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Diritti

Processo Diaz, a caccia di ben misere assoluzioni

Va da sé che un avvocato difensore, durante un processo, è tenuto a tutelare il suo assistito e a fare in modo che sia assolto o comunque ottenga la pena più lieve possibile. L’intervento dei legali di Francesco Gratteri al…

Va da sé che un avvocato difensore, durante un processo, è tenuto a tutelare il suo assistito e a fare in modo che sia assolto o comunque ottenga la pena più lieve possibile. L’intervento dei legali di Francesco Gratteri al processo Diaz, di cui sotto si può leggere qui, va dunque preso per quello che è: arringhe svolte secondo la logica e le finalità del processo penale.
Detto questo, è necessario considerare che gli imputati al processo Diaz non sono persone qualunque ma funzionari e dirigenti di polizia, a cominciare appunto da Gratteri, attuale responsabile nazionale dell’anticrimine. Gli avvocati, a giudicare dalla breve sintesi offerta dalle agenzie di stampa, dicono in sostanza che la notte della Diaz la polizia fu vittima dei manifestanti (è difficile non cogliere la natura provocatoria di questa asserzione, sempre che sia stata riportata correttamente) e che il processo è viziato dall’intento, da parte dei pm, di attribuire agli imputati di grado più alto una sorta di responsabilità oggettiva e collettiva.

La responsabilità penale è personale, dicono gli avvocati, e non ha rilevanza giuridica sostenere che qualcuno “non poteva non sapere”. Da un punto di vista tecnico, sono considerazioni ineccepibili. I pm, in realtà, hanno sostenuto una tesi più articolata e precisa, individuando in Gratteri e altre due-tre dirigenti un ruolo di comando durante l’operazione, corrispondente al grado che ricoprivano.

Gli imputati negano di avere avuto un ruolo di comando e sostengono di essere stati “beffati” dai propri sottoposti, in particolare sul ritrovamento delle due bombe molotov, attribuite ai manifestanti per giustificare l’arresto – questo sì collettivo, con l’accusa di associazione a delinquere rivolta a persone che nemmeno si conoscevano fra loro –  e in realtà portate dentro dalla scuola da alcuni poliziotti.

Gli argomenti degli avvocati (e degli imputati) sono, come detto, mirati a un’assoluzione processuale. Può anche darsi che arrivi, ma non sarebbe un successo per nessuno, tanto meno per gli imputati. Non si può infatti dimenticare che il dottor Gratteri, come 27 dei 29 imputati, ha scelto di non rispondere alle domande dei pm, esercitando una facoltà prevista dalla legge, mancando però a un principio etico che vorrebbe alti dirigenti dello stato farsi carico delle proprie responsabilità, agire con la massima trasparenza e collaborare alla ricerca della verità. Questo ci si attende da chi ricopre incarichi così importanti.

Sappiamo anche bene che il silenzio in aula degli imputati ha reso più difficile il lavoro dei pm nell’acquisizione delle prove: anche in questo caso è un comportamento legittimo da parte di un imputato, ma poco consono a un alto dirigente di polizia.

Alla Diaz, al di là delle prese di posizione processuali, la polizia di stato ha scritto una delle pagine più nere della sua storia, e il comportamento tenuto durante l’inchiesta e il processo sia dalla polizia come istituzione sia dai maggiori imputati, non hanno certo contribuito a un recupero di credibilità.

Poniamo che il dottor Gratteri e gli altri altissimi dirgenti imputati siano assolti. Chi potrebbe gioirne? Forse gli imputati? Può darsi, ma al prezzo di uno scadimento etico e professionale, testimoniato da un comportamento processuale discutibile e da un’implicita ammissione di dabbenaggine: i pestaggi, la falsificazione delle prove, le bugie sarebbero tutti avvenuti all’insaputa di così alti dirigenti. L’uomo della strada potrebbe domandarsi perché dirigenti tanto improvvidi siano mantenuti nei loro incarichi e addirittura promossi.

L’assoluzione dei “capi” potrebbe forse rallegrare la polizia di stato? Sicuramente no, per gli stessi motivi appena esposti e perché verrebbe messa a nudo l’assoluta incapacità della polizia di ammettere i propri errori (93 arresti arbitrari, con 60 persone all’ospedale, una delle quali ha rischiato la pelle, e falsificazioni imbarazzanti) e di assumersene la responsabilità.

Per le vittime-testimoni di quella notte, quindi i 93 arrestati ma anche tutti gli italiani informati dei fatti, l’assoluzione dei dirigenti sarebbe quello che è: un’ulteriore perdita di credibilità delle istituzioni democratiche. D’altro canto, nemmeno alcune condanne basterebbero a ripristinare la fiducia perduta; per questo ci vorrebbe molto di più e toccherebbe alla politica entrare in azione. Ma questa è un’altra storia, q auanto pare già  chiusa.

 

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