle Nazioni Unite” che su Rai1 “brucia qualche barca di legno per sottrarle agli scafisti”, si trasforma in “uomini in mimetica e armati” che gli “ufficiali del governo libico di Serraj” invece disconoscono. Nel servizio di “Porta a porta” si racconta che “le ong distruggono i gommoni e buttano in acqua il motore” e, solo se queste “non fanno in tempo”, “il gommone resta in balia di questi pescatori”. Su “Report”, invece, l’identica situazione è letta in maniera opposta. Non sono più le ong a distruggere i natanti ma la sola “motovedetta libica”.
Le operazioni di salvataggio vengono stravolte. “Dopo l’avvistamento le ong -si spiega nel primo servizio di Rai1- contattano la Guardia costiera a Roma che a quel punto, tramite il segnale inviato dal transponder, localizza la nave più vicina in grado di dare soccorso”. A Report, invece, la stessa situazione cambia. “Le nostre telecamere -è la nuova ricostruzione- riprendono l’arrivo di altri gommoni carichi di disperati scortati dai barchini dei facilitatori che danno istruzioni a un migrante messo al timone. Indicano la rotta, poi gli ordinano di aspettare. Si girano e indicano la nave su cui siamo a bordo, come a dire ‘Ora vi vengono a prendere’. Avviene tutto sotto il controllo dei facilitatori”.
Ed è così che in “Report”, alla luce di quelle immagini, si fa largo una tesi inedita: il sospetto di “un tacito accordo tra ong e facilitatori”.
Tra le prove, un cenno di saluto rivolto da personale umanitario disarmato che sta salvando vite umane verso ignoti “pescatori di motore” che quasi sicuramente sono armati. Nelle immagini di Rai1 era passato inosservato. Su Report è un particolare stressato, con cerchietti rossi e musica concitata.
Com’è possibile che con le stesse immagini -giornalisticamente “vecchie” e tratte peraltro da un’altra trasmissione Rai senza che ne venisse dato conto al telespettatore- siano potute derivare letture così differenti da parte della stessa giornalista autrice delle riprese? Che cosa è successo -quali elementi/filmati nuovi sono emersi- tra la prima messa in onda su Porta a Porta e la successiva riproposizione su Report?
3. Tutelare un bene strategico per il Paese. Nel corso della puntata si fa riferimento al compound di Mellitah (a Sabratha, in Libia), controllato dall’Eni e dall’azienda petrolifera nazionale libica. “Qui secondo l’Onu il principale trafficante di esseri umani è Ahmed Dabbashi, leader di una milizia riconosciuta dal ministero della difesa e che due anni fa è stata incaricata di fare la vigilanza esterna del compound a guida ENI” si spiega. La denuncia è forte, ma il pragmatismo vince: “Del resto con chi devi andare a parlare se non con chi controlla un territorio? -si chiede Sigfrido Ranucci in studio-. Ecco, ti tappi il naso e vai a tutelare un bene strategico per il tuo Paese che è l’energia. Lo fanno tutti i Paesi del mondo che hanno interessi in quelle zone dove la democrazia non c’è”. Un registro ben diverso da quello adottato poco prima, quando un gesto di saluto è da interpretare come connivenza con i trafficanti.
4. Dove è Minniti. Il ministro Minniti non compare mai, non è mai citato per nome. Il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, lo chiama in causa soltanto alla fine dell’inchiesta definendolo il “grande assente”. Durante la puntata non chiarisce se questi abbia rifiutato l’intervista o se non sia stato nemmeno interpellato. Non ci sono le tipiche schermate alla “Report” delle richieste inoltrate all’ufficio stampa e rimaste inevase. Non c’è alcun inseguimento a favore di telecamera (lo fecero addirittura con Roberto Benigni), nessuna telefonata.
5. Una puntata che arriva da lontano. La puntata del 20 novembre viene da lontano, ovvero dalle posizioni assunte nell’ultimo anno e mezzo dalla fondatrice e conduttrice per 20 anni di Report, Milena Gabanelli. Per capirlo bisogna fare un salto indietro al 3 settembre 2017. Il ministro dell’Interno Minniti è ospite della Festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta per un dibattito sui migranti e sull’accoglienza. Al tavolo dei relatori c’è anche l’ideatrice e fondatrice di Report. “La dottoressa Gabanelli è testimone: quando lei mesi fa scrisse un articolo sul Corriere della Sera, non la conoscevo, l’apprezzavo. Quando lei ha scritto questo articolo (sulla gestione dei profughi, ndr), l’ho chiamata. È nata una collaborazione di carattere intellettuale”. L’articolo in questione risale al 30 dicembre 2016 ma già dal maggio di quell’anno la trasmissione “Report” aveva avanzato una sua “via d’uscita” (il titolo della puntata-tesi) per l’accoglienza dei migranti. Infatti la “collaborazione di carattere intellettuale” è esplicita da tempo. Il 20 marzo 2017, sempre sul Corriere, Gabanelli tifa pubblicamente per il ministro: “[Minniti] Sul piatto ha messo 200 milioni e il sostegno di Bruxelles -scrive la giornalista a proposito dei contestati accordi stipulati dal Governo con le milizie libiche-. Se andrà bene (ce lo auguriamo) si rallenteranno i flussi per un po’, e in Europa l’Italia avrà un altro peso”.
Poco dopo, il 4 giugno, sulle colonne del Corriere è pubblicato un “dialogo” tra i due. Il titolo è emblematico: “Sfida alle Ong del mare. ‘Siete libere? Portate i salvati in altri Paesi Ue'”. “Mi è nota la fragilità di quell’accordo -risponde Minniti a Gabanelli rispetto all’intesa “brutta, bruttissima” con le milizie libiche- ma l’alternativa qual è?”. Ritornello già sentito. “Io vorrei che una nave, una soltanto, si dirigesse in un altro porto europeo […] -propone Minniti-, sarebbe il segnale di un impegno solidale dell’Europa”. Gabanelli prende nota e rilancia: “Negli ultimi due anni sono nate ong che di mestiere fanno soccorso. Nelle pieghe della solidarietà si muove anche dell’altro?”. È la teoria del “sospetto” di cui si ritrova traccia nella trasmissione del 20 novembre 2017.
Il 2 luglio 2017, intervistata sul Fatto Quotidiano, la giornalista ribadisce: “Sarebbe sufficiente se, da subito, qualche ong straniera facesse un’azione dimostrativa”. Ad esempio? “Medici Senza Frontiere potrebbe sbarcare migranti a Nizza o il Moas a Malta”. È il Minniti pensiero. Del resto, “Il ministro ha ragione”. E poi ancora: “Più metti in opera possibilità di salvataggio e più i trafficanti portano in mare i migranti”. È la posizione di chi non conosce i fatti del Mediterraneo. “Minniti fa ciò che può. Si sta spendendo molto sul fronte libico e dobbiamo augurarci che ci riesca”.
La “collaborazione di carattere intellettuale” si rafforza. Il 14 luglio 2017, sempre dal Corriere, Gabanelli elogia Minniti: “Solo il nostro ministro dell’Interno sta provando a farsi in quattro per costruire dialoghi e accordi con fazioni e tribù, formando e pagando (con i soldi dell’Ue) guardie costiere e di frontiera. Per il momento l’unica organizzazione che funziona è l’industria dei trafficanti di uomini, e il nastro trasportatore umanitario (ovvero le ong, ndr) verso la Sicilia”. E rilancia la proposta a firma Viminale alle Ong di “forzare la mancata condivisione delle responsabilità da parte degli Stati membri”, ovvero forzare le chiusure dei porti. Il 29 agosto, intervistata da Radio Cusano Campus, Gabanelli è ancora più esplicita. “È bello fare accordi con uno Stato che è così condizionato dall’industria dei trafficanti? -si domanda- No. Abbiamo un’alternativa? -è il ritornello della trasmissione- No, e quindi si fa così”. Nessuna alternativa. “Il mio sostegno al ministro è totale” arriva a dire la fondatrice di Report. Perché un giornalista dovrebbe “sostenere” un ministro?
Gabanelli ha la risposta, che è poi il canovaccio della puntata-tesi di Report del 20 novembre. “Quello che io penso è ‘intanto limitiamo il problema’. Stiamo arrivando alle elezioni -riflette-, meglio non avere ventate populiste”. Sono le stesse parole utilizzate in trasmissione da Sigfrido Ranucci. “Ben venga un Minniti” chiosa Milena Gabanelli.
Torniamo a domenica 3 settembre 2017. Il ministro fa una rivelazione inattesa. “Io alla dottoressa Gabanelli, come noto, l’ho ascoltata, ne abbiamo discusso, ne discutiamo spesso e ho anche proposto di potere lavorare insieme perché le sue idee mi sembrano molto interessanti e molto intelligenti”. Gabanelli non dice una parola, non prende le distanze, non conferma ma nemmeno smentisce. Eppure, un mese dopo, spiega al Foglio che un buon giornalista “dovrebbe sempre astenersi dalle frequentazioni e dalla famigliarità con politici e imprenditori, ne va della sua credibilità”. E che dovrebbe “essere e anche apparire” equidistante.
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