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Politica è partecipare

Gli enti locali sono i motori del “bene comune”. Per questo raccogliamo in un libro decine di “buone prassi” e in questa pagina l’esempio di Rita Borsellino Partecipare è prima di tutto un sentimento, un’emozione, quasi una necessità. Partecipo a…

Tratto da Altreconomia 121 — Novembre 2010

Gli enti locali sono i motori del “bene comune”. Per questo raccogliamo in un libro decine di “buone prassi” e in questa pagina l’esempio di Rita Borsellino

Partecipare è prima di tutto un sentimento, un’emozione, quasi una necessità. Partecipo a qualcosa se mi sento coinvolta, se non posso fare a meno di starci dentro, se mi accorgo che se non ci fossi non sarebbe la stessa cosa. Esistono spazi e tempi della partecipazione nella vita di ciascuno; per me tutto inizia dopo la morte di Paolo, dopo quel 19 luglio 1992 che rompe il guscio nel quale mi ero chiusa per proteggermi da un mondo che non mi piaceva. Ma il rifiuto e l’indifferenza nei confronti del mondo esterno producono il nulla e impoveriscono la vita. Il cittadino è tale solo se fa sua la vita della polis, se s’interessa, se sta con. Incontrare gli altri in uno spazio comune e riconoscerlo come pubblico, condividerne la responsabilità, imparare a comprendere e a sentire le riflessioni è l’inizio del cambiamento.
Con il 19 luglio 1992 mi trovo coinvolta in una storia più grande e non posso tirarmene fuori, perché la mia vita diventa un continuo esercizio di partecipazione, che è il filo conduttore dell’impegno, a qualsiasi livello, perché non può esserci impegno senza partecipazione, non può esserci modo di cambiare la realtà senza il prendere a cuore, il prendersi cura.
È una spinta verso il futuro, una tensione verso qualcosa di più grande. Oggi più che mai credo davvero che come dice Gaber “Libertà è partecipazione!”. Ho dovuto imparare cosa fosse la partecipazione, e ho imparato praticandola: nel ’94 ho iniziato il viaggio con la prima carovana antimafia per andare incontro alle persone che manifestavano interesse verso la dimensione collettiva. I primi progetti sono nati proprio in quei comuni tristemente noti per vicende di mafia: Corleone (Pa), San Giuseppe Jato (Pa), Palma di Montechiaro (Ag). Una nuova generazione di sindaci, eletti per la prima volta direttamente dai cittadini, si mette in gioco nell’amministrazione, dando vita a nuovi progetti sul territorio, inaugurando un modo nuovo di intendere la cosa pubblica. In quegli anni si manifestano anche le prime esperienze di assunzione collettiva di responsabilità, nascono le reti tra istituzioni e privato sociale che prendono in carico soggetti disagiati per rimetterli in prima fila e restituire loro diritti da sempre negati.
La partecipazione via via diventa addirittura un’esigenza che ne intercetta un’altra: quella di migliaia di giovani che vogliono diventare protagonisti della loro vita; sono gli stessi che diventeranno i miei più entusiasti sostenitori durante la campagna elettorale per le elezioni regionali siciliane del 2006, alle primarie di coalizione prima e successivamente per “Ritapresidente”; e, ancora, quelli che si organizzeranno nel Rita Express, un treno interamente autofinanziato da giovani emigrati che vogliono “votare per tornare e non solo tornare per votare”. Con loro abbiamo costruito l’esperienza di Itaca, il campeggio estivo per rilanciare il progetto politico di “Un’altra storia” (www.unaltrastoria.org), il movimento che si radicava sul territorio a partire dai “Cantieri”, luoghi di discussione e di confronto, di partecipazione appunto, aperti a tutti, ai singoli cittadini, come ai soggetti organizzati. I Cantieri, nati come strumento per la costruzione partecipata del programma di Ritapresidente, sono rimasti il modello organizzativo per quella parte del territorio che riconosceva nel mio ruolo di deputato regionale il portavoce delle proprie istanze, e continuano ad esserlo anche adesso che sono al Parlamento europeo. Credo che oggi, più che in qualunque altro momento storico, la partecipazione sia l’unico modo per riconciliare alla politica i tanti che se ne sono allontanati e vi hanno perso fiducia, riscoprendo e facendo riscoprire l’impegno per il bene comune come l’unica strada percorribile verso un cambiamento reale e duraturo.

L’avvocato in Comune
A rischio, dal 2011, l’istituto del difensore civico a servizio del cittadino

Vivo in un monolocale a Milano, e questo mese ho ricevuto una bolletta dell’elettricità di mille euro. Dato che non dormo con la luce accesa, dev’esserci stato un errore. Posso  affrontare un caso simile telefonando al gestore (ma spesso è un call center), protestando, presentandomi con un avvocato al tribunale amministrativo. Oppure prendo la scorciatoia, che è pure gratis: alzo la cornetta e chiamo il Difensore civico del mio Comune, che è un avvocato pubblico. Se nel mio Comune non c’è, chiamo quello provinciale, o regionale. Espongo il problema al legale, che ha il dovere di prendere in carico il mio caso, e fare un giro di telefonate ai responsabili dell’errore. Nell’arco di qualche settimana ricevo la comunicazione che l’errore è risolto: non dovrò pagare quei mille euro. Al mio avvocato devo solo i ringraziamenti.
Il Difensore civico, nelle realtà più piccole un singolo avvocato, altrove uno staff, è un’istituzione che si occupa di risolvere i conflitti che possono sorgere tra il cittadino e la pubblica amministrazione. Dietro richiesta del cittadino, l’avvocato pubblico interviene affinché si raggiunga una conciliazione in maniera rapida e “indolore”, senza bisogno di avviare procedimenti di fronte al Tribunale amministrativo regionale (Tar) e sostenere le ingenti spese legali che, unite agli estenuanti tempi d’attesa, spesso finiscono per creare un secondo disservizio al fine -non sempre raggiunto- di correggere il primo.
Nato in Italia con la legge 142 del 1990 e mai reso obbligatorio, oggi il Difensore civico a livello comunale è una “specie in via d’estinzione”: la Finanziaria 2010 (articolo 2, comma 186) stabilisce che entro il 2011 tutti gli uffici vadano soppressi.
Da maggio 2010, Milano non ha più il Difensore civico: non c’è più l’avvocato pronto a darci una mano davanti agli errori nell’importo di bollette della luce o del telefono, a multe ritenute ingiuste, alle inefficienze nei servizi di trasporto pubblico, sovvenzioni per l’acquisto di una casa, poste, pensioni, diritto allo studio.
A vent’anni dalla nascita dell’istituto, in Italia centinaia i Difensori civici, e operano soprattutto a livello comunale e regionale.
Il problema è che sono distribuiti “a macchia di leopardo”, in modo del tutto casuale. A 25 anni dalla raccomandazione europea che invitava gli Stati membri di regolamentare questo servizio tramite legge (vedi box), l’Italia -a differenza degli altri Paesi- non ha ancora istituito un Difensore civico nazionale. La 142 del 1990 e il Testo unico sugli enti locali (l. 267/2000) prevedono per Regioni, Province e Comuni la possibilità -e non l’obbligo- di dotare le proprie amministrazioni di un Difensore civico. Oggi l’istituto è operativo solo in 15 Regioni su 20, e laddove manca a livello regionale -Sicilia, Calabria, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Puglia- è sommariamente “sostituito” dalle Province e dai Comuni. In Veneto, la regione italiana con il primato per presenza sul territorio (e 10mila istanze di mediazione ricevute ogni anno), gli oltre cinquanta Difensori civici comunali hanno chiuso quasi tutti, sostituiti nei loro compiti dalla Regione. “Tagliano questo istituto di garanzia per i cittadini senza considerare che il nostro ruolo è quello di rendere più efficienti tutti gli altri servizi, con sensibile riduzione degli sprechi” considera Vittorio Bottoli, Difensore civico della Regione Veneto e coordinatore nazionale del servizio. L’entità del risparmio è considerevole: Bottoli calcola che la sua attività ha ridotto di quasi 30 milioni di euro l’anno i costi della Regione Veneto, a fronte di 650mila euro di costi: un rapporto di 46 a 1.
Non esistono dati aggiornati sulla situazione della difesa civica italiana, perché la struttura di base si sta dissolvendo. Non solo a Milano, anche e Firenze l’avvocato pubblico è già un ricordo. Secondo Giovanni Conso, presidente emerito della Corte Costituzionale, è l’“infanticidio della difesa civica comunale”. Già nel 1994 il Comitato per i diritti umani dell’Onu aveva espresso “preoccupazione” per l’Italia, perché “la funzione di difensore civico non è ancora stata istituita a livello nazionale”. Più recentemente l’Italia è stata oggetto di numerosi richiami da parte europea, in particolare dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Quanto disposto con la Finanziaria 2010 è illegittimo, a detta degli avvocati civici, in quanto rappresenta un’invasione dello Stato in questioni di competenza degli enti locali. La Regione Toscana -la prima in Italia a istituire il servizio nel 1974, insieme all’Emilia-Romagna- ha ricorso al Tar per incostituzionalità del provvedimento.
L’11 ottobre il Coordinamento regionale della Toscana, guidato da Lucia Franchini, ha presentato una mozione alla riunione di coordinamento nazionale dei Difensori civici, chiedendo maggiori fondi per potenziare il servizio della Regione a livello territoriale. “È sconcertante sentirci dire che le 2mila istanze di mediazione che portiamo a termine ogni anno sono inutili -commenta Lucia Franchini-. La difesa civica ha bisogno al contrario di diffondersi, di coprire meglio il territorio: più della metà delle pratiche di cui ci occupiamo provengono dalla zona di Firenze e limitrofi. Questo non significa che altrove, in regione, non abbiano bisogno di noi”. A Napoli il Consiglio di Stato ha imposto, con sentenza del 23 settembre, che il prefetto nomini il Difensore civico comunale abrogato per legge. Il ricorso era stato presentato da una candidata che dal 2007 aspetta la nomina da parte dell’amministrazione comunale.
La scarsa informazione in tema di difesa civica rende il servizio sconosciuto ai suoi utenti, e ha lasciato che il provvedimento della Finanziaria lo abrogasse nei Comuni nel silenzio generale. All’estero, invece, dove la difesa civica è conosciuta e rispettata, la notizia ha destato scandalo.
Essere poco conosciuti dai propri utenti influenza la possibilità di intervento dei Difensori civici, la cui scarsa portata è stata oggetto di critica da parte dell’associazione dei consumatori Adusbef. “Il difensore civico, sulla cui esistenza non c’è nulla da obiettare, dovrebbe essere gestito in un altro modo per meritare di sopravvivere nei Comuni -commenta Paolo Polato, delegato nazionale di Adusbef-. I limiti d’intervento risiedono soprattutto nei poteri di cui dispone: non ha, ad esempio, la possibilità di proseguire i contenziosi in tribunale; questo permette di risolvere casi semplici e di immediato accordo con la pubblica amministrazione, ma blocca moltissime istanze più complesse per impossibilità di andare fino in fondo”. Adusbef ritiene poco chiare le materie di competenza del Difensore civico, come i servizi pubblici gestiti da società private, una delle “aree grigie” per le quali il suo intervento non è sempre garantito. Il Difensore civico, conosciuto all’estero come “ombudsman”  (uomo che funge da tramite), sta dunque spostando la sua sede un po’ più lontano dai cittadini, almeno per chi vive dove è presente “tramite” provinciale o regionale a sostituirlo. I meno fortunati dovranno arrangiarsi. (Silvia Vecchi)

Per l’Ue è un diritto
La figura del funzionario indipendente, garante dell’equilibrio dei rapporti tra Stato e cittadini, ha una tradizione secolare, soprattutto nei Paesi del Nord Europa, dove prende il nome di “Ombudsman”. Fu istituito per la prima volta dalla Costituzione del Regno di Svezia, nel 1809. Da allora si è lentamente diffuso, prevalentemente a livello nazionale, in più di un centinaio di Paesi in tutto il mondo. L’Unione Europea lo ha inserito tra le “Istituzioni per la promozione e tutela dei diritti umani” in quanto garante di uno dei diritti fondamentali del cittadino, quello alla buona amministrazione. Al fine di veder rispettato questo diritto su tutto il territorio Ue è stato istituito un Mediatore europeo per le questioni internazionali ed è stato disposto, fin dal 1985, che tutti i Paesi membri si dotassero un Difensore civico nazionale, organismo in grado di cooperare con il Consiglio d’Europa e con i difensori degli altri Stati, che si riuniscono in un’associazione internazionale chiamata Istituto europeo dell’Ombudsman.
 

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