Ambiente / Approfondimento
Rifiuti elettrici ed elettronici: come cambiano raccolta e gestione
Dall’agosto 2018 entrerà a pieno regime anche in Italia un’importante direttiva europea che riguarda i “RAEE”. Dalla classificazione allo smaltimento, lo scenario muta profondamente. Ecco perché il nostro Paese potrebbe trarne benefici
Dalla metà di agosto la gestione dei rifiuti domestici potrebbe diventare molto più semplice. Almeno per quanto riguarda gli elettrodomestici e gli oggetti che si alimentano a corrente elettrica, dal frigorifero al motore elettrico della tenda da esterno dovrà essere conferito in un unico bidone per essere poi avviato al trattamento come RAEE, l’acronimo che indica i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche.
La novità è contenuta nel decreto legislativo 49 del 2014 che recepisce una direttiva europea e introduce il cosiddetto “Open scope” (o ambito aperto) ed entrerà in vigore -come previsto dalla stessa direttiva- a partire del 15 agosto 2018. Un cambiamento significativo rispetto alla situazione attuale. “Fino a oggi la normativa riporta esplicitamente che cosa è un RAEE: è sufficiente consultare l’elenco delle dieci categorie in cui sono suddivise le Apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) che, una volta giunte a fine vita, diventano RAEE”, spiega Danilo Bonato, direttore generale di Remedia, uno dei principali sistemi collettivi che gestisce la raccolta e il trattamento di questa particolare tipologia di rifiuti. “Con l’entrata in vigore dell’ambito di applicazione aperto il concetto di RAEE è molto più esteso: tutte le apparecchiature che dipendono da correnti elettriche o da campi elettromagnetici sono considerati RAEE. Fanno eccezione alcune categorie indicate nel decreto”.
Un cambiamento importante per i consumatori e per tutto il sistema di gestione. Il campo di applicazione della normativa RAEE, che oggi interessa circa 7mila aziende, ne coinvolgerà altre 6mila che dovranno iscriversi ai Sistemi collettivi. Ma soprattutto, molti oggetti che oggi non sono considerati RAEE, dal prossimo agosto dovranno essere smaltiti seguendo una specifica procedura: si va dai cavi elettrici ai morsetti, dalle caldaie ai caminetti elettrici di ultima generazione, dalle e-bike ai sistemi di automazione usati, ad esempio, per le tende da esterno. Inoltre i consorzi saranno chiamati a gestire anche rifiuti elettrici ed elettronici provenienti dall’ambito professionale: “Dovremo attrezzarci per andare a raccogliere e riciclare un flusso di prodotti a fine vita molto più consistente rispetto al passato -continua Bonato-. Senza contare il fatto che il decreto prevede l’obbligo di gestire anche prodotti molto diversi rispetto a quelli che gestiamo oggi, ad esempio macchine industriali molto pesanti o banchi frigoriferi di grandi dimensioni. Dovremo studiare le modalità da mettere in campo per affrontare tutta una serie di difficoltà”. Gli obiettivi di raccolta fissati dal decreto 49/2014 sono ambiziosi. Nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2016 e il 31 dicembre 2018 il quantitativo di RAEE raccolti deve aumentare gradualmente fino a raggiungere al primo gennaio 2019 “un tasso minimo di raccolta pari al 65% del peso medio delle Apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nei tre anni precedenti -si legge nel testo del decreto- o, in alternativa, deve essere conseguito un tasso minimo di raccolta pari all’85% del peso dei RAEE generati sul territorio nazionale”.
A fronte di questi obiettivi, l’Italia deve colmare un divario importante. In base ai dati forniti dal Centro di coordinamento RAEE (Cdc, che coordina e monitora l’attività dei Sistemi collettivi di raccolta) al 2016 il tasso di raccolta dei rifiuti elettrici ed elettronici era al 40,8% dell’immesso al consumo a fronte di un obiettivo europeo fissato al 45%.
Il cambiamento introdotto dall’Open scope rappresenta un’opportunità importante per tutta la filiera dei RAEE e non solo. Una ricerca commissionata da Remedia e condotta dall’Università Bocconi di Milano stima un incremento dell’immesso al consumo dei prodotti pari a circa 1.330.000 tonnellate (oggi siamo a quota 875mila tonnellate di AEE domestiche e professionali ogni anno). Se riusciremo a rispettare i target imposti dall’Europa, avviando correttamente al trattamento l’85% dei RAEE generati, l’Italia potrebbe ottenere diversi benefici sia dal punto di vista lavorativo (con la creazione di 13-15mila nuovi posti di lavoro tra il 2025 e il 2030) sia dal punto di vista ambientale. Lo studio dell’Università Bocconi, infatti, calcola una riduzione delle emissioni pari a 2,2-2,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti ogni anno per un valore economico generato compreso tra gli 85 e i 100 milioni di euro l’anno. Inoltre, il corretto trattamento dei RAEE permetterebbe di recuperare importanti quantità di materiali da avviare al recupero (vetro, plastica, rame, acciaio) con un risparmio sull’acquisto delle materie prime di circa 340-390 milioni di euro tra il 2020 e il 2030.
Per ottenere questi risultati, però, è necessario superare una serie di criticità che segnano già oggi la filiera di gestione dei RAEE. “L’Open scope è sicuramente una novità importante, ma bisogna evitare di ripetere gli errori fatti in passato -commenta Stefano Ciafani, direttore scientifico di Legambiente-. C’è un problema generale di mancata informazione sia per i cittadini, sia per gli operatori. Ancora oggi, ad esempio, molti non sanno dell’entrata in vigore dell’‘uno contro zero’, che prevede la possibilità di consegnare gratuitamente RAEE di piccole dimensioni presso i grandi punti vendita senza alcun obbligo di acquisto”.
12 chilogrammi, la produzione media di ciascun italiano di rifiuti elettrici ed elettronici
Questa mancanza di informazione è confermata da una ricerca del febbraio 2017 realizzata da Ipsos per Ecodom e Cittadinanzattiva sui comportamenti degli italiani nella gestione dei RAEE: solo il 18% sa di poter usufruire della modalità “uno contro zero” introdotta nell’aprile 2016. E non solo: quattro italiani su dieci (il 44%) ancora non sanno dell’‘uno contro uno’, provvedimento entrato in vigore nel 2010 e che prevede il ritiro gratuito dell’apparecchiatura dismessa a fronte dell’acquisto di un nuovo prodotto equivalente, di cui si fa carico il rivenditore. “La conoscenza dei RAEE e la consapevolezza dell’importanza della loro raccolta differenziata sono ancora poco diffuse tra gli italiani -commenta Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom-. Mediamente ciascun italiano produce circa 12 chilogrammi di RAEE all’anno, ma la raccolta è di circa 4,7. Per ciascun cittadino ci sono più di sette chili di rifiuti che non riusciamo a tracciare. Dove vanno a finire?”. Una risposta a questa domanda la fornisce -in parte- don Alessandro Santoro: tra le varie attività della comunità delle Piagge (Firenze) c’è anche un servizio di raccolta e primo trattamento dei RAEE. “Ci è capitato di essere chiamati per recuperare grossi elettrodomestici, ad esempio lavatrici -spiega-. Su dieci, otto non avevano più il motore, il pezzo di maggior valore. Lo stesso accade con i vecchi pc a cui è stata tolta la scheda elettronica. Senza queste parti il trattamento per noi diventa solo un costo”.
“C’è una diffusa illegalità lungo la filiera nella gestione di questo tipo di rifiuti -aggiunge Antonio Pergolizzi, curatore del rapporto Ecomafie di Legambiente-. Stiamo parlando di una moltitudine di piccoli operatori che intercettano i RAEE, spesso sottraendoli alle piazzole di raccolta, asportano i pezzi di maggior valore come i compressori dei frigoriferi e abbandonano il resto”.
67, i Paesi al mondo che hanno approvato una normativa sul trattamento dei RAEE
Il tema dei rifiuti elettrici ed elettronici rappresenta una sfida globale. Nel mondo se ne producono 44,7 milioni di tonnellate in base alle stime dell’ultimo report “The global e-waste monitor 2017” curato da International telecomunication Union e da United Nation University. Di questa montagna di rifiuti, solo il 20% è stato riciclato correttamente. “La generazione di RAEE aumenta perché sta crescendo il consumo di apparecchiature elettriche sia in Occidente, sia nei Paesi in via di sviluppo. Ed è proprio in Paesi come India e Cina, oltre che le nazioni africane, che mi aspetto l’incremento maggiore per i prossimi anni”, spiega Federico Magalini. project manager per United Nation University. Già oggi Paesi come Cina, India e Brasile si piazzano nella top ten dei principali produttori mondiali di e-waste, rispettivamente al primo, quinto e ottavo posto.
E se il progressivo aumento della produzione di rifiuti elettrici è -per molti versi- inevitabile, la sfida sta nella gestione corretta di questi processi. Oggi sono 67 i Paesi che hanno approvato una normativa sul trattamento dei RAEE, ma c’è ancora molta strada da fare. “Se manca un quadro legale in cui si dice chi deve pagare per lo smaltimento di quei rifiuti, il rischio è che le parti di maggior valore vengano trattate e il resto venga abbandonato, con gravi conseguenze per l’ambiente e la salute -ragiona Magalini-. Ci sono diversi Paesi africani che hanno elaborato una normativa, ma da anni la tengono nel cassetto. Si sta lavorando per convincerli ad approvarla e metterla in atto, ma il percorso è ancora lungo”.
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